È possibile collegare la sofferenza degli andalusi con quella dei siriani?
È stato pubblicato il romanzo ‘Al Khamiado’ del giornalista e romanziere siriano residente in Germania Ibrahim Al-Jebin, le cui vicende si svolgono in più tempi, compresi passato remoto, immediato e anche il futuro.
Gli eventi di cui si narra iniziano con un progetto di ricerca che riunisce ingegneri, archeologi e antropologi per discutere dell’anfiteatro romano sepolto a Damasco sotto il Souk al-Buzuriya, a sud della Moschea degli Omayyadi, e per riflettere sulle ragioni della sua esistenza, la sua estensione e le sue mappe, la vita pubblica e ciò che può essere legato dal filo della terribile violenza che ha governato il Paese Levante per millenni e lo governa ancora oggi.
Il romanzo prende in prestito la parola ‘Aljamiado’, che descrive l’idioma segreto degli arabi dell’Andalusia, inventato per preservare la propria identità e civiltà dopo che è stato loro impedito di usare la lingua araba e sono stati minacciati se la parlavano o la scrivevano facendo riferimento li all’Inquisizione.
Ma i Morisco escogitarono uno stratagemma per continuare nel tempo e non si accontentarono della sconfitta. Quella lingua è stata una chiave per la diffusione della scienza e delle idee nel mondo intero.
Approccio storico
Secondo la logica del romanzo, quello che è successo e sta accadendo ancora Siria nell’ultimo decennio è un caso simile al passato degli andalusi, perché la lingua non è intesa solo come parlata e scritta, quanto come pensiero, sistema mentale. I siriani, infatti, hanno sofferto a lungo, prima di essere soppressi, per mano delle autorità, e privati di libertà, sottoposti ad un sistema che ha programmato le loro vite, menti e sogni.
Damasco è il centro dell’evento, che si espande fino a raggiungere molte città, tra cui Il Cairo, Copenaghen, Tunisi e Istanbul, e l’Eufrate le collega come un’ancora di salvezza, senza estendersi nella geografia di questa o quella città.
Nel romanzo, affinché il fiume delle civiltà scorri, ritorni e porti con sé le vecchie scene – l’incidente dell’assalto alla Grande Moschea della Mecca da parte di Juhayman Al-Otaibi, l’attacco alla Moschea Omari a Daraa per mano dell’esercito di Bashar al-Assad, e le vicende dei popoli – gli avvenimenti successive passano dai dettagli dei personaggi del luogo e delle loro storie.
Resti dei nazisti e del regime siriano
Lo scrittore continua la sua indagine su quelle che chiama le radici del male nella società siriana, compresi gli episodi del nazismo, che rivela, per la prima volta con nuovi nomi, dopo aver lavorato nel suo precedente romanzo ‘Eye of the East’ per far luce su il personaggio di Alois Brunner, un alto ufficiale austriaco che ha lavorato per il nazismo in tempo di guerra e che morì in Siria, dove si nascose a lungo, nel 2010.
Questa volta, però, ci saranno più nazisti che furono stelle nel Terzo Reich e commisero atrocità durante l’era di Hitler, e che, nessuno penserebbe, avrebbero vissuto e lavorato a Damasco e che influenzarono l’intera regione araba a causa dei loro pericolosi legami con figure di spicco che hanno reso un futuro più di un paese arabo.
Il romanziere Ibrahim Al-Jebin
Ibrahim Al-Jubein è uno scrittore siriano che ha vinto il Premio Ibn Battuta per il suo libro ‘Il viaggio in Europa… Il viaggio di Fakhry Bey Al-Baroudi’, Al-Jazeera.
Una nuova esperienza o un’avventura letteraria?
Eventi e racconti si riproducono nelle note a piè di pagina, non solo nel testo, così il romanzo si moltiplica come se fosse, allo stesso tempo, più di un’opera di fantasia.
L’avventura della sperimentazione con la forma si riflette nella scelta del narratore di includere nei suoi romanzi mappe e disegni di luoghi come l’antica Damasco o “Rajm al-Hari” nel Golan, un antico sito astronomico dell’età del bronzo, o anche con le spiegazioni dettagliate dei dipinti europei considerati poco decifrabili.
L’esperimento mostra anche la crisi siriana, questa volta osservando i primi momenti della primavera del 2011 e come i siriani hanno interagito con essa, non solo da parte di chi credeva nella rivoluzione, ma anche di chi non capiva e rifiutava e coloro che non hanno preso posizione nelle strutture statali e negli alti funzionari di vario genere.
L’autore fa parte del romanzo
Il gioco del soggetto e del pubblico tenta ancora lo scrittore che ama considerarsi parte dell’evento e della scena, senza volerne essere il centro, ma un suo testimone e un dettaglio dei suoi dettagli, prima di passare alle grandi questioni, al pensiero e alla filosofia.
Gli eroi di Aljamiado sono persone comuni, i cui nomi sono diventati brillanti, alcuni hanno lasciato le impronte senza voler apparire, altri hanno inciso la loro presenza con le unghie. Tutti si stanno muovendo verso un futuro che sarà difficile da fotografare.
Nel romanzo, di 224 pagine, sembra che il narratore stia cercando di dire che quella sorta in Siria è una civiltà, indipendentemente dai suoi molti volti e identità, incarnata da una statua o una frase sfuggita al tempo degli Omayyadi, o un vecchio orologio appeso a un muro, o un estratto da un libro di storia.
Ciò che lega tutto questo è l’accuratezza e la coerenza, poiché nulla di quanto accaduto sul suolo siriano è stata solo una ‘futilità’, piuttosto un contesto connesso, che viaggia verso le scene politiche e i corridoi in cui sono state prese le decisioni che hanno cambiato il destino della siriani prima del tempo della rivoluzione e nei punti di svolta della rivoluzione stessa.
Domande che necessitano di risposte profonde
Il critico e scrittore siriano Mustafa Abdel Qader descrive ‘Al Jamiado’ come un romanzo che porta nel profumo della storia con i suoi giardini mai visti prima sul retro, trasportandoti attraverso tempi lontani in una forma di pensiero coerente secondo un contesto continuo, prove inconfutabili, riscoperte e rappresentate.
Autore Redazione Arabia Felix
Arabia Felix raccoglie le notizie di rilievo e di carattere politico e istituzionale e di sicurezza provenienti dal mondo arabo e dal Medio Oriente in generale, partendo dal Marocco arrivando ai Paesi del Golfo, con particolare riferimento alla regione della penisola arabica, che una volta veniva chiamata dai romani Arabia Felix e che oggi, invece, è teatro di guerra. La fonte delle notizie sono i media locali in lingua araba per dire quello che i media italiani non dicono.