Chiamata la piazza Armerina della Calabria, la Villa romana di Casignana (RC), è un grandioso complesso residenziale che, con i suoi splendidi mosaici geometrici e figurati, i suoi apparati decorativi, soprattutto pavimentali in lastre di marmo policromi, i suoi impianti termali e residenziali e di servizio, è considerato uno dei più importanti monumenti romani dell’Italia meridionale.
È situata in Contrada Palazzi, a ridosso della Statale 106 e del Mar Ionio, in quel tratto di costa alle pendici dell’Aspromonte orientale che, da Riace a Palizzi Marina, è denominata Riviera dei gelsomini, nome legato al fatto che un tempo in questa fascia costiera vi era la coltura intensiva di questa pianta che, peraltro, cresce in modo spontaneo in tutto il versante.
L’impianto originario della Villa romana risale al I secolo d.C. e, nel IV secolo, fu oggetto di una importante ristrutturazione. Con le invasioni barbariche e la caduta dell’Impero romano d’Occidente la Villa venne progressivamente abbandonata, anche se, tracce di frequentazione sono rilevabili fino al VII secolo, quando la popolazione, forse per motivi di sicurezza, cominciò a spostarsi verso l’interno.
La sua scoperta risale al 1963, quando gli scavi per la costruzione di un acquedotto portarono casualmente alla luce parte della struttura e dei pavimenti a mosaico.
Negli anni successivi, la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria ha avviato l’esplorazione sistemica del sito che continua ancora oggi.
Attorno alla Villa era nata una statio, cioè un centro di sosta di una certa importanza per i funzionari della burocrazia imperiale che viaggiavano da Locri Epizefiri, Locri, a Rhegion, Reggio Calabria.
Il ritrovamento di numerosi frammenti di anfore vinarie fa supporre che la Villa appartenesse ad un’importante famiglia patrizia legata all’attività vinicola.
Tale ipotesi è supportata dal fatto che in quest’area ancora oggi viene prodotto uno tra i più antichi e pregiati vini del nostro Paese, il Greco di Bianco, preparazione che però, anche per il nome – siamo nella zona chiamata magna Grecia -, si ritiene fosse già praticata dai coloni greci che erano approdati sul territorio prima dell’arrivo dei romani.
L’area archeologica si estende per circa 15 ettari a monte e a mare della Statale 106, articolata in ambienti termali, residenziali e di servizio che costituiscono un’importante testimonianza della ricchezza stilistica, architettonica e artistica degli edifici nobiliari.
I piani pavimentali mosaicati, la maggior parte dei quali, dopo rigorosi lavori di restauro, sono visibili al pubblico per oltre 4.700 mq, rimandano stilisticamente a collegamenti con aree dell’Africa come l’odierna Tunisia e la Tripolitania, rappresentano il più vasto nucleo di mosaici finora noto nella Calabria romana e un unicum nel territorio regionale. Sono oltre venti gli ambienti con pavimento a mosaico, cinque dei quali figurati.
Sul prospetto nord della Villa insisteva un enorme edificio con ambienti che facevano da supporto alle attività agricole e commerciali dell’insediamento. Un giardino esterno si sviluppa su due lati e porta alle terme.
Un sistema di vasche cisterna molto articolato atto a raccogliere fino a duecento metri cubi di acqua sia piovana, sia proveniente da sorgenti esistenti a monte della Villa alimentavano una fonte monumentale, il ninfeo.
Il complesso termale della Villa rispecchia la classica architettura romana dove è presente un ambiente riscaldato, il calidarium, e un ambiente con temperatura più moderata, il tepidarium, che serviva a preparare il fisico all’ambiente più freddo, il frigidario.
Tutti gli ambienti sono decorati con mosaici. La ricchezza della villa è data anche da un ambiente rettangolare e dall’utilizzo di intarsi marmorei. Anche le pareti erano rivestite con marmo proveniente dalle lontane regioni dell’Impero romano: Asia e Africa.
Il mosaico del frigidarium, Sala delle Nereidi, con grandi tessere bianche e verdi raffigura un paesaggio marino, un thiasos marino con quattro figure femminili che cavalcano un leone, un toro, un cavallo e una tigre, terminanti con una coda di pesce.
La sala ha pianta ottagonale e conta quattro lati absidati e due vasche per le abluzioni nell’acqua fredda.
Il calidarium, con relativo impianto di riscaldamento a ipocausto e tubi fittili sulle pareti, è anch’esso a pianta ottagonale e pavimentazione a mosaico in piccole tessere e doveva essere coperto da una volta.
Il tepidarium, ambiente moderatamente riscaldato, ha sala rettangolare pavimentata in lastre di marmo colorato e realizzata con la tecnica opus sectile.
Ad essi è affiancato il laconicum, un ambiente fortemente riscaldato destinato alle essudationes, ovvero saune.
Entrambi i settori termali sono caratterizzati dalla presenza di praefumia, bocche di forno situale al di sotto dei pavimenti, che garantivano il riscaldamento delle vasche e degli ambienti.
Sul lato opposto della strada, verso il mare, si trova, invece, la parte residenziale con numerosi ambienti articolati ed un grande cortile.
Anche in questa parte della villa si possono ammirare pavimentazioni a mosaico, come nella sala delle quattro stagioni e in quella absidata. Qui troviamo: una sala a base ottagonale, la sala delle quattro stagioni, la sala di bacco, che mostra il dio del vino in stato di ebbrezza sorretto da un satiro, la sala di Venere e latrine.
Una delle cose più curiose dell’area termale sono i bagni, meglio conosciuti appunto come latrine. I romani non avevano il senso del pudore ed erano soliti condividere i loro momenti più intimi in questa stanza, che, per loro, era una specie di salotto pubblico, un luogo per chiacchierare e fare affari.
Qui, come scrisse Orazio, si rimediavano gli inviti a cena, si discuteva di varie questioni, si gettavano le basi per un affare.
Naturalmente, era per soli uomini, mentre per le donne non esisteva un equivalente; forse per timore che le donne venissero a conoscenza di troppe notizie?
L’ala residenziale dovette avere aspetti sfarzosi adatti alla dimora di un personaggio importante. Al centro si trova il più grande ambiente della Villa. Un vano a pianta cruciforme pavimentata con mosaico geometrico composito.
Non poteva mancare, all’interno della Villa, la zona della necropoli, dove è stata riportata alla luce una tomba in mattoni all’interno della quale si trova una sepoltura “a cappuccina”.
Può sembrare riduttivo chiamarla Villa, sia per le dimensioni, sia per la ricchezza dei mosaici, dei simboli, della cultura, dell’architettura che rappresenta, e dovrebbe essere uno dei siti da valorizzare a tutti i livelli, ma a molti è sconosciuto.
E lo è anche perché si trova in un territorio dove i treni quasi non arrivano più, dove nelle vicinanze non c’è un aeroporto, lungo quella Statale 106, definita “la strada della morte”, che da decenni aspetta di essere ammodernata e messa in sicurezza.
Un sistema di comunicazioni più efficiente diventerebbe volano per il turismo e l’economia di una intera regione che, al di là dei proclami strombazzati in occasione delle competizioni elettorali, muore lentamente di abbandono, anche del suo capitale umano.
Autore Antonella Musitano
Antonella Musitano, già docente di lettere, è impegnata da anni nella ricerca storica e nello studio della storia del Sud. Tra le opere pubblicate, il saggio storico "Sud, tutta un'altra storia", Laruffa ed., con inediti documenti d'archivio. Da una sua ricerca è stato realizzato un cortometraggio su una brigantessa. "La Chanson d'Aspremont”, Laruffa ed., saggio storico letterario su una Chanson de geste del XII sec è la sua ultima pubblicazione.