Non siete Stato voi. L’espressione è tratta da una canzone di Caparezza e descrive, oserei dire, a pennello la situazione in cui la famiglia di Stefano Cucchi si è ritrovata dopo la sentenza dell Corte d’assise d’appello, la quale ha ritenuto insufficienti le prove raccolto contro 3 guardie carcerarie, 3 infermieri e 6 medici.
Il procuratote Pignatone che ha seguito il processo, dopo l’incontro con Ilaria Cucchi sorella di Stafano, si è detto disposto a riaprire le indagini, a rivedere tutti gli atti dall’inizio del processo al fine di riuscire a trovare queste fantomatiche “prove inesistenti” per poter fare giustizia. Dopo il colloquio è arrivata la soddisfazione anche da parte di Ilaria, la quale, non si è mai scagliata contro il procuratore ma si è limitata ha dichiarare la sconfitta non del loro legale, ma dello Stato e della giustizia italiana.
Davanti a questa notizia l’indignazione del Paese è stata tanta: internet ed i social sono pieni di messaggi a sostegno della famiglia Cucchi e di esortazione affinché si assicurino i colpevoli alla giustizia. Anche personaggi del mondo dello spettacolo come Jovanotti e Adriano Celentano sui loro blog hanno espresso parole di sdegno verso la chiusura del processo. Celentano li definisce “giudici ignavi, che come diceva Dante sono anime senza lode e senza infamia e proprio perchè non si schierano nè dalla parte del bene nè da quella del male, sono i più pericolosi.”
Tutta la storia di Stefano, dal momento dell’arresto, è stata contrassegnata da tanti strani elementi: a partire dal fatto che nel verbale Stefano è stato registrato come residente in Albania e senza fissa dimora in Italia, probabilmente un errore di compilazione a causa del quale non gli venne dato il permesso di ottenere i domiciliari. Inoltre nello stesso provvedimento fu anche scritto che ” il pervenuto, interpellato, dichiara di non voler dare notizia del suo arresto ai propri familiari”; in verità i genitori di Stefano erano già a conoscenza di tutto, non solo perchè avevano assistito all’arresto, ma anche perchè gli fu comunicato dopo che i carabinieri si erano recati a casa Cucchi per perquisirla. Nell’ospedale penitenziario dove Stefano fu trasferito a causa delle percosse ricevute, non gli fu dato il permesso di vedere i suoi familiari, di parlare con l’avvocato e neanche con gli operatori sociali a cui Stefano stesso scrisse una lettera inviata però, il giorno dopo la sua morte.
Insomma ci sono tanti tasselli che dimostrano una palese e terribile verità: Stefano è stato ucciso da due guardie bigotte che gli cercarono l’anima a forza di botte. Bisogna intervenire, non solo colpendo i singoli, ma arrivando a smantellare i livelli superiori che attraverso pratiche di indottrinamento e istigazione alla violenza fomenta questi assassini.
Autore Monica De Lucia
Monica De Lucia, giornalista pubblicista, laureata in Scienze filosofiche presso l'Università "Federico II" di Napoli.