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Ancora dell’umanità

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Stendhal


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Tra bellezza, arte e morte

In un precedente articolo, avevamo provato a riflettere su quali sono i fattori che distinguono l’uomo dalle altre specie animali, arrivando ad una conclusione temporanea caratterizzata da una formulazione negativa.

Ovvero, avevamo formulato, argomentandola, l’opinione che delle discriminanti non potevano essere il linguaggio, la cultura e la morale, perché anche in altri primati, e non solo, queste caratteristiche sono chiaramente osservabili.

Dove dobbiamo ricercare, dunque, i tratti peculiari del genere umano?

La prima cosa che ci viene in mente è la bellezza.

L’umanità può vivere senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza la bellezza non potrebbe più vivere, perché non ci sarebbe più niente da fare al mondo! … La scienza stessa non resisterebbe un minuto senza la bellezza.
Fëdor Dostoevskij

Ripartiamo da una frase già citata in un precedente articolo, in cui ragionavamo circa il bello.

In cui si ipotizzava che il bello potesse essere il fondamento del vero e della consapevolezza.

Ripartiamo da queste riflessioni, per rintracciare il senso profondo dell’umanità.

Un essere umano è una creatura estetica prima ancora che etica.
Joseph Brodsky

Se tracce di etica sono ravvisabili, come già visto, in altri animali, la ricerca della bellezza, anche fine a se stessa, la ritroviamo solo negli uomini.

La bellezza come momento quasi estatico, di contemplazione, in cui, a volte, anche se per istanti, si ha la sensazione di sfiorare la perfezione.

Ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti ed i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere.
Stendhal

Partendo da questo brano, viene dato il nome dell’autore ad una sindrome psicologica, quella di Stendhal, appunto. Ma in cosa consiste?

Si tratta di una serie di sintomi, come capogiri, vertigini, tachicardia, stato confusionale o addirittura allucinatorio, alla presenza di opere d’arte di particolare bellezza.

Graziella Magherini, la psicologa che per prima ha descritto questi comportamenti, si è limitata al campo artistico, ma possiamo immaginare che possa essere la bellezza in genere a portare a questo senso di smarrimento.

La dissonanza dell’immensamente grande, fino al sublime kantiano, che mette in crisi le nostre capacità di categorizzazione della realtà esterna.

Ma questo ci porta ad un’altra caratteristica esclusivamente umana: l’arte.

Solo l’uomo, oltre ad avere il senso della bellezza, cerca di riprodurre o di creare la stessa.

In un altro articolo ci siamo occupati del rapporto tra bello e arte.

Ma in questo lavoro stiamo andando in tutt’altra direzione.

L’arte come ricerca ed espressione della bellezza.

L’arte che, con la bellezza, è, forse, l’unico tratto che veramente caratterizza l’essenza dell’umanità.

L’arte è l’unico vero ed eterno organo e documento insieme della filosofia, il quale sempre e con novità incessante attesta quel che la filosofia non può rappresentare esternamente, cioè l’inconscio nell’operare e nel produrre, e la sua originaria identità col cosciente. Appunto, perciò, l’arte è per il filosofo quanto vi ha di più alto, perché essa gli apre quasi il santuario, dove in eterna ed originaria unione arde come in una fiamma quello che nella natura e nella storia è separato, e quello che nella vita e nell’azione, come nel pensiero, deve fuggire sé eternamente. La veduta, che in modo riflesso si fa della natura il filosofo, è per l’arte la originaria e naturale. Ciò che noi chiamiamo natura è un poema chiuso in caratteri misteriosi e mirabili. Ma se l’enigma si potesse svelare noi vi conosceremmo l’odissea dello spirito, il quale, per mirabile illusione cercando se stesso, fugge se stesso; poiché si mostra attraverso il mondo sensibile solo come il senso attraverso le parole, solo come, attraverso una nebbia sottile, quella terra della fantasia, alla quale miriamo. Ogni splendido quadro nasce quasi per il fatto che si toglie quella muraglia invisibile che divide il mondo reale dall’Ideale, e non è se non l’apertura, attraverso la quale appaiono nel loro pieno rilievo le forme e le regioni di quel mondo della fantasia, il quale traluce solo imperfettamente attraverso quello reale. La natura per l’artista è non più di quello che è per il filosofo, cioè solo il mondo ideale che apparisce tra continue limitazioni, o solo il riflesso imperfetto di un mondo, che esiste, non fuori di lui, ma in lui.
Friedrich Schelling – Sistema dell’idealismo trascendentale

L’arte, quindi, come possibilità di cogliere l’assoluto.
Partendo da queste premesse, però, arriviamo ad un ulteriore passo.

Se l’arte “muore”, se muore la capacità dell’uomo di cogliere e cercare la bellezza, cosa succede all’umanità?

Laddove parlando di morte dell’arte non ci riferiamo tanto all’accezione hegeliana di incapacità di cogliere il vero, quanto nella concezione nietzschiana, come specchio della morte di Dio, ucciso dalla dis-umanità.

Cosa resta all’umanità senza arte, senza bellezza?

Si continua ad essere uomini?

La risposta a queste domande presuppone un ulteriore passo, di cui ci occuperemo in un prossimo lavoro.

Autore Pietro Riccio

Pietro Riccio, esperto e docente di comunicazione, marketing ed informatica, giornalista pubblicista, scrittore. Direttore Responsabile del quotidiano online Ex Partibus, ha pubblicato l'opera di narrativa "Eternità diverse", editore Vittorio Pironti, e il saggio "L'infinita metafisica corrispondenza degli opposti", Prospero editore.