Art.67 Costituzione – Divieto del vincolo di mandato: ancora attuale nel sistema politico odierno nonostante la continua frattura tra corpo elettorale ed eletti ed allontanamento dalle cabine elettorali?
Mi pregio, da allievo presso l’Università degli Studi di Trieste di un insigne giurista costituzionale ed emerito ordinario di diritto costituzionale quale il Prof. Augusto Cerri, di sollevare un problema che non è più tanto banale nel nostro sistema politico attuale, quale quello del divieto del vincolo di mandato parlamentare.
Ogni membro del parlamento rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.
Questo è il contenuto dell’articolo 67 della Costituzione italiana, nonché la fonte giuridica che giustifica o giustificherebbe una delle libertà più importanti di deputati e senatori, ossia agire liberamente all’interno degli Organi costituzionali dei due rami del Parlamento.
Quel principio trovava dunque formale codificazione nello Statuto Albertino, all’art.41, a tenore del quale
I Deputati rappresentano la Nazione in generale, e non le sole provincie in cui furono eletti. Nessun mandato imperativo può loro darsi dagli Elettori
ove il divieto di vincolo di mandato veniva, tuttavia, posto nei soli confronti dei territori e degli elettori, non certo, in quella fase, nei confronti dei partiti politici, che ancora non solo non esistevano, ma non erano nemmeno strutturati nella società civile.
Con il regime politico successivo, anteriore alla seconda guerra mondiale, si cambiò il sistema rappresentativo con quello corporativo.
In quel particolare contesto storico si volle sostituire la rappresentanza parlamentare con quella corporativa, ma, sommessamente, sarebbe opportuno rafforzare, oggi, la rappresentanza parlamentare con una maggiore responsabilizzazione dei suoi rappresentanti verso il corpo elettorale che li ha designati.
Ma siamo sicuri che oggi questo sistema stabilito dalla nostra Architettura Costituzionale sancito dall’art. 67 sia ancora in linea e nel rispetto “in primis” con la democrazia e secondariamente con la volontà degli elettori.
Sulla base del principio sancito dalla norma costituzionale dell’art.67 sopraindicata e nel nome della libertà di pensiero dei nostri politici, si ritiene che se non vi fosse questa norma non vi sarebbe democrazia e/o stabilità nei governi che si sono succeduti nel tempo, ma soprattutto saremmo in un Paese illiberale, tradendo i principi che derivano dalla rivoluzione francese, che è diventata, nel tempo, uno dei capisaldi su cui è stata diffusa l’idea moderna di democrazia rappresentativa in tutti i Paesi.
L’assemblea Costituente italiana, scaturita dopo l’epilogo della guerra ed alla quale oggi tutti noi dobbiamo le nostre libertà, riuscì certamente a creare una linea di orientamento costituzionale ben precisa, purtroppo con un Governo frutto di una legge elettorale inidonea, ma utile solo per quel momento storico e sorto con un suffragio popolare e con aspirazioni democratiche di parte del Paese, tuttavia “tradita e sabotata dalla mancanza di una democrazia valida, dalla impossibilità di formare un governo che, nato dalla consultazione popolare, potesse poi operare con coerente libertà, con responsabile decisione, con accettata autorità, nel nome della maggioranza e sotto il controllo dell’opposizione”… Poiché, soprattutto, “la mancanza di un’opposizione coerente e autorevole, capace di offrire un’alternativa di governo, era stata dall’origine la caratteristica negativa del regime pseudoparlamentare italiano” (cfr cit. autorevoli costituzionalisti quali Giuseppe Maranini e di Piero Calamandrei nelle parole di ‘La crisi della rappresentanza liberale’).
Le prestigiose citazioni di illustri costituzionalisti, come sopraindicati, tuttavia, impongono, nell’attuale sistema politico rispetto a quello delineato nel dopoguerra, delle riflessioni ed, in particolare, che il parlamentare non ha un obbligo giuridico, sulla base di tale norma costituzionale, nei confronti del suo elettore né di indicazioni specifiche di programmi politici né di risultati, tutto ciò sulla base di una legge elettorale limitata ed imperfetta, ma solo una responsabilità politica e morale verso i propri elettori… pena la non rielezione imposta dai capi partito.
Ma questa è una “fictio iuris” perché se non vi è una conseguenza del “tradimento” del parlamentare verso il suo elettorato, basta cambiare partito, peraltro consentito dai regolamenti parlamentari di Camera e Senato, iscriversi al gruppo misto e poi decidere dove tira il “vento migliore” per farsi rieleggere alle prossime elezioni… e la “giostra” continua, a tutti i livelli, nelle successive legislature, senza che l’elettore possa realmente fornire indicazioni al rappresentante eletto e, soprattutto, determinando, in tal senso, una vanificazione del suo voto o indicazione di voto.
Il sistema parlamentare oggi ha più una deriva anarchica rispetto al suo legittimo esercizio e nel rispetto della sovranità popolare.
Intanto, l’elettore si dimentica del tradimento del suo rappresentante, perché deve combattere con i problemi quotidiani, ma la cosa più grave è che si allontana dalle elezioni ad ogni tornata e si verifica che, in differenti appuntamenti elettorali, l’afflusso dei votanti cresce in maniera vertiginosa ma… in senso negativo…
Questo è, sommessamente, il più grande “vulnus” alla democrazia, perché se non si riavvicina l’elettorato ai suoi rappresentanti si avranno in futuro elezioni, a qualsiasi livello, amministrativo e politico, con poche decine di migliaia di elettori e non milioni e… rappresentanti eletti con “quorum” assolutamente preoccupanti, che non rispecchieranno mai la reale volontà popolare.
Tale sistema politico ha portato a interne debolezze del sistema parlamentare decaduto a parlamentarismo – termine usato dall’autorevole costituzionalista Calamandrei – alla cronica instabilità dei governi, all’invadenza dei partiti, che impongono, attraverso i loro parlamentari, senza alcun vincolo di mandato verso i propri elettori, una linea politica spesso non coincidente con le esigenze della collettività e contraddittoria, alle discussioni inconcludenti delle assemblee… con spesso immagini durante i lavori parlamentari poco edificanti e alla loro inettitudine al lavoro legislativo minuzioso e preciso, poco chiaro ed alla mancanza di una maggioranza omogenea, seria e risoluta e frutto dell’espressione popolare e di un’opposizione competente e costruttiva.
Tutto ciò, sicuramente, deriva anche da ragioni più antiche e più generali, di carattere sociale ed economico e aggiungerei… morale
Il ragionamento che fa la gente comune è: “perché dovrei andare a votare se il mio voto non conta nulla?” Invece dobbiamo fare in modo che il voto di ogni cittadino sia la base giuridica delle scelte dei suoi rappresentanti e sia rispettato.
Normalmente viene risposto che è il sistema che impone al corpo elettorale di designare i propri rappresentanti all’assemblea legislativa, successivamente il Colle, tramite il suo Presidente, chiama i rappresentanti del parlamento per formare la maggioranza del futuro governo.
Tutto giusto, tuttavia, da anni, vediamo parlamenti ed eletti che hanno cambiato partito di appartenenza e tali rappresentanti sono stati determinanti per la formazione di governi che sono stati costruiti da altre maggioranze rispetto a quelle che erano state votate dal corpo elettorale.
Con la antitesi sicuramente democratica dei partiti, si è arrivati alla degenerazione dell’esautoramento dei poteri veri del parlamento perché non coordinato da una politica che raccolga le istanze del corpo elettorale… se non nel momento delle elezioni.
L’unico che tentò di tenere assieme il divieto di vincolo di mandato e disciplina di partito fu Costantino Mortati; nella sua visione, infatti, disse in un accorato discorso:
Non sarebbe stata inimmaginabile una norma costituzionale che, pur proclamando ogni deputato rappresentante della Nazione intera, avesse previsto la stretta dipendenza del mandato dalle vicende del rapporto tra parlamentare e partito.
Nella realtà i partiti decidono, attraverso i loro capi ed i regolamenti interni – rectius… statuti che prevedono l’espulsione -, essendo il nostro Paese una democrazia diretta rappresentativa, la linea politica ed i parlamentari devono uniformarsi, pena la non rielezione.
Alcuni sostengono che, detta così, determinerebbe una sorta di dittatura per cui la linea politica indicata dal capo partito potrebbe produrre, in alcuni casi, un programma non in linea con le esigenze della collettività e, pertanto, ben vengano le opinioni dissenzienti dei parlamentari appartenenti a quel gruppo.
Il problema è vero solo in parte perché sono i partiti che, attraverso tutti i propri futuri parlamentari e quindi i loro partiti di appartenenza, che si presentano agli elettori e devono perfezionare ed indicare un programma preventivo realizzabile e concreto – rectius… e non ‘La Città del sole’ il cui autore era Tommaso Campanella – e giurarlo ai propri elettori e, quindi, sono il partito ed i suoi rappresentanti, compreso il suo vertice, che devono creare quel rapporto stretto di fiducia sia di obblighi e doveri tra loro ed il proprio corpo elettorale, pena la revoca del mandato parlamentare dell’intero partito e dei suoi rappresentanti.
Il vincolo di mandato costituisce ed ha sempre costituito una prerogativa funzionale che è oramai rimasta isolata ed è forse l’unica norma quella dell’art.67 della nostra Costituzione che non ha mai subito sostanziali modifiche neppure parziali.
Se si fa una riflessione rigorosa e scevra da ogni ideologia politica, per tutte le altre prerogative, discorso diverso, invece, ha riguardato l’evoluzione delle immunità parlamentari, in particolare alla rivisitazione del concetto dell’inviolabilità, che ha rotto quell’equilibrio tra ordine giudiziario e Parlamento, dopo i famosi casi che hanno attraversato la nostra storia politica degli ultimi venti anni e che hanno devastato interi partiti a torto o ragione, sarà la storia a dircelo.
D’altra parte, la nostra Corte regolatrice delle leggi, la Corte Costituzionale, ha valorizzato il vincolo di mandato, assegnando, ai singoli parlamentari, la possibilità di sollevare, in astratto, il sindacato di corretto esercizio della funzione legislativa, riconoscendo che il conflitto di attribuzione può essere attivato a difesa “della facoltà, necessaria all’esercizio del libero mandato parlamentare, di partecipare alle discussioni e alle deliberazioni esprimendo opinioni e voti”, posto che i ricorrenti possono agire proprio”a tutela del potere di partecipare al procedimento legislativo che la Costituzione riconoscerebbe loro quali rappresentanti della Nazione”, in un contesto comunque di generale “sindacabilità” delle prerogative parlamentari.
Tutto ciò sarebbe regolare se quell’esercizio fosse realmente attivato dai singoli parlamentari e non vi fosse un allontanamento del rappresentante dal suo corpo elettorale.
Secondo la Corte Costituzionale esso
si esprimerebbe tramite la presentazione di progetti di legge e di proposte emendative (art. 71 Cost.) e tramite la partecipazione all’esame dei progetti di legge sia in commissione sia in aula (art. 72 Cost.).
Tale potere
implicherebbe altresì la possibilità per ciascun parlamentare di addivenire alla conoscenza del testo, di formarsi un proprio convincimento e una propria posizione sul medesimo, nonché di manifestare pubblicamente tale posizione
ancorché poi, nel caso di specie, la stessa Consulta abbia precisato che
ai fini dell’ammissibilità del conflitto, non è sufficiente che il singolo parlamentare lamenti un qualunque tipo di vizio occorso durante l’iter legislativo, bensì è necessario che alleghi e comprovi una sostanziale negazione o un’evidente menomazione della funzione costituzionalmente attribuita al ricorrente, a tutela della quale è apprestato il rimedio giurisdizionale innanzi a questa Corte ex art. 37, primo comma, della legge n.87 del 1953.
Purtroppo, il rappresentante è e deve essere in costante rapporto con il medesimo corpo elettorale e deve ascoltare di più le sue esigenze, verificandole sul territorio e non andando presso i propri collegi solo quando deve raccogliere consensi, per cui la sua figura viene sempre di più considerata nell’esercizio delle sue funzioni e prerogative lontana dagli interessi della collettività
Questo perché sia nei “media” sia nelle emittenti televisive si usa sempre il solito sistema di non far capire alla gente su cosa si sta discutendo e sembra che chi urla di più abbia ragione, non comprendendo che “il silenzio”, per chi lo sa usare come metodo di vita, quando parla l’altro interlocutore è la forma più elevata di democrazia e di rispetto per colui che ha divergenti opinioni, così si costruisce una democrazia!
Una sostanziale estraneità del popolo all’attività ed alle scelte parlamentari, fu, peraltro, definita anche da Hans Kelsen nel ‘Libero mandato parlamentare. Saggio critico sull’articolo 67 della Costituzione’ e la causa risiedeva nel fatto che le moderne assemblee rappresentative, purtroppo, per la loro composizione, non hanno le conoscenze tecniche necessarie per fare buone leggi in tutti i settori della vita sociale; ciò ha portato, come inevitabile conseguenza, all’irresponsabilità dei deputati nei confronti dei propri elettori e, passatemi il termine, anche all'”odioso” privilegio dell’immunità penale.
Nei tempi moderni, nei sistemi democratico-pluralisti “nelle elezioni assume rilievo preponderante l’adesione a un programma, quindi il consenso al partito, e solo mediatamente ed in linea subordinata la scelta degli uomini”; i candidati, del resto, sono designati dagli organi di partito, “che predispongono minuziosamente anche il giuoco delle preferenze, e debbono perciò la loro riuscita al partito, di guisa che, ad onta di qualsiasi divieto costituzionale, la rappresentanza politica finisce, in concreto, per fondarsi su un mandato di partito” (fonte autorevole costituzionalista Vezio Crisafulli in Aspetti problematici del sistema parlamentare vigente in Italia, cit., p. 155 e 156).
Da un’esegesi approfondita della Costituzione emerge che i partiti hanno una loro funzione ben precisa prevista all’art. 49, ma è anche vero che le loro strutture non possono essere disgiunte dai principi sanciti dall’art. 1 Cost. “che, attribuendo la spettanza (titolarità ed esercizio) della sovranità al popolo, e perciò escludendo la cosiddetta sovranità diretta del Parlamento, implica altresì che l’operato delle Camere e dei loro componenti debba essere conforme agli orientamenti politici popolari”, precisando poi che “sono proprio i partiti, nella società contemporanea, che formano detti orientamenti politici, dando loro espressione organica e precisa” in quanto nella norma si stabilisce:
Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.
Ed allora non possono escludersi e divenire dirompenti, oggi più che mai, alcuni correttivi e limiti all’art. 67 Costituzione i quali dovrebbero essere introdotti per ripristinare quel senso di appartenenza del rappresentante (parlamentare) al suo corpo elettorale, imponendo, assolutamente, ai singoli partiti quel vincolo di mandato, ovviamente estensibile ai rappresentanti appartenenti a quel partito, creando una linea di demarcazione nel rapporto tra partiti e parlamento, un più stretto rapporto di collaborazione e un più stretto vincolo di mandato fiduciario con il proprio corpo elettorale.
In conclusione, secondo il mio sommesso avviso, tutto risiede nel rapporto tra le due norme costituzionali sopracitate l’art. 67, che sancisce il divieto di vincolo di mandato, da un lato, e gli artt. 1 e 49 Costituzione.
In tali norme si riflette il reale contemperamento tra i principi liberali, che aspirano garantita la libertà di coscienza e di iniziativa dei parlamentari, e quelli democratici, che prevedono la stretta dipendenza dei parlamentari dal corpo elettorale, e, perciò, determinando, come inevitabile conseguenza, l’esigenza di creare maggiormente incolato un mandato al partito rispetto al corpo elettorale e la revoca in corso di legislatura.
Introdurre sanzioni pecuniarie nei propri “statuti di partito” o espulsioni non risolve giuridicamente l’effetto primario, che può essere sancito solo attraverso la vincolatività del mandato parlamentare tramite maggiori obblighi ai partiti e rispetto delle indicazioni formulate con il voto ai rappresentanti dai suoi diretti interessati, ossia il corpo elettorale.
Il vincolo di mandato deve essere esteso a qualunque movimento politico e, quindi, ai suoi rappresentanti… non si può più prescindere dal semplice rimedio costituzionale dello scioglimento anticipato delle Camere… anche perché, oramai, la creazione di un governo che sia espressione della volontà popolare è un lontano miraggio e il corpo elettorale ha necessità di tornare ad essere ascoltato.
Tutto quanto sopra indicato si impone e si imporrebbe, in questo momento storico e nella prossima legislatura, sotto il profilo di concreta e seria modifica dell’architettura costituzionale, anche alla luce degli interventi, in campo internazionale attuale – vedasi cessione armi alla Ucraina divenendo “de facto cobelligeranti” ed in violazione degli artt.11 e 78 Costituzione -, da parte del Governo in concorso con le scelte del legislatore, disattesi tali interventi da tutti i sondaggi popolari che sono contro le scelte del Governo e dei parlamentari che non rispecchiano più la volontà popolare che si è espressa verso altre e ben definite direzioni… ossia un intervento pacificatore, tramite organismi sovranazionali quale l’ONU ed una contrarietà totale alla cessione delle armi alla Ucraina, ritenuta come una totale violazione della Carta ONU, Trattato NATO, Trattato Unione Europea e… ”dulcis in fundo” della Carta Costituzionale.
Ultima annotazione: uno dei Paesi che ha introdotto in Europa il vincolo di mandato è il Portogallo e non mi sembra che sia un Paese illiberale.
Autore Maurizio Colangelo
Maurizio Colangelo, nato il 28.09.1963 a Gemona del Friuli (UD), residente a Roma, coniugato e padre, tramite procedura adozione internazionale con la Comunità di Sant’Egidio, di un ragazzo del Burkinafaso. Diplomato al Liceo classico di Belluno, Laurea in Giurisprudenza Università di Trieste, militare assolto nelle forze speciali italiane nell’ambito manovre NATO degli Alpini Paracadutisti - Rangers, Delegato nazionale per il Lazio dall’Associazione Nazionale Paracadutisti Rangers. Avvocato Internazionale. Master presso la Scuola Superiore degli Affari Esteri. È stato Sostituto Procuratore onorario della Procura di Roma, Vicepretore della Pretura di Roma, attualmente ricopre anche incarico di Giudice onorario di Tribunale e già assegnatario alla sezione specializzate in materia familiare e diritto civile. Docente e collaboratore esterno a contratto nel Master Violenza Interpersonale: Bullismo - Mobbing – Stalking: Strategie efficaci e modelli psicosociali integrati per l’identificazione e la gestione dei conflitti e dei comportamenti aggressivi in soggetti vittime di vessazioni e atti persecutori nella Università telematica Pegaso Anno accademico 2020/2021. Autore di differenti articoli, monografie nelle tematiche di Diritto Familiare, Penale e Comunitario, Costituzionale e Diritto internazionale e Diritto Unione Europea. Relatore in convegni ed artefice di casi giudiziari di rilevanza nazionale: Affittopoli, Compagnie petrolifere, abusivismo medico. Componente del Comitato scientifico Collana Editoriale Le Monadi Aracne Editrice. Autore di ‘Legal Thriller Illegalità Sommersa’ distribuito dalla Mursia Editore, presente nelle Fiere di NewYork, Francoforte, Londra, Roma e Torino. Autore di libro sul Bullismo e Cyberbullismo, vincitore di due premi internazionali. In data 15 dicembre 2017 gli è stata consegnata Onorificenza dall’Ordine Avvocati di Roma per i 25 anni di professione e lustro attribuito all’Ordine in conseguenza della attività forense svolta.
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