Ma non lo dava a vedere
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La follia di chi fa cinema, in qualunque dimensione lo faccia, dal semplice spettatore compulsivo all’appassionato che si cimenta pure nella realizzazione del suo film, è da sempre Totale.
Ed a questo pubblico di squilibrati si rivolge una rivista eccezionale “Cinema in casa. La rivista del cinematore”.
Si tratta di un vero e proprio magazine per fanatici del super 8 che nel 1977 intervista un outsider ventitreenne, un aspirante superregista, l’integerrimo (già così giovane) Nanni Moretti.
Le domande incalzano perché il geniale ragazzo ha realizzato il suo film “Io sono un autarchico” interamente in super 8.
Mike Sugar (intervistatore): Come hai cominciato a girare film in super 8? Come ti è sorta la necessità di fare cinema e come l’hai realizzata inizialmente e a quanti anni?
Nanni Moretti: Ho cominciato 4 anni fa a 19 anni, con amore e passione per il cinema, dato che consideravo e considero il cinema l’unico mezzo con il quale riesco a comunicare.
Comperai la mia cinepresa per centomila lire a quell’età perché era l’unico modo per fare cinema.
M.S.: Ma qual è stata la genesi di questa tua scoperta per il cinema. Hai visto qualcun altro che faceva cinema con questi mezzi e quindi hai seguito la stessa strada?
N.M.: L’unica cosa che mi piace è fare cinema. L’ho capito guardandomi intorno e ho deciso di girare in super 8 perché non mi era possibile farlo in 16 mm, per cui ho comperato un super 8 e delle bobine che allora costavano la metà di quello che costano oggi.
“Io sono un autarchico” è il primo lungometraggio che segue altri tre lavori di Moretti in super 8, lavori di durata inferiore. Sono questi quattro film che tracciano la strada, un passo alla volta, verso quello che sarà poi il suo mondo ed il suo lavoro per tutta la vita. Come spiega bene in questa lunghissima intervista, lui ha bisogno di fare film per esprimere le sue idee, la sua visione del mondo, delle persone, delle cose, perché è “al” mondo attraverso i suoi film.
Certo l’attrezzatura gli serve, e sicuramente servono i tanti amici che si prestano a dargli una mano in queste prime avventure, sia come tecnici che come attori, e servono pure le sue idee chiare.
Lui sa che quella dimensione è la sua. Non pensiate che non ci sia coraggio nel linguaggio e nello stile che sceglie. Ancor oggi trovo che sia l’impresa più dura per chi fa questo mestiere: rischiare di rendere pubblica la propria opinione. Penso a tutti i ragazzi che ho conosciuto come regista e come docente.
A quanti di loro hanno lo stesso sogno di Nanni. Fare IL film.
La lezione di questa intervista è tutta nella sudditanza della tecnica all’idea. Che non importa se sia giusta o sbagliata, l’importante è che ci sia. Nanni dovette vendere la propria collezione di francobolli per comprare la sua prima cinepresa, ed in spregio a qualunque circuito “istituzionale” si cimentò nella ricerca di uno spazio nel quale proiettarsi.
Mike Sugar: La struttura e la grande organizzazione del 35 mm commerciale, tu la condividi o la contesti? La accetti con le sue grandi possibilità e le sue grandi contraddizioni?
Nanni Moretti: Non accetto la mentalità dei distributori e di molti produttori, non accetto quasi tutti i film dei registi e degli sceneggiatori, però voglio fare cinema, quindi cercherò di continuare a fare le mie opere, cercando di trovare delle persone, produttori, distributori e attori, che mi permettano di fare queste cose, come in questo primo caso.
Io non sono in grado di dare una valutazione, di dire se Nanni Moretti ci è riuscito, o no. Quello che so è che molte delle cose che per lui erano importanti da dire, le ha dette. Sono passati trentanove anni da questa intervista.
L’ultimo racconto di Nanni è del 2015, parla della morte di una
Ha già chiarito tutto a 23 anni. Lui fa film perché è il modo che gli è congeniale di avere a che fare col mondo e a quel mondo parla di sé. In terza, in prima, in decima persona, ma in fondo chi se ne frega. Chi di noi non sarebbe straniato all’uscita dell’ospedale dove nostra madre sta morendo e chi di noi non guarderebbe il traffico che gli si para dinanzi come qualcosa di alieno e lontano, un mondo tutto sommato incomprensibile.
Possiamo parlare di disagio, di lutto, di crisi religiosa, di disadattamento, di autodeterminazione e crisi di identità, di noi, degli altri nelle nostre vite: tutto ed il contrario di tutto nell’analisi psicoanalitica-cinematografica che da sempre si fa parlando di Moretti. Rivoltandolo come un calzino di Freud.
Eppure in queste parole del ragazzo Nanni io capisco perché non ha alcuna importanza continuare a palare del fatto che, se e come i film di Moretti ci piacciano o no… Il fatto è che noi ci siamo dentro.
Autore Barbara Napolitano
Barbara Napolitano, nata a Napoli nel dicembre del 1971, si avvicina fin da ragazza allo studio dell’antropologia per districare il suo complicato albero genealogico, che vede protagonisti, tra l’altro, un nonno filippino ed una bisnonna sudamericana. Completati gli studi universitari si occupa di Antropologia Visuale, pubblicando articoli e saggi nel merito, e lavorando sempre più spesso nell’ambito del filmato documentaristico. Come regista il suo lavoro più conosciuto è legato alle dirette televisive dedicate a opere teatrali e liriche. Come regista teatrale e autrice mette in scena ‘Le metamorfosi di Nanni’, con protagonisti Lello Arena e Giovanni Block. Per la narrativa pubblica ‘Zaro. Avventure di un visionauta’ (2003), ‘Il mercante di favole su misura’ (2007), ‘Allora sono cretina’ (2013), ‘Pazienti inGattiviti’ (2016) ‘Le metamorfosi di Nanni’ (2019). Il libro ‘Produzione televisiva’ (2014), invece, è dedicato al mondo della TV. Ha tenuto i blog ‘iltempoelafotografia’ ed ‘il niminchialista cinematografico’ dedicati alla multimedialità.