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Alle armi

armi


Cadesti a terra senza un lamento
E ti accorgesti in un solo momento
Che la tua vita finiva quel giorno
E non ci sarebbe stato un ritorno
Fabrizio De André – La Guerra di Piero

Dai tempi antichi alla contemporaneità la guerra è un filo rosso che percorre l’intera storia umana. Capire le guerre del passato è essenziale per affrontare il nostro futuro.

L’evoluzione delle armi, delle strategie e delle tecnologie belliche, dall’antico Egitto al terzo millennio, dalla fionda alle armi di distruzione di massa.

La guerra è la più complessa delle attività umane. È da sempre un elemento decisivo nell’evoluzione delle società, oltre che un oggetto privilegiato delle loro creazioni artistiche, da Omero a Shakespeare a ‘Salvate il soldato Ryan’, ma resta in parte avvolta dal mistero, sconcertante, spaventosa.

Le descrizioni accurate di campagne e di battaglie, i simboli geometrici, le frecce rosse e blu disegnate sulla mappa non sono che il riflesso condizionato dell’uomo che cerca di mettere ordine nel caotico e oscuro orizzonte della sua conflittualità perenne.

È una strana partita a scacchi in cui, d’improvviso, un pezzo può muovere in una direzione sbagliata, un pedone respingere l’attacco di una torre, una casella rivelarsi impossibile da attraversare, un re fuggire.

Dopo il ’45 è sembrato che l’Europa riuscisse a mettere fuori gioco la guerra, sconfessando, così, gran parte del suo stesso passato. Ora, però, essa è nuovamente circondata da una conflittualità minacciosa e, per le nostre democrazie, si sta forse annunciando un appuntamento fatale con la storia, nel quale mille indizi sembrano indicare che la grande guerra senza confini, possa tornare d’attualità. E ora è difficile capire se il Vecchio Continente saprà ritrovarne le categorie culturali, prima ancora che le armi.

Sappiamo che la guerra accompagna l’umanità fin dalle sue origini. Il racconto che la civiltà occidentale ne ha fatto si è declinato essenzialmente in tre modi: la narrazione epica nel mondo antico, la romanzesca in quello moderno e la televisiva nel contemporaneo.

Per capire come la nostra cultura della guerra sia intimamente legata al racconto che ne facciamo oggi dobbiamo leggere questi tre modi attraverso quello che qualcuno chiama il ‘criterio della visibilità’: visibilità come rivelazione, come possibilità di comprendere la realtà di un mondo in guerra.

Partendo dall’epica antica, che con l’ideale eroico dell’Iliade ha dato origine ad una tradizione millenaria che pensa la battaglia come evento in grado di generare significati e valori collettivi, attraversando la crisi di questo paradigma nella modernità romanzesca e la sua dissoluzione nella convinzione tutta novecentesca che la guerra sia priva di un qualsiasi senso, arriviamo alla tragica attualità del conflitto raccontato dalla televisione.

Le sue cruente immagini sono entrate per la prima volta in diretta nelle nostre case il 17 gennaio 1991, data d’inizio della prima guerra del Golfo.

Allora ci siamo illusi che al massimo della spettacolarizzazione potesse corrispondere il massimo della visibilità e, invece, ci siamo trovati di fronte a un’apocalisse svuotata di qualsiasi rivelazione.

Un’altra data spartiacque è arrivata dieci anni dopo: dall’11 settembre 2001 la guerra, prima demistificata, è stata investita, di nuovo, di un significato salvifico, come forma di violenza positiva che si contrappone al terrorismo. E non potendolo affrontare sul suo terreno, poiché questo non ha territorialità alcuna, la guerra ha abbandonato il reale per assicurarsi il controllo dei cieli dell’immaginario.

L’invasione russa dell’Ucraina del febbraio 2022 sembrerebbe smentire, a prima vista, lo sviluppo di questo paradigma. Putin e la sua guerra, però, non sono l’Occidente: ne sono il nemico.

Ma come sta rispondendo l’Occidente a questa offensiva orientale? Forse proprio riattingendo a quegli archetipi millenari che credevamo ormai seppelliti dal pacifismo novecentesco.

Negli ultimi decenni noi occidentali l’abbiamo respinta ai margini della nostra vita privilegiata; eppure, sappiamo che è là fuori, appena oltre il confine della nostra sicurezza, che aspetta come una belva nel buio. È essenziale non dimenticarcene e, dunque ,osservarla e conoscerla in tutti i suoi aspetti.

Dai tempi antichi alla contemporaneità la guerra è un filo rosso che percorre l’intera storia umana. Eppure, nell’antichità il filosofo Eraclito la considerò elemento necessario per la pace, poiché era convinto che l’armonia, l’ordine e la stabilità del mondo si basassero sull’equilibrio degli opposti senza i quali neppure esisterebbero gli esseri.

È pura illusione pensare ad una condizione umana vissuta in un’eterna pace, questa c’è perché vi è anche la guerra, che crea anche un ordine sociale dove gli schiavi sono gli sconfitti dagli uomini forti.

Dalla guerra, quindi, si genera una società gerarchicamente ordinata e giusta poiché

bisogna sapere che, essendo la guerra comune, anche la giustizia è contesa, e tutto nasce secondo contesa e necessità.

Alla fine, la definizione più ovvia resta quella che identifica con il termine guerra un fenomeno sociale che ha come tratto caratterizzante l’utilizzo della violenza armata tra i gruppi organizzati.

Tradizionalmente la guerra è un’ostilità fra stati sovrani o coalizioni per la risoluzione, di regola in ultima istanza, di una controversia internazionale più o meno direttamente motivata da veri o presunti, ma, in ogni caso, parziali, conflitti di interessi ideologici ed economici.

Resta una definizione fredda, distaccata, da vocabolario. Non trasmette il dolore e l’atroce sofferenza che provoca. Non fa sentire lo scorrere del sangue, non conserva quell’agonia che lacera la mente e il corpo, non scolpisce nei volti e nei cuori di tutti l’abisso tra vita e morte, il terribile silenzio di quegli attimi che anticipano lo strazio e l’orrore.

La guerra è la miniera d’oro dei tiranni, la benzina dei poteri occulti, le redini dell’economia, il timone dei politici che imbavagliano l’esistenza.

È la morte di Dio nelle braccia dell’uomo, il corpo a corpo che emette sentenze senza possibilità, la vergogna e il lutto.

La guerra in corso ci risvegli dal sonno della ragione e ci spinga a riconoscere e perseguire le nostre vere priorità: avviare un processo di disarmo generalizzato, mettere al bando le armi nucleari, costruire una nuova architettura di sicurezza europea e globale fondata sulla collaborazione volta alla risoluzione negoziale delle controversie, cooperare per affrontare la crisi climatica e la pandemia.

Abbiamo un solo pianeta e, prima che membri di nazioni, dobbiamo riconoscerci come membri dell’umanità. È un concetto astratto, a volte insensato, privo di significato, ma anche una semplice verità.

In questi giorni di altra guerra, dove innocenti muoiono sotto cieli di odio arcaico, dove martiri versano il loro contributo per una folle devastazione umana, dove l’ira mai sazia della pura pazzia imperversa e impone, abbiamo urgenza di una pace che segni il destino.

Ed invece, siamo tutti immobili, fissi su un presente, che si cerca di rabberciare in qualche maniera. Le potenze che si battono non hanno infatti alcuna salvezza e alcuna verità da proporre: solo una continua, incombente minaccia di malattia e morte e l’odio e la guerra di ciascuno verso tutti.

Sono, in questo senso, alla fine e l’atroce guerra civile planetaria che conducono è la forma della loro fine. E anche della nostra.

Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.

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