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Internet Festival di Pisa, odio online figlio di vuoti e disagio

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Monica Barni


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Barni: ‘Non è colpa della rete, costruiamo una strategia’

Riceviamo e pubblichiamo da Agenzia Toscana Notizie.

La rete che aiuta e avvicina le persone, la rete che odia e spinge alla violenza.

Non si può dare sempre la colpa ad internet, che è solo un mezzo e uno strumento

chiarisce subito la Vicepresidente della Toscana, Monica Barni. Ma di quello che passa sulla rete non ci si può disinteressare: come l’uso delle parole che si fa, specchio di fenomeni e comportamenti molto più profondi.

Le parole e le cose si intrecciano e il mondo passa attraverso le parole

spiega la Vicepresidente, citando da linguista De Mauro. Per poi da politica e donna delle istituzioni aggiungere:

Arginare un fenomeno come quello delle parole d’odio in rete vuol dire anzitutto conoscerlo.

Acquisiti i dati e fatta una diagnosi occorre poi costruire una strategia fatta di azioni diverse, un lavoro che si intreccia con i temi della memoria ma diretto allo stesso obiettivo: informare, formare e far sì che si insinui, soprattutto nelle giovani generazioni, quello spirito critico che oggi manca.

Di odio online si è parlato oggi all’Internet Festival di Pisa, l’evento che da giovedì anima, come succede da otto anni, dieci luoghi diversi della città.
Ad ascoltare anche molti giovani e studenti. L’appuntamento era nella sala degli Stemmi, all’ultimo piano della Scuola Normale.

Dalle finestre ci si affacciava stamani su una piazza affollata di bancarelle di libri.
L’odio e le parole d’odio, ricorda la sociologa Chiara Saraceno, sono sempre esistiti: nella relazione tra le persone, nei libri appunto. La rete semmai le moltiplica, come una valanga.
Su internet tutta va più veloce e aumenta la permeabilità rispetto alla società.

Su internet quelle parole sembrano viaggiare impunite e nella rappresentazione di un sé diverso da quello reale, nel gioco di costruzione di una maschera, positiva o negativa, che molti usano in rete, sembrano sfuggire al controllo. Spaventa la velocità furiosa e facilità con cui da un problema si arriva ad individuare una soluzione, senza un’analisi critica.

In modo superficiale. Di più: i messaggi d’odio – lo raccontano gli esperti – fanno guadagnare consensi. La paura serra i ranghi e quel mondo semantico si fa strada.
Lo fa, raccontano la ricercatrice della Cesare Alfieri di Firenze Giorgia Bulli e il matematico Giovanni Baldini autore de ‘La galassia nera suFacebook’, in modo a volte latente e insospettato: attraverso eventi musicali, iniziative sportive o momenti di solidarietà, riempiendo i vuoti, di servizi, e la solitudine di certe periferie delle città. Quel vuoto e il tentativo di risposta ad un disagio, è stato ricordato stamani, che un tempo provava a riempire la sinistra.

Ma l’odio online non riguarda solo la politica: le donne sono le più colpite. L’odio diventa qualcosa per affermare se stessi e l’esser parte, inconsapevolmente a volte, di un Uno più vasto. Come difendersi? Indagando il fenomeno anzitutto.

Spiega ancora Barni:

Lo facciamo con il confronto di oggi, che non è una semplice partecipazione ad un evento ma una tappa di una politica articolata.

Lo facciamo anche attraverso l’osservatorio sui nuovi fascismi e i fenomeni xenofobi a cui abbiamo dato vita come Regione l’anno scorso, partendo appunto pure lì dall’analisi di quello che accade in rete e passa sui social media.

Lo facciamo con l’aiuto anche delle Università: storici, sociologi, politologi, semiologi e linguisti insieme.

Per capire come si sviluppano le nuove forme di intolleranza e poi elaborare una strategia di azione di lungo periodo. E naturalmente serve educazione.

Prima di parlare occorre ascoltare

ricorda Edoardo Colombo, formatore di ‘ParoleO_Stili’, l’associazione che nel 2016 ha scritto il Manifesto della comunicazione non ostile.

Aggiunge:

Le parole hanno conseguenze e condividerle è una responsabilità. Le idee si possono discutere, ma le persone si devono rispettare.

Tutto nasce spesso da un stereotipo, un luogo comune o una falsa rappresentazione, che è già un modo di depersonalizzare l’altro. È questa la base della piramide dell’odio.
Al gradino successivo ci sono le discriminazioni, quindi il linguaggio dell’odio e in cima i crimini dell’odio. Un effetto cumulativo.

Conclude Barni:

La risposta non può che passare necessariamente anche dal sostegno alla cultura e di una pluralità culturale e di un’offerta che non escluda nessuno, ma aiuti il dialogo e il pensiero critico.

Un lavoro lento ma che è l’unico che può premiare. Si dà la colpa sempre a internet e ai social, che però rispecchiano una condizione e un clima esterni alla rete.

Il web non si ferma e l’odio neppure. Occorre saperli gestire.