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Dalla società di società alla insularità dello stato: fra Medioevo ed età moderna

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Paolo Grossi (s.d.)

L’antico verso il moderno: malgrado l’apparente continuità del flusso storico c’è una marcata discontinuità che separa l’universo medievale da quello moderno. Lungi da impensabili isolamenti, si coglierà la dimensione giuridica immersa nel complesso di forze che orientano e formano un certo assetto di civiltà. paolo_grossiSi tratta di una dimensione radicale, che si origina dal profondo di una civiltà e ne contrassegna i valori più basilari. Il giurista, grazie al suo sguardo penetrante, sarà in grado di sorprendere e comprendere le novità affioranti nelle diverse maturità dei tempi che la storia ci propone. “Società di società”: situazione francese trascinatasi fino al sec. XVIII e che portava l’immagine di uno Stato ancora incapace deliberarsi di antichi condizionamenti e di reliquie medievali. Il segno della discontinuità è tutto qui: in un medioevo che è pienamente società di società, in una modernità politica e giuridica da identificarsi in un processo liberatorio dello Stato, che sempre più si sforza di scrollarsi di dosso un pesante mantello di complessità sociale, di semplificarsi, di costituirsi in entità compattissima fino ad incarnarsi nella perfetta unità. Insomma, il moderno da cogliere essenzialmente come superamento dell’articolazione in società di società che non aveva permesso la manifestazione di un potere politico compiuto. Poiché lo storico affida alla comparazione il compito di segnare le scansioni essenziali del divenire, sarà opportuna una sosta su di essa al fine di esaltare senso e contenuti di medioevo e modernità. La civiltà che lentamente si va disegnando nella crisi dell’edificio politico romano e della cultura ad esso connessa, è una civiltà non più antropocentrica come quella classica, ma reicentrica, con un marchio di generale diffidenza in ogni emersione di individualità, diffidenza originata da una psicologia collettiva di sfiducia. Anche le due forze egemoni di questo occidente in marcia, la Chiesa di Roma e le diverse stirpi germaniche operavano in tal senso: la prima sospettosa ed ostile verso ogni potere politico forte, avvertito come costrittivo della propria azione nel sociale; le seconde portatrici di una psicologia del pubblico potere quale dimensione non sacrale. Ne risulta una natura cosmica con tutto il suo carico di forze misteriose; un assetto comunitario, ossia di tante comunità protettive in cui la società si organizzava e diversificava. Natura e assetto comunitario, entità deificanti tendenti a seppellire al loro interno le singole individualità. A livello sociale non emerge l’individuo, a livello politico non emerge un potere compiuto. Compiutezza per Grossi, non significa effettività di potere, ma onnicomprensività, monopolio del sociale che genera una straordinaria compattezza interna e una perfetta insularità esterna che si concretizzeranno nella modernità nell’archetipo dello Stato. I soggetti politici medievali sono invece caratterizzati da incompiutezza; emerge invece una società che non consente insularità. Le scelte socio-politiche medievali sono contrassegnabili con l’immagine della ragnatela perché la compagine di fili e non di punti isolati, ben rappresenta quella realtà relazionale dove i mille punti che la formano sono assorbiti in una struttura di fili, di relazioni. Una ragnatela così come una rete che oggi, in un momento di crisi dello Stato come potere politico compiuto, in un momento percorso da una tensione destatualizzante è possibile riproporre. “L’Europa delle reti”, un Europa percorsa da “interazioni eterogenee e complesse accomunate dalla loro incompatibilità con gerarchie di poteri, di rapporti, di funzioni”: appunto le reti. “La figura organizzativa denominata rete si contrappone a quella propria dello Stato. Questo è retto dal paradigma dell’unità…è un ordinamento chiuso e definito”. È il triopaolonfo del sociale nelle sue mille articolazioni ascendenti: famiglia, aggregati sovrafamiliari, corporazioni religiose, cetuali, professionali; trionfo del sociale e della comunità, di ogni forma comunitaria come intreccio di relazioni. Una fioritura vitale e virulenta che impedisce la condensazione intensissima dello Stato che è appunto il grande assente nel panorama medievale. Stato e sovranità vanno evitati perché il primo si manifesta ed esprime nel secondo che, a sua volta manifesta ed esprime una potestà assoluta. La sovranità è il cemento solidificante di una entità politica prettamente statuale fortificandone l’insularità. Il potere politico medievale, proprio perché marcato di incompiutezza vede il primato della società che evidenzia l’esigenza drammatica dell’ordine. L’ordine medievale è soprattutto ordine giuridico; il salvataggio di questa civiltà è soprattutto nel diritto, realtà di radici che rampolla dal costume e si consolida nella consuetudine; e ordo iuris diventa nozione centrale perché su di essa la società reperisce le proprie saldezze. Non un ordine legale estraneo se non ostile, non un ordine generale ed astratto, ma un ordine di matrice consuetudinaria pronta ad aprirsi al mutamento socio-economico incessante come armonia di una complessità. Se la società è realtà relazionale, l’ordine non lo è da meno; in esso è centrale la relazione e l’insieme delle relazioni. La ragnatela dell’ordine ha trame di fili, di rapporti; nel suo interno tutto è relativo; all’interno di quest’ordine non c’è posto per individualità rigide, sovranità isolanti; la sua trama si incarna in una rete di autonomie. È infatti l’autonomia l’assetto più congeniale ad un universo politico-giurico, come quello medievale, che è un universo di relazioni, giacché autonomia è nozione intimamente relazionale. L’assolutezza, che è peculiare alla sovranità, cede alla relatività di autonomia. L’universo politico-giurico medievale ci si presenta quale universo di relazioni fra entità diverse racchiuse in un ordine, ma che nell’ordine serbano le loro diversità segnate dai confini relativi all’autonomia. La scansione gerarchica in cui l’ universo politico-giurico medievale si innerva; posizione gerarchica perché situata all’interno di una gCorte-Costituzionaleerarchia; posizione gerarchica spersonalizzata, anzi il più possibile oggettiva. Il superiore, grazie al comando, permette all’inferiore di svolgere pienamente la funzione che è connessa al suo ruolo, lo agevola, lo favorisce. Il comando diviene pertanto atto razionale, conoscitivo, perché consiste in una lettura dell’ordine sociale, traendone delle conseguenze dovute. Se modernità vuol dire crisi dell’ordine medievale, dei suoi valori, delle sue certezze conquistate e riposate, gli storici della cultura, dei fatti sociali, del diritto non hanno da aspettare altro. Individuo e Stato saranno i futuri protagonisti del pianeta moderno. L’uomo nuovo moderno è insofferente all’ordine, deluso dalle cose ma fortemente interessato a distaccarsene, presuntuoso, intenzionato a reperire in sé il modello interpretativo della realtà cosmica e sociale. Tutto viene ridotto al rapporto fondamentale tra uomo e Dio, unico rapporto da tenere saldo e fermo: solo in questo rapporto l’uno può trovare la sua filiazione da Dio e la sua dignità al di sopra della natura. Una metafisica dell’uomo: la superiorità assoluta di Dio sull’uomo e dell’uomo sul mondo. Mentre l’uomo di San Tommaso d’Aquino è l’uomo intelligente, visto nei suoi rapporti col creato e da questo condizionato nei suoi atti conoscitivi, l’uomo dei francescani è il singolo operatore che afferma la propria libertà sulla e dalla realtà fenomenica, che ama e vuole e che nella carità e volontà consegue la sua perfetta indipendenza. Attraverso carità e volontà l’uomo riafferma la sua filiazione da Dio, il suo distacco metafisico dal mondo e la sua libertà. Libertà è dominium perché è l’antitesi della servitù e significa indipendenza assoluta del soggetto. Il rapporto soggetto/realtà sociale e realtà fenomenica è pensato, risolto, espresso in termini di dominium; la libertà del singolo è la capacità di esprimere completamente se stesso solo mediante forme possessive. L’individualismo moderno ha il suo esordio nella crisi del ‘300, con il disegno di un soggetto interiormente rinnovato, finalmente costruttore di un mondo sociale a sua misura. Il richiamo martellante all’unità del mondo sotto un unico pastore, il mondo identificato nella tunica del Cristo morente sulla croce. Tunica come metafora puntuale per restituirci l’universo politico/sociale/giuridico quale vasto tessuto onnicomprensivo, fitto di relazioni. Il nuovo reggitore produrrà diritto cogliendo in questo l’essenza del proprio potere sovrano. Il Principe moderno sarà il legislatore e il diritto, inteso come cemento per l’isola politica sarà sotto il suo controllo, contribuendo a definire meglio l’insularità del nuovo edificio statuale. Il nuovo Principe rigetta il diritto comune per creare un diritto nazionale, insulare per l’isola/Stato che da una normazione nazionale si rinsalderà nella sua insularità. Al fondo di questo incessante processo di statalizzazione del diritto vi è l’affermazione di un rigido monismo giuridico, con l’identificazione del diritto nella legge, cioè nella manifestazione di una volontà sovrana.

Autore Lorenza Iuliano

Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.