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Le tre rose di Riccardo

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Colonnello Vittorio Astori


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Intervista esclusiva a Riccardo Polizzy Carbonelli, che ne “Le tre rose di Eva” vestirà i panni del Colonnello Vittorio Astori

Le tre rose di Eva, la fiction Mediaset che appassiona da qualche anno milioni di spettatori, sta finalmente per tornare sugli schermi televisivi. Domenica 5 novembre, ore 21:10, su Canale 5 è infatti prevista la prima delle dieci puntate dell’attesissima quarta serie che racconta un’epopea immersa negli splendidi vigneti toscani dell’immaginaria Villalba.

Tante le novità di quest’anno, a cominciare da un colpo di scena inatteso una volta spenti i riflettori sulla terza stagione: la protagonista Aurora Taviani, interpretata dalla bravissima Anna Safroncik, è ancora viva, merito delle accese “proteste” dei telespettatori che la reclamavano nella trama, e, all’insaputa di tutti, ha trascorso due anni in coma, accudita da un misterioso personaggio.

L’adorato Alessandro Monforte, l’ottimo Roberto Farnesi, ormai rassegnatosi a quella che crede essere la morte della sua donna, ha ora un nuovo amore che fa da madre alla piccola Eva e questo porterà non poco scompiglio nella coppia. A complicare ancor di più la situazione si aggiunge l’ingresso nel plot di nuovi personaggi, gli Astori, con cui ci saranno risvolti inaspettati ed intriganti.

Ad impersonare il Colonnello Vittorio Astori è Riccardo Polizzy Carbonelli a cui ci siamo rivolti affinché ci parlasse di questa nuova avventura televisiva.

Ci racconti qualcosa del tuo personaggio, new entry ne “Le tre rose di Eva”?

Il Colonnello Astori fa parte della nuova famiglia che arriva nella quarta stagione a Villalba e avrà a che fare con gli storici personaggi, i Monforte e i Camerana.

Tutto nasce da una…. calamità naturale: una diga cede facendo straripare un fiume, rovinando terreni, vigneti e aziende vitivinicole. Il mio personaggio entra in scena apparentemente per supervisionare i lavori di riconsolidamento della diga, ma ha un secondo fine: affrancarsi da un passato poiché ha vissuto un’esistenza non voluta, continuando la carriera militare impostagli dalla Famiglia, mentre avrebbe desiderato seguire… l’Amore.

Ha un fratello maggiore, Carlo, interpretato da Corrado Tedeschi, una cognata, Lea, Daniela Poggi, tre nipoti, Fabio, ovvero Fabio Fulco, Fiamma, Gloria Radulescu, Ivan, Danilo Brugia, che purtroppo morirà in circostanze misteriose, legate all’incidente alla diga, e Lucrezia Farnese Astori, moglie di Ivan, interpretata da Laura Torrisi. Tutti sono convinti che il suo assassino sia Alessandro Monforte, Roberto Farnesi. Scatta così la vendetta personale della famiglia Astori, concorrente dei Monforte nella produzione di vini.

Nascono delle sinergie, delle investigazioni e in mezzo c’è, appunto, Vittorio, che cerca di strumentalizzare il sentimento di rivalsa verso i Monforte per portare avanti il suo progetto di riacquisizione della vita che avrebbe voluto vivere.

Il tuo Vittorio interagirà sentimentalmente con qualche personaggio femminile?

L’ordito è a sfondo noir però c’è anche un “sentimento forte” e ci sarà un’alleanza che potrebbe sfociare in una relazione, ma, ovviamente, non posso aggiungere altro.

Dove avete girato? Toscana, Lazio, Umbria?

Ovunque, nel Lazio. A Trevignano, a Nepi, a Roncignone, sulla via Appia a Roma in una villa immersa tra le meravigliose rovine romane, sulla Nomentana, in alcuni agriturismo, all’Ospedale Forlanini e in un Hotel della capitale con una bellissima SPA. Non c’è mancato nulla a livello di spostamenti perché erano tutti set esterni.

Per quanto tempo hai girato?

Quasi tutto il tempo della lavorazione della fiction stessa, che è durata 6 mesi: da ottobre 2016 a marzo 2017. Il mio è un personaggio molto presente e questa è la cosa di cui sono profondamente grato, sia per essere stato scelto, sia perché le due produzioni, quella di “Un Posto al Sole“, la FremantleMedia Italia, e quella appunto de “Le tre rose di Eva”, la Endemol Shine Italy, si sono trovate in una sinergia perfetta, lavorando in tandem, anche perché, oltre a me, c’era Luca Ward, nel ruolo di Ruggero Camerana, che si alternava tra i due set.

Ci sono state delle volte, in cui, molto carinamente, Luca si è anche sacrificato a viaggiare di notte per girare insieme alcune scene all’alba a Napoli per consentirmi di arrivare sull’altro set de “Le tre rose di Eva”.

Effettivamente, se io non avessi avuto tutte queste meravigliose persone, intendo anche le organizzazioni, le redazioni, le due troupe in generale, sempre così accoglienti, così disponibili, così fattive, avrei potuto realizzare veramente poco di quello che ho fatto. Naturalmente sono riconoscente anche alla RAI.

La lavorazione, iniziata con un caldo epocale, ha vissuto anche qualche condizione climatica critica, tra cui quella del grande gelo dei primi di gennaio: eravamo praticamente morti dal freddo ma dovevamo far finta di niente e muoverci e recitare con disinvoltura.

Ti vedremo già dalla prima puntata?

Sì! Il mio personaggio comparirà verso la fine della prima puntata che andrà in onda su Canale 5 il 5 novembre alle 21:10, mentre la seconda giovedì 9 novembre, sempre allo stesso orario.

Com’è stato l’approccio sul set de “Le tre rose di Eva”?

Il cast storico, affiatatissimo, ci ha accolti benissimo. È stato bello ritrovare i colleghi che non vedevo da tempo, così come lavorare per la prima volta con alcuni che già conoscevo, ma con cui non avevo mai interagito. È stato un set veramente gradevole, ma, in generale, l’esperienza che ha avuto anche i suoi momenti di fatica, è stata ripagata da un grande affetto e un grande afflato. Ognuno si preoccupava dell’altro, non solo attorialmente, ma anche fuori dal set.

Piuttosto credo che, a volte, il mio eccessivo entusiasmo e la voglia di scherzare, specie di prima mattina nel camper del “Trucco e Parrucco”, con convocazioni all’alba, abbia potuto infastidire qualche mio Collega, giustamente, con bioritmi… più umani.

D’altra parte, ho iniziato la mia carriera come attore di Teatro, quindi mi sono sentito sempre più un animale notturno visto che, dopo lo spettacolo serale, si andava a cena, si faceva tardi e, perciò, il giorno si dormiva. La cosa stupenda è che “Un Posto al Sole” mi ha insegnato a ritrovare un’estrema duttilità negli orari, un’immediata operatività, specialmente se si comincia a girare presto.

Sono grato sia del tipo di resistenza che ho sia perché esercito, parafrasando il mio Colonnello, un mestiere che non mi pesa, che non percepisco come lavoro. È proprio da questo che nasce il mio entusiasmo: mi sento un fortunato, un privilegiato.

L’alternativa sarebbe potuta essere così diversa che probabilmente non mi sarei né applicato, né realizzato e, tantomeno, divertito.
Per divertimento non intendo il “Dolce far Niente”, piuttosto il faticare senza avvertirne la stanchezza. È chiaro che non è la fatica fisica, spossante, dei lavori pesanti, la nostra è più psicologica, fatta di stress, di concentrazione, di Studio, di nervosismo o di spostamenti, che di logoramento fisico.

Entrare in una nuova serialità già strutturata, in cui i meccanismi sono ben rodati non è una novità per te. Che differenze hai notato rispetto al tuo ingresso in “Un Posto al Sole”?

Quando si lavora insieme per tanto tempo può accadere di essere poco accoglienti con l’esterno. È anche normale, poiché si è già… “Squadra” ed esiste un vissuto importante, insieme, fatto di lavoro, condivisione del Progetto e raggiungimento dell’Obiettivo. Ma questo non è accaduto.

Ecco un’altra analogia con “Un Posto al Sole”: il Cast storico, composto da Anna Safroncik, Roberto Farnesi, Karin Proia, Giorgia Würt, Luca Capuano, Euridice Axen, Luca Capuano, Giulio Pampiglione, Lucia Nunez, ci ha accolti stupendamente.

Mi sono affidato completamente e serenamente al Regista Raffaele Mertes; gli ho detto subito: “Tu sei il mio occhio ed il mio orecchio esterno. Dimmi tranquillamente dove sbaglio o se esagero, tanto non mi offendo, non sono permaloso”.

Lui ha impresso un sistema di lavoro perfetto. Con tutti i Capi Reparto della Troupe faceva una riunione la mattina presto, prima di iniziare a girare, impostando, così, la giornata lavorativa in modo da portare sempre a termine tutte le scene previste.

In che modo ti ha influenzato l’uniforme?

Indossare la divisa mi ha avvantaggiato sia perché è stato come avere un… “costume” diverso, così da allontanarmi un po’ da Roberto Ferri, sia perché mi ha dato la possibilità di rinverdire tutto quello che avevo sepolto del mio vissuto da Ufficiale di Cavalleria che, comunque, porto ancora nel cuore, anche a livello di serietà, disciplina e resistenza, per intraprendere la scuola di Teatro.

Durante le scene, ogni tanto, ci volevano dei toni di… “Comando” e, per quanto la disciplina, oggi non faccia più parte delle regole comportamentali dell’essere umano, nell’ambito militare, almeno, con una gerarchia da rispettare, ancora funziona e dato che i comandi sono sempre quelli e quando un Colonnello si arrabbia, si arrabbia veramente, lì, ho ripescato un po’ del mio trascorso… militaresco.

Quante volte, indossando quella divisa, ho ripensato a tutti i miei compagni del 111° Corso AUC, della Scuola Truppe Corazzate, “Caserma Ferrari Orsi”, di Caserta.
È stata un’emozione sconvolgente. Un tuffo nel passato, ho rivissuto la vestizione ed anche la svestizione, perché poi, ho abbandonato nuovamente la Divisa, con grande nostalgia nei confronti di quell’esperienza che mi ha dato veramente tanto.

Perché nelle avversità, durante le prove più dure, le volte che mi son trovato a dubitare di me stesso, se non ho mai cambiato lavoro o perso le speranze, oltre all’educazione ricevuta dalla mia Famiglia, devo dire anche grazie a quella ferrea morale, a quella tempra e all’aver acquisito quella conoscenza di me, che mi ha consentito di superare gli ostacoli per scoprirmi sempre più convinto e capace.

Indubbiamente, tornando al Colonnello Astori, c’è una differenza tra i personaggi. Lui avrà meno modo e meno tempo, rispetto ad un Roberto Ferri, di redimersi agli occhi del pubblico. Mi spiego. Nel corso degli anni, Ferri è stato disgraziato, disonesto, poi ha fatto ammenda, poi ha perso la memoria, poi ha perso l’amore della sua vita, poi ha pianto, poi è risorto, poi è ritornato cattivo, poi è ritornato buono, poi ha ripianto. È un personaggio che, nonostante le sue malefatte, è considerato ancora oggi, soprattutto dal pubblico femminile, un’adorabile canaglia, per mia fortuna.

Vittorio Astori avrà un’altra modalità per farsi, magari, apprezzare, spero, ma meno tempo per fare ammenda di se stesso. In un certo senso, raccolgo l’eredità dei cattivi delle serie televisive “classiche”, meravigliose, con cui sono cresciuto.

“Le tre rose di Eva” è una fiction che ha molto più successo di altre perché racchiude tanti generi in uno, quello melò, quello drammatico, quello un po’ spionistico, quello giallo, quello noir, quello perverso e c’è anche un po’ di erotismo che non guasta. Ha un bel ventaglio di possibilità.

Un bilancio finale di questa esperienza?

Il regista alla conferenza stampa ha spiegato di essere grato alla troupe che lo ha seguito anche nelle sue richieste apparentemente più folli, che nascondevano, invece, un disegno chiaro e preciso.

Diceva che la cosa più difficile era stata, appunto, coniugare qualità, quantità, velocità con le risorse ed il tempo che aveva a disposizione, ma si riteneva soddisfatto del lavoro di Tutti ed anche di quello che era il risultato raggiunto.

Un risultato che, naturalmente, può essere, in ogni caso, perfettibile, come tutti i prodotti analoghi, esattamente come “Un Posto al Sole” può sempre essere migliorato.

Al Pubblico… l’ardua sentenza!

Grazie e Buona Visione!

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Autore Lorenza Iuliano

Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.