Il quadro complessivo della situazione è allarmante. Nonostante i progressi nelle cure l’infezione non è ancora debellata, in particolare nei Paesi più poveri
L’Istituto Superiore di Sanità ha recentemente pubblicato il notiziario secondo il quale nel 2023 l’Italia ha registrato un incremento significativo delle nuove diagnosi di infezione da HIV, segnando un ritorno ai livelli precedenti alla pandemia di COVID-19.
Con 2.349 nuovi casi segnalati, pari a un’incidenza di 4 per 100.000 residenti, il nostro Paese si colloca comunque al di sotto della media dell’Europa occidentale, che si attesta a 6,2 nuove rilevazioni per 100.000 abitanti.
Dopo un periodo di calo costante dal 2012 al 2020, dal 2021 ha ripreso a crescere, nonostante parte di questo aumento possa essere attribuito al recupero delle diagnosi ritardate durante la pandemia.
Dalle rilevazioni della Fondazione Veronesi, risulta che l’86,3% delle nuove diagnosi è attribuibile a trasmissioni sessuali, con una predominanza dei casi tra uomini che hanno rapporti sessuali con uomini, che rappresentano il 38,6% del totale.
Seguono i maschi eterosessuali, 26,6%, e le femmine eterosessuali, 21,1%, mentre gli altri vettori di trasmissione, come l’uso di droghe per via iniettiva, sono sempre più marginali, costituendo solo il 3,4% dei casi.
L’età mediana è di 41 anni, con una leggera differenza tra uomini, 42 anni, e donne, 39 anni. La fascia d’età più colpita è quella di 30 – 39 anni, 28%, seguita dai 40 – 49 anni.
Ma ciò che desta maggiore preoccupazione è l’aumento tra gli over 50, ormai il 29% dei nuovi casi, con un’incidenza più alta di diagnosi tardive e di progressione verso l’AIDS.
Un altro dato rilevante riguarda gli stranieri, che costituiscono il 36,9% dei nuovi screening. In questo gruppo la trasmissione eterosessuale è la modalità prevalente, 59,7% dei casi, con una proporzione maggiore tra le donne, 35,8%, rispetto agli uomini, 23,9%.
La diagnosi precoce rimane più frequente nelle relazioni tra uomini, mentre ritardi significativi sono osservati tra gli eterosessuali, con conseguenze negative sia per la gestione clinica, sia per la salute pubblica.
In linea generale i dati del 2023 indicano un ritorno alla crescita e il progressivo aumento pone l’accento sulla necessità di rinnovare gli sforzi di prevenzione e di sensibilizzazione nei confronti dell’infezione che, seppur più controllata rispetto al passato, solleva ancora timore, se si pensa agli under 14, in prevalenza giovani donne, che perdono la vita ogni giorno nel mondo, in un contesto in cui sono ancora molte le persone che non riescono a beneficiare della terapia antiretrovirale.
In occasione della Giornata mondiale di lotta all’AIDS del 1° dicembre, l’UNICEF evidenzia che nel 2023 ogni giorno 330 bambini di età compresa tra 0 e 14 anni hanno contratto l’HIV; oltre 90.000 fanciulli e adolescenti morti per cause legate all’AIDS, circa 250 vite al giorno, dei quali il 73% dei quali di età inferiore ai 10 anni; 2,4 milioni le piccole vittime che nel mondo si sono ammalate di l’HIV nella sola fascia di età 0 – 19 anni.
Il 77% degli adulti con HIV beneficia della terapia antiretrovirale, ma solo il 57% dei minori da 0 a 14 anni e il 65% degli adolescenti da 15 a 19 anni, ne hanno accesso.
Senza un’azione urgente per affrontare l’impatto sproporzionato dell’HIV sulle ragazze e le giovani donne, in particolare nell’Africa sub-sahariana, i risultati faticosamente ottenuti nella risposta all’HIV potrebbero andare perduti.
A livello globale, 96.000 ragazze e 41.000 ragazzi di età compresa tra i 15 e i 19 anni hanno sviluppato l’HIV, il che significa che 7 su 10 nuovi malati sono ragazze.
Nell’Africa subsahariana, 9 nuovi contagi da HIV su 10 avvengono tra giovani ragazze di 15 – 19 anni, e sebbene nell’ultimo decennio, a livello mondiale, si sia registrato un notevole calo di nuovi contagi da HIV tra i bambini e gli adolescenti, secondo le ultime stime disponibili le giovanissime donne faticano ancora ad accedere a servizi di prevenzione e supporto adeguate.
UNAIDS, il programma delle Nazioni Unite per l’HIV e l’AIDS, pone in evidenza che l’impossibilità di accesso alle cure salvavita è un problema che riguarda complessivamente 9,3 milioni dei 39,9 milioni di persone che vivono con l’HIV nel mondo, ovvero quasi una su 4.
Lo scorso anno, prosegue UNAIDS, 630.000 individui sono morti per malattie legate all’AIDS e 1,3 milioni nel mondo hanno acquisito di recente l’HIV; inoltre, in almeno 28 Paesi, il numero di nuove infezioni si estende, pertanto, per ridurre la tendenza della pandemia, è indispensabile che i programmi salvavita siano accessibili senza timore a tutti coloro che ne hanno bisogno.
Nomonde Ngema, attivista 21enne per l’HIV, dichiara:
A nessuna ragazza dovrebbe essere negata l’educazione e l’informazione di cui ha bisogno per rimanere al sicuro. La discriminazione e la violenza contro le ragazze devono essere affrontate come un’emergenza per i diritti umani e la salute.
Secondo Winnie Byanyima, Direttore esecutivo di UNAIDS:
Nonostante gli enormi progressi compiuti nella risposta all’HIV, le violazioni dei diritti umani impediscono ancora al mondo di porre fine all’AIDS.
Quando alle ragazze viene negata l’istruzione; quando c’è impunità per la violenza di genere; quando le persone possono essere arrestate per quello che sono o per quello che amano; quando una visita ai servizi sanitari è pericolosa per le persone a causa della comunità da cui provengono, il risultato è che le persone non possono accedere ai servizi per l’HIV, che sono essenziali per salvare le loro vite e per porre fine alla pandemia di AIDS.
Per proteggere la salute di tutti, dobbiamo proteggere i diritti di tutti.
Anurita Bains, Direttrice Associata dell’UNICEF per l’HIV/AIDS, asserisce:
Molti Paesi hanno fatto passi da gigante per porre fine all’AIDS, tuttavia i bambini e gli adolescenti non stanno raccogliendo appieno i benefici dell’accesso su larga scala ai servizi di cura e prevenzione.
Coloro che sono colpiti da HIV devono avere la priorità quando si tratta di investire risorse e sforzi per aumentare le cure per tutti, anche attraverso l’espansione di tecnologie innovative per i test.
Direzione opposta per 19 Paesi e territori che hanno ottenuto la certificazione per avere eliminato la trasmissione madre – figlio dell’HIV e della sifilide, di cui 11 nelle Americhe, e recentemente in Belize, Giamaica, arcipelago di Saint Vincent e Grenadine; in Africa, Botswana e Namibia sono stati certificati come in via di eliminazione.
I dati del 2023 evidenziano l’urgente necessità di intensificare le campagne di prevenzione e sensibilizzazione sui rischi dell’HIV. L’aumento delle diagnosi legate a comportamenti sessuali a rischio e l’alta prevalenza di quelle tardive riflettono criticità nella percezione del pericolo e ostacoli nell’accesso ai test di screening, soprattutto tra le categorie più vulnerabili.
Le istituzioni sanitarie e la società civile, devono collaborare per rendere i test più accessibili, ridurre le disuguaglianze nell’accesso ai servizi e combattere lo stigma che ancora frena molti dal sottoporsi al test HIV.
Solo attraverso politiche di prevenzione efficaci, espansione dei programmi di educazione sessuale e una rete di assistenza sanitaria inclusiva, sarà possibile invertire questa tendenza.
L’obiettivo rimane quello di costruire una società più consapevole e informata, in cui l’HIV sia contrastato con mezzi efficaci e integrati, avvicinandoci, così, al traguardo di una generazione libera dal virus.
Il percorso dell’infezione HIV dal contagio all’AIDS, è un processo complesso che evolve in diverse fasi, se non trattato. Il virus HIV attacca il sistema immunitario e conoscere questo percorso è essenziale per comprendere l’importanza della prevenzione, della diagnosi precoce e della terapia.
Quando si contrae l’HIV, i primi segni dell’infezione possono manifestarsi già dopo due o quattro settimane. Questa è la fase acuta, in cui il virus si moltiplica rapidamente nel corpo.
Molti avvertono sintomi simili a quelli di un’influenza: febbre, mal di gola, linfonodi ingrossati e un senso di stanchezza diffusa. Alcuni possono anche avere un’eruzione cutanea. Tuttavia, non tutti presentano segnali evidenti e ciò rende l’infezione difficile da individuare in tale fase.
In questo periodo, la carica virale, cioè la quantità di virus nel sangue, è molto alta, rendendo l’infezione altamente contagiosa. Nel frattempo, il sistema immunitario comincia a combattere, riducendo temporaneamente la quantità di virus in circolo.
Dopo la fase acuta, l’infezione entra in una sorta di ‘pausa’, la latenza cronica, che può durare diversi anni, mentre il virus continua a replicarsi a livelli più bassi e a colpire gradualmente i linfociti T CD4+, le cellule fondamentali del sistema immunitario.
Per molte persone, questa fase è asintomatica: ci si sente bene, senza segni evidenti della malattia. Tuttavia, il danno al sistema immunitario avviene in modo silenzioso. Senza trattamento, la quantità di cellule CD4+ continua a diminuire, rendendo il corpo progressivamente più vulnerabile a infezioni e malattie.
Con il calo significativo delle cellule CD4+, il sistema immunitario inizia a mostrare segni di debolezza. Ecco che possono comparire i primi sintomi evidenti, come infezioni ricorrenti, ad esempio, candidosi orale o herpes zoster, febbre cronica, diarrea persistente o una perdita di peso inspiegabile. Anche il semplice raffreddore può diventare più difficile da gestire.
Senza trattamento, l’HIV può progredire fino all’AIDS, Sindrome da Immunodeficienza Acquisita, lo stadio più avanzato dell’infezione. Ciò accade quando le cellule CD4+ scendono sotto una soglia critica o quando il corpo è colpito da gravi infezioni opportunistiche, come la polmonite da Pneumocystis Jirovecii, la tubercolosi, o il sarcoma di Kaposi, un tumore raro ma molto aggressivo.
A questo punto, il sistema immunitario è così compromesso che non è più in grado di proteggere l’organismo.
Oggi, grazie ai progressi della medicina, l’infezione da HIV non è più una condanna come lo era in passato. Le terapie antiretrovirali permettono di controllare il virus, impedendo che si replichi e mantenendo il sistema immunitario forte. Se il trattamento viene iniziato precocemente, le persone con HIV possono vivere una vita lunga, senza mai sviluppare l’AIDS.
La chiave è la diagnosi precoce e testarsi regolarmente, soprattutto per coloro che afferiscono a gruppi a rischio, è fondamentale. Oltre al trattamento, esistono oggi anche strumenti di prevenzione efficaci, come la PrEP, profilassi pre-esposizione, che riduce il rischio di contrarre l’HIV.
Grazie alla scienza e alla consapevolezza, il percorso dall’HIV all’AIDS può essere interrotto. Ma è essenziale agire tempestivamente per trasformare una potenziale tragedia in una storia di speranza e resilienza.
Autore Adriano Cerardi
Adriano Cerardi, esperto di sistemi informatici, consultant manager e program manager. Esperto di analisi di processo e analisi delle performance per la misurazione e controllo del feedback per l’ottimizzazione del Customer Service e della qualità del servizio. Ha ricoperto incarichi presso primarie multinazionali in vari Paesi europei e del mondo, tra cui Algeria, Sud Africa, USA, Israele. Ha seguito un percorso di formazione al Giornalismo e ha curato la pubblicazione di inchieste sulla condizione sociale e tecnologia dell'informazione.