Il ruolo del giurista nell’attuale società italiana
Paolo Grossi (2002)
La storia giuridica del ‘900 può essere compresa come una “riscoperta delle complessità all’interno del giuridico”, con il conseguente crollo dei vecchi valori e il complicarsi del sereno paesaggio giuridico precedente. Lo Stato vedeva affermarsi violente fonti opposte e il ruolo della legge ne usciva sempre più sminuito, mentre entravano in crisi profonda i due cementi tipici della cittadella borghese, il legalismo e il formalismo, poiché il diritto, complesso di norme autorevoli, aveva preteso di scindersi dal meta-diritto vagliando ciò che veniva dall’esterno. Oggi tale processo sta venendo a piena maturazione. Ieri, l’ordinamento giuridico si identificava con lo Stato e riferendosi a legalità, si intendeva qualcosa di unilaterale ed certo: il rispetto della legge dello Stato quale garanzia per l’uguaglianza giuridica di tutti i cittadini. La legge era un dato formale, un ordine indiscutibile contenuto in un testo preciso. Oggi invece l’ordinamento giuridico si prospetta come “realtà non compatta ma a molteplici dimensioni” con “molteplici gradi di legalità”: ordinaria, costituzionale, sopranazionale. Inevitabile è il declino della legge nella forma in cui il vecchio positivismo l’aveva forgiata, o almeno il complicarsi del problema delle fonti anche a livello di diritto ufficiale; la prassi riaffiora così dalle profonde segrete in cui il diritto borghese l’aveva relegata. Lo spostamento della linea storica dall’egemonia della legge al predominio della prassi prende centralità e fa presagire concretizzazioni sempre maggiori. La produzione del giuridico, prima rigidamente controllata dal diritto borghese, si libera finalmente dai vincoli stringenti; la genesi del diritto sembra scoprire le vecchie origini pluralistiche della tradizione preilluministica e prerivoluzionaria. I rapporti tra norma ed interpretazione/applicazione: l’ermeneutica giuridica. Gadamer ha rimarcato il carattere esemplare dell’ermeneutica giuridica, innalzandola a modello per simili operazioni intellettuali; questa “rivoluzione” consiste nel non scindere il momento di produzione della norma da quello di interpretazione/applicazione, nel reputare quest’ultima non la spiegazione di un testo chiuso e indisponibile, ma “l’intermediazione necessaria e vitale fra l’astrattezza della norma e la concretezza storica dell’interpretazione/applicazione”. L’attenzione si sposta dall’istante di produzione alla vita della norma nel tempo e nello spazio; il processo normativo si coglie non come concluso all’atto della produzione, ma inglobante in sé l’interpretazione/applicazione; si dà finalmente all’interprete/applicatore un ruolo attivo, ben diverso dalla passiva esegesi e si sfuma la durezza della norma che la rapidità quotidiana del mutamento rivela intollerabile. L’interpretazione giuridica diventa coinvolgimento e quindi creazione nel complesso processo formativo. Si ha quindi la massima rivalutazione del momento applicativo nell’unità complessa dell’itinerario normativo. Con l’ermeneutica giuridica si recupera l’interpretazione/applicazione. Vi è un altro contorno in cui prassi e scienza si uniscono armonicamente: la globalizzazione/mondializzazione. Nel pianeta giuridico “globalizzazione” significa che i protagonisti della vita economica, per più ragioni insoddisfatti della normazione degli Stati, iniziano a dar vita ad un diritto più vicino ed efficace, divengono produttori di diritto, con il risultato che accanto al diritto ufficiale dei singoli Stati o di comunità sopranazionali, si struttura un diritto privato perché creato dai privati per proteggere i propri interessi, che corre parallelo, effettivo ma tacito; è un diritto che intende i bisogni della prassi economica e che vuol edificare strumenti ordinativi ad essa simmetrici. Il diritto della globalizzazione è un diritto che si muove su un tracciato diversissimo da quello degli Stati ed interpreta la fase finale di quel processo che tende al primato della prassi. La globalizzazione, provenendo dall’area anglo-americana, porta con sé la formazione ideologica, culturale, tecnica propria del common law. Il common law corre ininterrotto dal medioevo inglese fino a noi, mantenendo il suo carattere di diritto estra-legislativo fatto da giuristi, perché tecnici, affidato ai giudici considerati come i giuristi maggiormente espressivi di un diritto interpretato come esperienza. Al contrario, il civil law, marcato a fuoco dall’illuminismo giuridico e dalla rivoluzione, si pone in rapporto di discontinuità con tutto il patrimonio culturale e ideologico pre-rivoluzionario, venera ed assolutizza legge e legislatore, assestandosi come diritto statuale e legislativo. La circolazione del modello di common law, grazie all’ondata globalizzatoria, rinvigorisce anche sul piano di cultura giuridica il primato della prassi. La convinta percezione che il diritto sia una dimensione del sociale da proteggere il più possibile dalle morse della politica, ha una sua effettiva tecnicità, riconosce il ruolo del giurista come “personaggio dal sapere specialistico, pratico”. Oggi, momento di “crisi nelle consolidate certezze, di transizione, di turbamenti, di scoramenti”, la figura dello storico è rincuorante, perché può indicare il delinearsi di nuovi valori, di nuove certezze tra cui spicca indubbiamente il nuovo ruolo della prassi giuridica.
Autore Lorenza Iuliano
Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.