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Sbandati: il racconto di Barbara Napolitano

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Barbara Napolitano


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ExPartibus in cabina di regia per la diretta della trasmissione

Dopo aver dato ai nostri lettori un resoconto della prima puntata della seconda stagione di Sbandati, ed aver raccontato la dissacrante trasmissione in onda su Rai 2 attraverso la voce dei presentatori Gigi e Ross, dell’autore Giovanni Filippetto, o dei panelist, siamo tornati negli studi di Via Marconi di Napoli per vivere l’emozionante esperienza di assistere alla quinta puntata dalla cabina di regia, ma soprattutto per intervistare la regista Barbara Napolitano.

Arriviamo che è ancora presto, molti dei protagonisti non ci sono ancora o sono presi dai rituali di costumi e trucchi. L’atmosfera è distesa, familiare, ci si scambia battute e sorrisi, la tensione della diretta, che pure c’è, sembra quasi inavvertita.

Avviciniamo quasi subito Barbara, preferiamo fare quattro chiacchiere con lei prima che sia presa dal vortice dei preparativi. Come sempre è cordialissima, ci sediamo con lei tra i banchi che di solito ospitano gli spettatori, adesso completamente vuoti.

Mi parli di questa regia, molto dinamica, piacevolmente surreale e simpaticamente grottesca?

Il racconto di Sbandati deve seguire la simpatica confusione che si genera nello studio, che in fondo è quella che si crea in famiglia, nel salotto di casa, quando davanti ad una trasmissione o ad un programma che ha dei momenti particolarmente discutibili o divertenti o delle situazioni nei confronti di cui non sei o sei molto d’accordo, ti lasci andare ad una serie di discussioni pro o contro quello che stai vedendo o, semplicemente, ti limiti a commentare.

Sbandati tenta di fare questo, cioè di far emergere un’opinione assolutamente di parte, non politically correct e, quindi, volutamente sopra le righe, libera. È una libertà che spesso non viene consentita in televisione, in particolare, nella televisione cosiddetta di Stato, quella per cui ancora si paga un canone e che si suppone che abbia delle regole ben precise, relativamente agli argomenti che si possono o meno trattare. Anche la regia di Sbandati si assume, in un certo senso, questo rischio della libertà.

Come riesci a stare dietro alle improvvisazioni che appunto non ti aspetti perché sono portate proprio dalla naturalezza del momento?

Devo dire che l’essere squadra, l’aver creato nel corso degli anni una familiarità con il direttore della fotografia, che gestisce le luci, il tecnico audio, gli operatori, gli ispettori di studio, insomma tutti coloro che concorrono a creare Sbandati, rende più semplici le cose.

Nel tempo si creano delle sintonie, conoscendo il mio modo di intendere la regia il team lo asseconda, mi anticipa o segue in maniera immediata quelle che possono essere le mie intenzioni.

Sicuramente in una diretta la competenza tecnica e la freddezza sono necessarie e mi consentono il lusso di essere nel discorso piuttosto che di preoccuparmi semplicemente delle inquadrature.

Ciò significa, ad esempio, dover ascoltare attentamente Gigi e Ross per cogliere i riferimenti che faranno. Se parlano di una donna che è nel pubblico, devo accorgermene per individuare a mia volta, con l’operatore, la signora in questione, per sottoscrivere con le immagini, oltre che con il sonoro, questo racconto che deve essere comunque al servizio di chi guarda, visto che sono assolutamente dalla parte dello spettatore.

La quota di “artisticità”, passami il termine, che può venir fuori, deriva proprio dal rispetto di chi sta guardando questo programma.

Sta per iniziare la quinta puntata di Sbandati, mi fai un bilancio del programma? Quanto è cambiata la trasmissione dalla prima puntata ad oggi?

Sicuramente il gradimento del pubblico ci rende forti, perché lavorare sapendo che quello che stai mettendo in scena piace ti aiuta, perché sai che il passaparola farà bene al programma, esattamente come accade per tutto quello che metti in onda.

Si parte dallo zoccolo duro di quelli che seguono i panelist, Gigi e Ross, ma il tema di una televisione che non si prende troppo sul serio, facendolo una maniera non spietatamente becera, non sguaiata, ci fa bene e permette di mantenere una freschezza che è propria di un pubblico giovane.

Abbiamo notato che c’è un incremento di giovanissimi che seguono il programma, cosa per noi abbastanza sorprendente, vista anche l’ora piuttosto tarda in cui andiamo in onda, e questo è ritenuto un effetto positivo dalla rete che ci sostiene.

Nelle precedenti interviste ai protagonisti di Sbandati tutti hanno speso delle belle parole per te, sottolineando come il rapporto umano venga prima di quello professionale o comunque sia molto importante…

Rispetto molto i ruoli, questo significa assumersi la responsabilità delle proprie scelte, avendo però consultato le persone che hanno fatto un lavoro per me. Non mi piacciono i registi che diventano, all’occorrenza, “tuttologi”.

Non parlo soltanto del lavoro autorale, che comunque va gestito in collaborazione, perché è indispensabile che anche il regista, laddove è necessario, apporti dei cambiamenti al racconto. Mi riferisco al confronto e al rispetto della professionalità, che devono esserci sempre, anche nei casi in cui mi trovassi a collaborare con persone che possono non aver piacere a lavorare con me, magari per antipatie che sono lecite e legittime tra individui.

Di me si può anche dire che sono poco simpatica, ma non che non so fare il mio lavoro o che non ho considerazione di quello altrui. Credo che questo sia importante, soprattutto se, come è accaduto a me, si è fatta una carriera per gradi.

Sono partita da piccole produzioni all’epoca di Rai Educational con Renato Parascandolo, ho fatto anche da redattrice. Mi sono occupata di pillole, di piccoli video, utilizzando anch’io le telecamere, dedicandomi personalmente al montaggio, entrando, quindi, in punta di piedi e da contrattista in un mondo in cui, sicuramente, non mancano ottimi registi, soprattutto in un’ora di prestigio come la seconda serata, per un live.

Aver conquistato con caparbietà questo posto, l’essermi vista, negli anni, fare questa strada, ha significato occupare in maniera più serena, una sedia.

Non è un’imposizione dall’alto, non sono priva di una storia professionale. Purtroppo ci troviamo spesso di fronte a persone che, dall’oggi al domani, decidono di improvvisarsi giornalista, scrittore o attore. Ma se nell’ambiente ti conoscono, la tua storia parla per te, così come accade per il visus che hai nei confronti degli altri.

Il fatto che tu ti sia sempre impegnata in generi diversi ti aiuta anche a guardare le cose da più prospettive…

Per quanto sia imbarazzante dirlo, credo che ci sia del “talento” in tutte le cose che uno sceglie di fare. In una precedente intervista ho parlato del disegno. Quando ero piccina e frequentavo la scuola elementare, se la maestra mi diceva di raffigurare qualcosa, realizzavo un’inquadratura, ritagliavo già una porzione di realtà, vi aggiungevo una didascalia, era anche questa una scelta di narrazione.

Un po’ di talento serve sempre, soprattutto se, come me, lavori in Rai, un editore che si dedica a generi molto diversi.

Ho fatto regie teatrali, di concerti, di talk, del telegiornale, di documentari di storia dell’arte; prodotti molto diversi tra loro.

Questo significa avere la capacità di capire come raccontare una cosa.
È chiaro che affronto Sbandati tenendo presente Sbandati; per un documentario storico-artistico non userei mai la stessa modalità. Questa trasversalità, però, si deve portare dietro una capacità di lettura, che distingue i piani che di volta in volta, affronti.

È come l’interlocuzione, l’intelligenza relazionale; se intervisti un pescatore gli rivolgerai un certo tipo di domande che sarà ovviamente diverso rispetto a quelle che potrai fare a Paolo Sorrentino.

La mia esperienza, non essendo figlia di grande regista, né avendo una famiglia importante alle spalle, deriva da un lavoro lungo, fatto a piccoli passi, che mi ha portato a firmare dei prodotti che l’azienda ha ritenuto possibili, che ha messo in programmazione, che hanno avuto diverse repliche per il gradimento ricevuto.

Per esempio, abbiamo realizzato un programma sulla storia del teatro che è piaciuto molto, che è andato in onda più e più volte, dotato di una chiave di interpretazione, che seguiva la biografia di personaggi come Isa Danieli, Ottavia Piccolo, Luigi De Filippo, Vincenzo Salemme.
È chiaro che, come regista di un programma del genere, devi documentarti, non puoi approcciarlo senza conoscere, non voglio dire Eduardo che è famosissimo, ma nomi meno noti, come ad esempio, Glauco Mauri.

Questo significa mettersi a studiare. Ecco, io studio, studio sempre, anche Sbandati. E lo studio per quello che va studiato. Vado a vedere la slow TV, la televisione di quartiere, l’offerta neozelandese, quella russa. Mi muovo in un territorio di cui devo padroneggiare una mappa minima.
Posso scegliere di usare o meno quegli elementi, ma devo conoscerli.

Poi, l’importante è divertirsi, cioè Essere, in tutte le cose che fai.
Non siamo più all’epoca di Alberto Manzi, non facciamo più televisione educativa, non è nostro compito. Facciamo intrattenimento, che non è un male, a patto che sia di qualità.

Ovvero, devo intrattenere seguendo una strada che piaccia innanzitutto a me, e questa è una chiave che funziona. Sono stata regista per un evento con i New Trolls che hanno festeggiato i 50 anni di carriera al San Carlo, con tantissimi ospiti prestigiosi, con Dario Salvatori che ne ha curato la cornice. C’era a presentare Fabrizio Frizzi, che è un appassionato di De Scalzi, dei New Trolls.

Anche lì è stato un lavoro di squadra. Se fai una cosa tutti assieme, con rispetto dell’altro, se sei competente e ti diverti, non può andarti male, perché stai realizzando qualcosa che ti piace.

Si avvicina il momento del breve promo della trasmissione, l’intervista termina qui.
Dallo studio ci rechiamo con Barbara in sala regia. Sono già tutti al loro posto, tutto è già definito nei dettagli. Ci mettiamo in un angolino, timorosi di intralciare, di disturbare in qualche modo.

I pochi secondi di spot sono provati e riprovati nel minimo dettaglio, con un’attenzione da perfezionisti. Tutto fila liscio, nell’attesa della diretta si ripassa la scaletta, si mettono a punto le camere per le riprese, si verifica il collegamento in esterna.
Si trova anche il tempo per festeggiare il compleanno di due ragazzi del team.

Tutto è perfettamente sincronizzato, afferriamo nel modo più diretto le parole della regista quando ci parlava di squadra, l’affiatamento è palese, l’intesa arriva anche attraverso un semplice sguardo, un breve cenno, spesso è frutto di puro intuito.

Alle 23:40 circa parte il conto alla rovescia, paradossalmente sembriamo noi quelli più emozionati. I ritmi diventano frenetici, ma nemmeno per un attimo ci sfiora la sensazione che possa esserci qualcosa fuori controllo, nemmeno per un attimo il clima piacevole e gioviale è turbato.

Barbara chiama i tempi, impartisce istruzioni ai cameramen e si confronta con gli autori attraverso l’impianto di comunicazione interno, sceglie le immagini replicate dagli schermi in studio, vola da una camera all’altra per realizzare, nel migliore dei modi, quello che lei stessa ha definito il suo racconto, il racconto della sua squadra.

Le pause pubblicitarie danno l’opportunità di tirare il fiato, di fare il punto della situazione, di decidere piccole variazioni della scaletta, di apportare qualche piccolo aggiustamento tecnico.

L’attenzione che poniamo a questi particolari ci fa passare quasi in secondo piano la puntata, le battute fulminanti, la piacevole ironia dei protagonisti, lo spettacolo che ci interessa è quello del dietro le quinte, quello che di solito possiamo solo immaginare e che stasera si svolge davanti ai nostri occhi, a pochi centimetri da noi.

Il tempo vola, ormai scorrono i titoli di coda, il conto alla rovescia stavolta è quello che ci separa dall’ultimo “nero”. Scatta spontaneo un applauso, di reciproci complimenti per l’ottimo lavoro svolto anche stasera.

Ormai è passata l’una, la stanchezza di una giornata comincia a farsi sentire, alla spicciolata tutti salutano e lasciano gli studi Rai. Ci congediamo anche noi, con negli occhi la storia che vogliamo raccontare ai nostri lettori.

Autore Lorenza Iuliano

Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.