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Animali reali e animali simbolici

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Animali reali e animali simbolici


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Nei bestiari medievali, ma già nel ‘Fisiologo’, opera di un autore anonimo tra il II e il III secolo D.C., vengono attribuite agli animali qualità positive o negative, nobili o ignobili ed essi divengono perfino simboli del mondo invisibile, angelico e demoniaco.

Un compendio impareggiabile del simbolismo animale nel cristianesimo è offerto in particolare dall’opera di Charbonneau-Lassay, ‘Le bestiaire du Christ’. L’aspetto curioso e contraddittorio dei bestiari è che da un lato essi sembrano considerare l’uomo al vertice della creazione, superiore in tutto agli altri animali, che avrebbero sviluppato solo i tratti inferiori dell’anima e costituirebbero un monito per guardarci dalle nostre pulsioni inferiori, dall’altro, al contrario, l’animale, che è più vicino alla natura primordiale, è anche più vicino all’ordinamento del cosmo e al suo creatore, per intuizione diretta.

Da questo punto di vista l’uomo, dopo la “caduta”, avrebbe perso ogni ricordo delle “norme primordiali”, inscritte invece in animali, piante e pietre. Gli angeli si rispecchierebbero quindi più negli animali, nelle piante e nelle pietre che negli uomini, e il detto paolino “per speculum in aenigmate” significherebbe anche che la Natura è specchio del mondo invisibile.

Nel ‘Fisiologo’ gli animali citati vengono esaltati per la loro somiglianza con gli esseri celesti, o vituperati per l’affinità con quelli infernali. La Natura sarebbe quindi specchio sia delle realtà celesti che di quelle infere.

Così come esiste una lettura confessionale/letterale, una morale e una spirituale delle Scritture, altrettanto varrebbe per il mondo che ci circonda, che possiamo contemplare secondo la sua apparenza, secondo i suoi insegnamenti oppure attraverso la caducità e l’impermanenza di tutte le cose, che ci rimanda alle realtà invisibili, utilizzando come mezzo la percezione dei simboli inscritti nella Natura.

Filone di Alessandria interpreta la parte del libro della Genesi in cui si parla della creazione degli animali sostenendo che ognuno di essi ricevette un nome arcaico che ne rivelava le occulte proprietà.

Per spiegare la duplice creazione degli animali nei capitoli I e II della Genesi, Filone sostiene che i primi non sono gli stessi animali poi nominati da Adamo.

Dio, il Signore, avendo formato dalla terra tutti gli animali dei campi e tutti gli uccelli del cielo, li condusse all’uomo per vedere come li avrebbe chiamati, e perché ogni essere vivente portasse il nome che l’uomo gli avrebbe dato. L’uomo diede dei nomi a tutto il bestiame, agli uccelli del cielo e ad ogni animale dei campi; ma per l’uomo non si trovò un aiuto che fosse adatto a lui.
Genesi 2:20-21.

Si sarebbe invece trattato di “angeli incorporei”, archetipi celesti degli animali creati e “nominati” successivamente.

Analogamente nelle ‘Gerarchie celesti’ (XV, 8) Dionigi Areopagita afferma che sarebbe possibile riferire ogni proprietà degli animali a virtù celesti, o infere, e che

rappresentare angeli e demoni con figure di bestie, piante, pietre o oggetti evita all’uomo il rischio di ingannarsi sulla vera natura di ciò che si cela dietro i simboli.

Questo perché, prendendo animali, piante e minerali come supporti per l’immaginazione attiva, non si rischia, sostiene ancora l’Areopagita

di cadere nell’idolatria e di scambiare le immagini delle cose per le realtà trascendenti e le entità superiori con l’eco che esse lasciano nelle cose.

Molti secoli più tardi gli alchimisti “adottarono” moltissimi animali, reali o immaginari, per descrivere le loro operazioni segrete sullo spirito e sulla materia, rendendo emblematiche alcune caratteristiche di quegli animali.

Così lo spirito del Mercurio, il “servus fugitivus” divenne cervus fugitivus, la tartaruga un emblema della Materia Prima, l’Ouroboros rappresentò lo stato iniziale e finale dell’Opus, l’Unicorno il simbolo dello zolfo alchemico, le colombe (di Diana uno degli stati della materia e lo stesso animale venne scelto per raffigurare l’ascesa e la discesa nel vaso alchemico, le aquile la reiterazione dell’ascesa e discesa nel vaso, il serpente (crocefisso) la fissazione del Mercurio, il cane di Corascena e la cagna di Armenia rappresentarono fisso e volatile, il rospo l’oro non purificato, il grifone l’unione di fisso e volatile, la fenice, che passa indenne attraverso il fuoco, la pietra filosofale risorta dalle sue ceneri, il pellicano, che secondo il mito si becca il petto per dissetare i suoi figli con il proprio sangue, la moltiplicazione della Pietra, oltre che uno dei vasi di vetro necessari agli alchimisti, che peraltro adombra con la sua forma un segreto fondamentale dell’Opera, il corvo l’Opera al nero, il cigno l’Opera al bianco, il Leone verde ‘acido che tutto dissolve… e si potrebbero citare moltissimi altri protagonisti del bestiario alchemico, uno zoo che tutti gli appassionati dell’Ars Regia dovrebbero visitare…

Analoga la sorte delle piante simboliche, dal frassino Yggdrasil, l’albero cosmico a cui fu appeso Odino per nove giorni e nove notti per apprendere l’arte delle rune e la natura dei nove mondi, alla mela, divenuta simbolo della caduta di Adamo e della dimensione ultraterrena, alla mandragora, utilizzata per truci incantesimi per via della sua forma quasi umana, a molteplici miti e leggende che collegano eroi e divinità a piante come il melograno, il papavero, l’alloro, l’ulivo, la vite o il pino. Segnalo a questo proposito il bel libro di J. Brosse dal titolo ‘Mitologia degli alberi’ e i miti legati a Cibele, Dioniso, Filemone e Bauci, Dafne.

Tuttavia un continente immenso, tutto da esplorare, è costituito anche dalla zoologia e dalla botanica fantastiche. Dall’unicorno alla chimera, da moly, l’erba di Hermes che difende dagli incantesimi e risana le ferite, alla pianta che Utnapistim dette a Gilgamesh, che donava l’immortalità e che gli venne sottratta da un serpente, animali e piante fantastiche popolano l’immaginazione umana e, all’epoca in cui era ancora difficile viaggiare e il mare e le catene montuose potevano costituire una barriera quasi invalicabile per i più, un autore come Plinio il Vecchio nella sua ‘Naturalis historia’ poteva far passare dragoni e licantropi come animali reali appartenenti a paesi lontani e irraggiungibili, oppure attribuire ad animali reali caratteristiche del tutto fantastiche, come il veleno dei leoni, i serpenti generati dall’alito degli elefanti o le vespe dalla puntura mortale perché golose di carne di serpente. In tempi più moderni non posso non ricordare il ‘Manuale di zoologia fantastica’ di J. L. Borges e M. Guerrero e il ‘Manoscritto Voynich’, con 113 disegni di piante immaginarie.

Posso solo supporre l’irritazione e la contrarietà di zoologi, biologi e botanici, abituati ad uno sguardo scientifico sul mondo animale, vegetale e minerale, che sentono tradita la realtà della loro esperienza quotidiana da questa proiezione, tutta umana, di angeli e demoni sui poveri animali e sulle piante silenziose. A costoro direi che non si tratta qui degli animali concreti, ma di soggetti dell’immaginazione attiva e che lasciarsi deformare dalla propria attività professionale è una forma di grave ottusità.

Possiamo guardare il mondo sia per la sua realtà prosaica, sia per la sua profondità simbolica, che si palesa agli occhi e al cuore del poeta e dell’iniziato, dando un senso compiuto alla sua esistenza.

L’Amleto di Shakespeare direbbe:

Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia.

E poi, in fondo all’anima di ognuno, anche in quella più arida, c’è un Petit Prince simile a quello di Saint-Exupéry che chiede di tanto in tanto:

dessin-moi un mouton.

Come ignorare la sua richiesta?

Autore Alessandro Orlandi

Alessandro Orlandi (1953) matematico, museologo, curatore per 20 anni dell'ex museo kircheriano, musicista, saggista ed editore della Lepre edizioni, è autore di numerosi articoli e libri riguardanti la matematica, la museologia scientifica, la storia delle religioni, la tradizione ermetica, l’alchimia, le origini del Cristianesimo e i Misteri del mondo antico.