Il racconto di un amore tragico nel corto di Danilo Rovani
Danilo Rovani, straordinario e poliedrico artista, che abbiamo applaudito, intervistato e recensito più volte e a cui ci lega un affettuoso rapporto di amicizia, torna ad emozionare, stavolta in veste di sceneggiatore e regista, attraverso il suo intenso cortometraggio ‘A modo mio’, con i bravissimi Cosimo Alberti e Denise Capuano, prodotto da Itinerari di Napoli di Massimiliano Sacchetto e Carmela Autiero e iKen ONLUS.
Un delicato ma straziante racconto di un episodio di cronaca nera che si tinge delle più bieche sfumature di transfobia, che si svolge a Caivano (NA), ma che diviene anche manifesto contro il bullismo omofobo.
Un amore “sbagliato” secondo la famiglia di Maria Paola Gaglione, appena maggiorenne, “colpevole” del fatto che il suo cuore batta per Ciro Maglione, registrato all’anagrafe come Carmela, alle prese con un complesso processo di transizione di genere.
La vicenda è nota. Nella notte tra il 10 e l’11 settembre 2020 ad Acerra (NA), durante un inseguimento in motorino, il fratello di lei, Michele Antonio, tagliando la strada al mezzo, speronandolo e scalciando contro la sua scocca, lo fa ribaltare. La rovinosa caduta provoca la morte della sorella. Michele Antonio, tra rabbia e dolore, si scaglia contro Ciro, pestandolo a sangue.
Attualmente è in corso un processo a suo carico, con l’accusa di omicidio volontario, con l’aggravante dei futili motivi, la cui prima udienza si è discussa il 7 aprile 2021, davanti alla II sezione della Corte d’Assise di Napoli con Migliore e l’Arcigay Napoli costituiti come parte civile.
Forte l’eco mediatica in tutta Italia, anche se la famiglia dell’imputato ha sempre rigettato la tesi della transfobia, dichiarando di non ritenere Ciro una persona affidabile solo a causa dei suoi precedenti legati a fatti di droga.
La riflessione di Rovani, partendo dalla vicenda reale, si incentra contro il pregiudizio in sé e sul diritto di ognuno di assecondare la propria natura, rimarcando che il vero errore consiste nell’etichettare, per ignoranza, il più dolce dei sentimenti per farlo rientrare nei canonici standard accettati dai più.
La libertà di amare, in senso lato, senza intromissioni esterne, seguendo la propria indole: questo, in sintesi, il messaggio del suo splendido lavoro. Ed ecco spiegato il perché del titolo: ‘A modo mio’.
Data la sua spiccata sensibilità non è certo la prima volta che Danilo si concentra su tematiche sociali scomode e vite fuori dagli schemi, condotte spesso in luoghi violenti, dove l’assenza di futuro e di cultura, sono terreno fertile per prepotenza e bullismo. Non ci stancheremo mai di ripeterlo: il suo immenso talento merita, senza dubbio, scenari internazionali.
Dopo aver visionato questa bellissima opera, una rimpatriata è d’obbligo per uno scambio di battute, con la scusa di una cena che rimandavamo da troppo.
Danilo, perché hai sentito l’esigenza di realizzare ‘A modo mio’?
La mia reazione alla notizia di questa morte assurda è stata fortissima, per più motivi.
Primo, trovo inconcepibile che, ancora oggi, si debba sottostare a dettami sociali per i quali amare solo chi ha delle specifiche caratteristiche, piuttosto che la persona in sé.
Secondo, è inaccettabile che un percorso tanto privato come quello che conduce al cambiamento di sesso debba interessare altri individui oltre il diretto interessato.
Terzo, è gravissimo che la famiglia di origine, quella che dovrebbe sostenerci incondizionatamente, sia invece la prima ad ostacolare un legame sincero e ricambiato, aggredendoci verbalmente e fisicamente, sfociando in comportamenti violenti, culminati, poi, in una tragica fatalità.
Quarto, il pensiero che sia successo a pochi chilometri dalla mia città, l’ha reso ancor più angosciante; mi sono accorto, ancora una volta, di quanto crescere in un certo ambiente possa essere castrante per il proprio sviluppo personale, sociale, emotivo e culturale.
Ho sentito quindi il bisogno impellente di sublimare un episodio così crudele attraverso la scrittura, anche per dare un segnale di svolta, e ho immaginato un dialogo tra Maria Paola e Ciro e un resoconto ad un ipotetico intervistatore.
È stato lo stesso Cosimo Alberti, amico da non so più quanto tempo, con cui lavoro spessissimo, a spronarmi affinché ne nascesse una sceneggiatura. A quel punto, apprezzandone la validità, è stato naturale coinvolgerlo.
Sei più a tuo agio nella veste di sceneggiatore o di regista?
Scrivo perché ho la necessità di farlo, per capire quali sono i miei limiti e provare a travalicarli, riflettere, migliorarmi.
Credo ci siano più livelli di scrittura: quello dello sceneggiatore, quello del regista e quello dell’attore. Il primo mette su carta una parte delle sue intenzioni e, confrontandosi con il regista, se è capace di entrare in sintonia con lui, riesce ad arricchire la propria idea tramite le indicazioni con cui quest’ultimo andrà a dirigere l’attore, il quale si troverà, quindi, a confrontarsi con un personaggio ed una storia che potrebbero già aver subito delle modifiche rispetto all’originale.
Se costui è un attore “pensante” e, studiando la parte, ha la capacità di fare una proposta seria, dare una nuova visione, diventa una terza autorialità.
Se, in questo senso, sono tutti aperti a nuove possibilità, si instaura una sorta di circolo virtuoso, che, in quanto valore aggiunto, potenzierà l’opera stessa.
A quel punto, il regista sarà solo colui che livellerà ciò che, in sostanza, è un lavoro corale, nato da un sano e creativo confronto. Ed è ciò che è successo nel nostro caso.
Infatti, avendo le idee chiare, abbiamo girato un giorno in interno e uno in esterno, niente di più. Loro si sono preparati benissimo, io sapevo esattamente cosa volevo e, al montaggio, non ho avuto alcuna difficoltà.
Quando sono dietro la macchina da presa seguo il consiglio di Pasolini, ovvero nell’immaginare la scena in un film la associo sempre ispirata ad un quadro o a un pittore e mi accorgo o me lo fanno notare, che alcuni piani sequenza, così come tinte, luci ed inquadrature, sembrano proprio quelle di una tela.
La tua linea narrativa si snoda tra la strada, a bordo dello scooter, e il nudo palco di un teatro vuoto, quello del Sannazaro di Napoli; perché hai scelto di ambientarla anche in una sala?
Volevo evidenziare una linearità netta, ma, al contempo, metafisica e atemporale, in modo che, come tributo alla loro unione, ma anche omaggio alla vittima, i due protagonisti fossero prima i personaggi e, subito dopo, diventassero degli attori alle prese con le prove di uno spettacolo. Il tutto narrato, in modo evocativo e poetico, attraverso la lente cinematografica.
Ma c’è anche una citazione, quella della prova in un teatro vuoto, poiché abbiamo girato nel gennaio del 2021, quando ancora le sale erano totalmente chiuse e il mondo dello spettacolo era agonizzante. Nell’imparare delle battute, ho chiesto loro di recitare non solo sul palco, ma anche in platea e in camerino, per mostrare che, per un attore, l’azione di memorizzazione è continua.
Ho scelto un teatro bello e grande come il Sannazaro, di forte impatto immaginifico, con la pianta all’italiana, per evidenziare ancora di più l’operazione metateatrale e visiva che volevo realizzare. Lei in primo piano, con la messa a fuoco, lui, più in alto, distante, su cui poi si va in campo largo; è un effetto che, da un punto di vista pittorico, mi attirava molto.
Mentre i due protagonisti sono sul motorino c’è quasi una sovrapposizione di piani, è come se lei fosse su un livello più alto rispetto a lui, perché?
Mi piaceva rispettare una certa geometria di inquadrature; quella stessa scena l’avrei potuta girare in maniera più semplice con loro due seduti sul motorino fermo, ma, invece, volevo, dare l’idea del continuo movimento.
L’operatore, che è anche il direttore della fotografia, mi ha assecondato. L’ho legato sull’auto con le cinghie, affinché fosse al sicuro mentre riprendeva, perché la parte metropolitana risultasse attiva.
Ero partito mettendo a fuoco su Cosimo dall’alto, che in quel preciso attimo, era fisso davanti a sé, in silenzio, poi, appunto per una questione di geometria, sono andato sotto, su di lei, che, per questo, eterea, sembra stia già andando “altrove”.
Si tende ad assimilare, in maniera automatica, una sorta di taglio, di visione, per cui la camera deve essere viva e lo spettatore dentro l’azione; le carrucole ci sono servite per rendere l’oppressione che Ciro prova.
È stato semplicissimo dirigerli. “Pietas e non pathos”: questa è la chiave per me. Abbiamo lavorato sulle intenzioni, sul pulire quello che magari poteva essere un po’ più finto rispetto a ciò che, invece, poteva essere più vero.
Cosimo, ad esempio, in più occasioni ha dichiarato di essersi affidato a me completamente. Da attore prima ancora che regista, mi sono steso a terra accanto a lui, per mostrargli quella stessa veemenza che cercavo; è stato perfetto nel tradurre e traslare le mie emozioni secondo la sua specifica sensibilità. Quando lo dirigo, si spinge a darsi artisticamente in modo così personale, che fa fuoriuscire poi un aspetto di sé che, fino ad allora, non aveva ancora espresso pienamente.
Quanto a Denise, con lei ho recitato meno rispetto alle volte in cui l’ho diretta, quindi non ci sono stati livelli lavorativi troppo sfalsati. Da ottima interprete, sa ascoltare, mettersi in gioco ed essere propositiva.
A corredo, le bellissime musiche di Pasquale Ruocco, diventano parte di questa narrazione; strazianti quando devono esserlo, pur non indugiando in potenza; sono un commento lieve, delicato, senza aggiungere altra forza.
Pur trattandosi di un crimine non hai mostrato il sangue, ma l’anima che si eleva e non hai introdotto il personaggio di Michele Antonio, come mai?
Il racconto del passaggio ultraterreno, la stessa sintesi del loro amore, sono racchiusi nel mazzo di fiori che, lanciato per strada, plana e cade sul palco a rallentatore. Si tratta di un rimando ai fratelli Coen, i quali, nei loro film, sono soliti usare un oggetto che vola per sintetizzare il cuore del plot. L’ascesa di Maria Paola era, appunto, nella scena del motorino di cui parlavo prima.
Non ho inserito il personaggio del fratello perché per me è solo una vittima, anche involontaria, di una sottocultura, secondo la quale, con quell’azione, avrebbe mondato la sorella per portarla di nuovo sulla “retta via”, dato che, per lui, non è possibile amare una persona dello stesso sesso, che, per giunta, sta facendo un percorso di trasformazione.
Per la tematica trattata e per la qualità del prodotto, il corto è stato scelto come manifesto contro il bullismo omofobo, presentato, in anteprima assoluta, la scorsa estate, alla prima edizione di OMOVIES@SCHOOL International Film Festival. Come si è arrivati a questo risultato?
Itinerari di Napoli, la produzione, si è collegata ad I Ken, la postproduzione, che ha fondato OMOVIES Festival, che nel 2021 ha dato vita ad OMOVIES@SCHOOL International Film Festival, una kermesse per sensibilizzare le scuole alla tematica LGBTQ+; questo corto è diventato, per loro, il manifesto contro l’omofobia e la violenza di genere in toto. La produzione si è rivolta essenzialmente a festival e a concorsi.
L’ultima comunicazione è stata la selezione ufficiale al festival ‘Capri Hollywood’.
Una bella soddisfazione per tutti noi.
Passiamo quindi al protagonista maschile, Cosimo Alberti, altro carissimo amico, con cui ci siamo confrontati più volte in occasione di sue notevoli performance artistiche, intrise di recitazione, canto e ballo.
Considerata la drammaticità della vicenda, quanto ‘A modo mio’ resta attuale?
Il lavoro è una dedica alla povera Maria Paola, che non è più tra noi. La storia, in un certo senso, ricorda molto l’archetipo di Romeo e Giulietta: la coppia innamorata che viene ostacolata dalla famiglia.
Un film struggente così com’è stato concepito da Danilo, con immagini neutre in bianco e nero, che ripercorrono non solo la cronaca nera, quella che siamo stati abituati a leggere sui quotidiani dal dopoguerra ad oggi, che ci mostrava persino il sangue nero, ma dessero anche l’idea di rarefazione, offuscamento, lontananza, in una sorta di malinconico ricordo di un qualcosa che non esiste più.
Il cortometraggio, a metà fra reportage e fiction, in questo specifico momento storico e sociale in Italia è attualissimo e, in un certo senso, lo sarà sempre.
Penso alla Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, che si celebra ogni anno il 25 novembre, così come penso al fallimento del DDL Zan, dello scorso 27 ottobre, che sosteneva la legge contro l’omotransfobia, di cui, forse, si tornerà a discutere tra qualche mese.
Di certo, quest’opera è il simbolo contro ogni violenza che, oggi, invece di regredire sembra acuirsi sempre più e, oltre ad essere un inno all’Amore e all’estinta, è anche una sottolineatura, una sensibilizzazione verso l’importanza della tutela dei diritti di Tutti.
Sono stato orgoglioso di prendervi parte, innanzitutto perché amo il cinema e sul set mi sento a casa, poi perché ogni mio progetto è proiettato verso la Settima Arte, che sa essere un motore importantissimo per la diffusione di quei messaggi che mi stanno a cuore.
Il desiderio era appunto che il corto diventasse il manifesto contro il bullismo omofobo, cosa che, grazie ad Itinerari di Napoli e ad I Ken è stata possibile.
Come ti sei preparato per un personaggio non facile come quello di Ciro?
Maria Paola e Ciro, persone a rischio che provengono dalla periferia abbandonata in cui spadroneggiano violenza ed ignoranza, vogliono vivere il loro amore “a modo loro” e, per farlo, vanno contro tutto e tutti, anche contro la famiglia.
Come ribadisco spesso, non esistono amori “normali” ed amori “anormali”, ma semplicemente amori “naturali”; lo stesso Piero Angela, in una sua celebre trasmissione, ha rimarcato che le relazioni omossessuali hanno le stesse dinamiche di quelle eterosessuali.
È stato molto difficile impersonare Ciro, nato biologicamente donna, che, in adolescenza scopre di sentirsi un ragazzo e diviene un transgender, perché, da attore brillante, di matrice comica, sono solito vestire i panni di caratteri buffi, naïf, assecondando il mio carattere allegro, ma il mio mestiere impone debba misurarmi con ruoli svariati.
Ho fatto un profondo lavoro di ricerca in me, ricordando le mie esperienze di vita, i soprusi subiti in quanto omosessuale negli anni Ottanta, un periodo piuttosto retrogrado, in cui, per evitare di essere ferito, ho dovuto celare la mia vera natura per diversi anni e, quando venivo scoperto o mi dichiaravo a qualcuno, ero deriso, additato, bullizzato, anche se non ho subito violenze fisiche notevoli, tranne da mio padre.
Poi, con il tempo e con la maturità, ho capito che bisogna mostrarsi per ciò che si è, perché nella singola interiorità risiede il proprio essere speciali.
Ho quindi scavato dentro me stesso, per far uscir fuori le emozioni, la triste condizione psicologica in cui versavo all’epoca, lavorandoci su così da poter inscenare, in alcuni momenti, delle fasi drammatiche che difficilmente oggi troviamo rappresentate a teatro, in televisione o al cinema.
Dopo averli scovati in me li ho amplificati, modellati e ho seguito le precise indicazioni registiche di Danilo, a cui mi lega un’amicizia fortissima, con cui lavoro da anni e con cui sono sulla stessa lunghezza d’onda, che mi permette di abbandonarmi, completamente, a quelle che sono le sue intenzioni.
Ho un profondo rispetto dei ruoli, è difficile che, da attore, imponga la mia visione al regista, il quale, avendo la visione complessiva, sa esattamente cosa chiedere ad ognuno per realizzare il progetto a cui tende.
Recitare con Denise è stato naturalissimo, la compagna ideale in scena, in più siamo amici e questo rende ancora più forte la nostra intesa sul campo.
Spero di aver fatto un buon lavoro, ma, soprattutto, spero che possa avere la risonanza che merita, artisticamente e tecnicamente, perché il messaggio che lancia è importantissimo. Per questo, mi auguro vivamente che possa essere distribuito in più scuole possibili, perché occorre sensibilizzare le platee giovani al rispetto e alle libertà personali. Ognuno deve essere se stesso, senza condizionamenti, senza temere giudizi, discriminazioni, isolamento. L’Amore è e resta componente basilare della nostra esistenza.
Terminiamo, infine, con Denise Capuano, laureanda in Fisica, protagonista femminile di vari corti di successo e figurante in noti film e serie TV nazionali ed internazionali, sempre alle prese con doppiaggi e podcast, il cui prepotente talento l’ha portata, con lo stesso Rovani, ad esibirsi, nel 2019, in uno spettacolo teatrale nelle sale del Senato della Repubblica. La ragazza, di certo, ha davanti a sé un radioso futuro artistico.
Denise, raccontami la ‘tua’ Maria Paola.
Non è una donna facile da inquadrare, non rientra nello schema della società in cui vive e, per questo, è rivoluzionaria; per entrare bene nella parte ho dovuto analizzarla da un punto di vista totalmente differente.
Non è stato semplice ricreare, con una verità, quella trepidazione, perché io non ho il suo vissuto, ma il mio compito era cercare di risultare il più credibile possibile, scavare nell’interiorità, e ciò mi ha richiesto un impegno considerevole, innanzitutto viscerale, per pescare le mie fragilità, che, tra l’altro, nel periodo in cui giravamo, erano molto evidenti, trattandosi per me di un momento delicato.
Immediato, invece, è stato entrare in sintonia con Cosimo, che è stato davvero un compagno straordinario, e farmi guidare da Danilo, che nei miei momenti di indecisione, dovuti alla poca esperienza rispetto a loro, professionisti navigati, mi hanno spronata ed incoraggiata.
È come se, sotto di me, sentissi una sorta di rete di sicurezza; anche un errore, in realtà non sarebbe stato fine a se stesso, ma grazie al loro supporto, si sarebbe trasformato in un’opportunità per progredire come individuo e come artista.
Credo che quello che ha provato lei non sia poi molto distante da ciò che avrei potuto sentire io se mi fossi trovata nella sua situazione; la purezza, la verità del suo amore sono meccanismi identici per tutti, ma lei è andata oltre l’apparenza e si è coraggiosamente imbarcata in una relazione con una donna alle prese con un percorso di transizione di genere, a dispetto della famiglia che la considerava ‘nfettata. Questo è stato un qualcosa di totalmente avulso da ciò che poteva accadere ad una coetanea.
Tra di noi c’è indubbiamente una difformità caratteriale, in quanto è la classica napoletana verace, con una personalità distante dalla mia, ma se ci soffermiamo, specificatamente, sull’essenziale, si tratta pur sempre di una storia d’amore e, in questo, non ho avuto difficoltà a riprodurla, in quanto sono andata a recuperare ciò che ho dentro di me, i miei sentimenti, che, mediati dall’interpretazione e dall’interazione con Cosimo, si sposano, poi, con l’intenzione registica.
Scene molto intense, ma rese con una sublime leggerezza, che rendono il romanticismo dell’amore. Come hai dosato malinconia e spensieratezza?
La malinconia deriva dal fatto che stavamo impersonando attori che interpretano dei personaggi, dunque, con un sentore del finale, trattandosi di una vicenda reale, che si era già verificata.
La spensieratezza, invece, dalla bellezza del sentimento che era sbocciato tra i due e che, man mano, cresceva. Una leggerezza faticosa da acquisire, per il tipo di storia e di testo, che, a ben guardare, è anche molto teatrale, trattandosi, di una serie di monologhi.
Aiutata da Danilo, ho fatto un lavoro di sottrazione, eliminando, per quanto possibile, il troppo pathos con cui ero portata a rendere le scene iniziali, perché le stesse, affrontate con maggiore semplicità, erano paradossalmente in grado di assicurare un risultato più incisivo.
Com’è stato recitare in un napoletano così stretto, rispetto al tuo italiano pulitissimo?
Mi sono sentita molto a mio agio, anzi, mi è più naturale il napoletano che l’italiano. Nonostante sia nata nella città partenopea ho sempre vissuto in provincia, quindi la mia versione in vernacolo è filtrata, rispetto all’idioma originale, riconosciuto ed arcaico, che, con tutte le sue regole, è difficilissimo, eppure, penso che siano pochi i miei conterranei che non sappiano parlarlo.
Quando accadeva che pronunciassi una parola secondo l’inflessione tipica del mio paese, Sant’Anastasia, Danilo, da purista della lingua, ma soprattutto da buon regista, ci teneva a correggermi, perché non avrei reso a dovere il personaggio di Maria Paola e, di certo, un napoletano non avrebbe gradito una cadenza diversa da quella “ufficiale”.
Nelle scene girate in teatro, rispetto alle altre, hai cambiato una serie di espressioni del viso, passando dal sognante, al disincantato, al teso, all’amareggiato per poi essere incorporea, come in una nuvola. Perché questo è successo solo a teatro?
In teatro l’atmosfera era diversa, intima, al contrario del contesto urbano, più vivo e movimentato.
La sala, con il suo spazio ristretto al contrario dell’esterno, ha permesso una serie di primi piani su cui poter poi andare a riassumere sprazzi di storia. Ecco spiegate la diversa mimica facciale, a corredo dei vari momenti, raccontati o semplicemente ricordati, attraverso la musica.
Sicuramente il più intimo e complesso e, in un certo senso, il più catartico e liberatorio, è stato quello in cui lei, ormai spirito, asserisce che vorrebbe parlare ma che non può, perché c’è solo silenzio, scena che, in verità, abbiamo girato pochissime volte, forse proprio perché così carica da sentirla e farla mia completamente.
Nel realizzarla, mi sono riallacciata alla precedente, in cui Cosimo, straziato a terra, invoca il nome dell’amata. La memoria di quel grido di dolore è stata il trampolino di lancio affinché vi io entrassi appieno.
A supportarmi, inoltre, è stato anche il ricordo della prova che Danilo, poco prima, aveva fatto con Cosimo per mostrargli quale fosse l’intensità da ricercare e da riprodurre per avere quella drammaticità in cui si racchiude tutto l’assurdo della vicenda.
L’urlo di Danilo mi ha svuotata, permettendomi di essere riempita da nuove e più vivide emozioni, che, diversamente, non avrei saputo rappresentare.
Spero che la resa sia all’altezza, ma, ancor più, spero che questo corto serva a non dimenticare Maria Paola e Ciro e il loro amore, infangato da ignoranza e odio e tramutato in atrocità.
Crediti
‘A modo mio’
scritto e diretto da Danilo Rovani
Con Cosimo Alberti e Denise Capuano
Una produzione Itinerari di Napoli in collaborazione con Iken
D.o.p/operatore Peppe de Muro
Montaggio Massimiliano Sacchetto
Suono in presa diretta e mix audio Luca Ranieri
Assistente operatore Deborah Veneziano
Gaffer Antonio de Muro
Segretaria di edizione Antonella de Falco
Make up Livio Vono
Ispettore di produzione Carmela Autiero
Assistente di produzione Laura Carnevale
Musiche originali Pasquale Ruocco
Traduzione e sottotitoli Viktoriya Galik
Driver Giacomo Terracciano
Ufficio stampa Roberta D’Agostino, Gabriella Diliberto
Ufficio stampa per Iken Alessandro Savoia
Autore Lorenza Iuliano
Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.