Home Territorio ‘Rifiuti’: una rigenerazione perennemente in attesa

‘Rifiuti’: una rigenerazione perennemente in attesa

1961
'Rifiuti - Il Primo Giorno'


Download PDF

Di Paola e Pagano interpretano con maestria l’intenso testo di Russo

Sabato 22 aprile, ore 21:00, presso il T.A.N., Teatro Area Nord, centro polifunzionale di Piscinola, Via Nuova Dietro La Vigna, 20, 80145, Napoli, è andato in scena ‘Rifiuti – Il primo giorno’ di Roberto Russo con Sergio Di Paola e Imma Pagano e con Ida De RosaLorenzo RussoCaterina Bianco al violino. Regia Gianni De Feo. Scene e Costumi Roberto Rinaldi. Luci e Fonica Fabio Palliola. Assistente alla Regia Maurizio Della Volpe.

Una pièce d’impatto già prima che si apra il sipario.
Il soffio del vento, costante in gran parte della rappresentazione, si ode non appena le luci si spengono per annunciare alla sala che lo spettacolo sta per avere inizio.

Quel vento, forza viva in sé e per sé, manipolatore di energia invisibile e latore di messaggi comprensibili solo per chi è in grado di ascoltare.

Quello stesso segreto dinamismo di forze svelate più o meno distintamente ai due protagonisti, Jacco e Loise, che paleseranno loro le potenze misteriose ed indecifrabili che agiscono nel nascondimento, suoni, ombre, voci, ennesimi interpreti dello stesso spettacolo, calati in un ambiente che, per quanto onirico possa sembrare, è, a tratti, tragicamente vivido e reale.

Ma il sibilo del vento non sarà il solo suono a diffondersi in sala.
Intense e significative saranno le note che si sprigioneranno ora dal violino, splendidamente suonato da Caterina Bianco, ora dalla chitarra e dall’armonica cui si accompagnerà ottimamente Sergio Di Paola.

Una scena desolata e desolante, in cui degrado, detriti, scorie, immondizia e scarti vari appaiono come frammenti di un puzzle che forse solo alla fine verrà ricomposto, anche se l’immagine conclusiva che ne scaturisce non appare mai del tutto delineata o delineabile con certezza.

Quei pezzi di vita, estrapolati dal loro contesto, i ‘Rifiuti’, cercano disperatamente di affermare il proprio significato che non necessariamente sarà colto nella sua globalità, fosse anche la loro possibile natura di “No”, di oggetti ormai privati della propria identità, del proprio “valore d’uso”, e che Jacco paragona a se stesso e a Loise, rispondendo ad una domanda della donna circa l’ultima realtà rimasta.

Forse semplicemente perché non tutto ha una spiegazione razionale, o meglio, forse perché non siamo ancora completamente preparati ad accettare l’idea di dover decodificare, secondo altre chiavi di lettura, l’universo che ci circonda, costretti come siamo da canoni interpretativi assorbiti acriticamente dalla nostra società, che scompone e semplifica la realtà in rassicuranti quanto omologanti sintagmi culturali.

Il crepuscolo, rappresentato con quella sua luminosità così particolare che protende verso l’assenza di luce, appare come una vita in bilico tra la certezza dell’inevitabile e la speranza di un sovvertimento delle leggi sottese.

Un declinare verso il tramonto ma anche un rischiarare verso l’alba, con l’impossibilità di fissare temporalmente ed in modo univoco quale sia la realtà oggettiva e quale lo stato d’animo preponderante.

Un ricordo malinconico, struggente eppure impalpabile di un sole radioso, ormai assente, di cui si avverte sì forte la mancanza ma con la certezza che, dopo la notte più buia, prima o poi, tornerà di nuovo a splendere; anche se in un amaro passaggio, quando Jacco cita Eduardo, affermando che “Ha da passà ‘a nuttata”, le Ombre, opportunamente incappucciate così da essere irriconoscibili, ribadiscono che la nottata è già passata, ma solo per lasciare il posto ad una ulteriore ancora più buia.

Jacco e Loise, i cui nomi hanno chiari riferimenti biblici, non potrebbero essere più diversi tra loro quanto a carattere, vissuto, atteggiamento, linguaggio, ma soprattutto consapevolezza.

Nel loro dualismo, i due raffigurano un nuovo modello antropologico allo stesso modo di quello Zeno Cosini nell’epilogo del capolavoro di Svevo che, come scenario apocalittico post-bellico, balza alla mente già dalle primissime scene.

Lui, un attore, un clown ormai caduto in disgrazia e dimenticato, crede di possedere una risposta per tutto e trascorre la maggior parte del tempo su di una singolare e precaria struttura di legno, che rimanda in parte all’Arca di Noè, in parte all’albero di Godot, affermando, orgogliosamente, di vivere sopra i rifiuti e non dentro di essi, come invece, per lui, fa Loise.

Non ci è dato di sapere se sia il capostipite di una rinnovata umanità, di una rigenerazione perennemente in attesa o piuttosto l’emblema della crisi di valori di cui, però, si continua, nonostante tutto, a sentire un bisogno impellente.

Ha un atteggiamento sfrontato, cinico, disilluso, disincantato eppure ha un legame fortissimo con una scatola che accosteremo solo alla fine al vaso di Pandora, in cui la speranza è rappresentata da quei versi tenuti insieme da un filo rosso, semi che arrivano dalla tradizione napoletana, conservati per il futuro, che possono essere visti come emblema di riscatto ma anche sviliti dalle Ombre, preda di quello che è un abbrutimento collettivo.

Lei, solo apparentemente incapace di ragionamenti profondi, nasconde, invece, dietro la sua gabbia dorata di moglie e madre borghese concentrata sulle futilità, un triste e doloroso passato che mostrerà man mano svestendo letteralmente i panni della ballerina in disuso per mettere a nudo emblematicamente la sua anima e ritrovarsi con una sottoveste nera.

Il suo trasferimento con la famiglia al Nord, così lontano dall’essenza purificatrice del mare e dalle sue radici, avvenuto a soli 7 anni, dopo la morte del padre, ha determinato la tragicità della sua esistenza.

Quel settentrione in cui tutto si sussurra e si omette, assurge, a tratti, ad icona di incomunicabilità, freddezza, isolamento anche di fronte alle violenze più atroci che andrebbero denunciate, come lo stupro perpetrato dal compagno della madre per 11 anni ai danni protagonista che, diventata maggiorenne, torna nella sua Napoli su quel treno che rappresenta il sofferto viaggio della vita.

A ben vedere, il moto perpetuo di Loise, che gira intorno in cerca dei suoi ricordi, incapace di aprire gli occhi ed accorgersi che ormai tutto è cambiato, assomiglia più allo sterile immobilismo delle restrizioni sociali che ad un vero e proprio tentativo di affrancamento dalle ataviche domande che l’essere umano si pone nel corso della sua esistenza.

Segno di una società destinata all’auto-sterminio o piuttosto morte in senso metaforico che procede per strade diverse; può essere quella dei protagonisti o ancora si manifesta nella disumanizzazione vissuta altrove dalle Ombre?

Nella definizione dello scenario non si può prescindere dal riferimento a ‘Lo cunto de li cunti’, opera di Giambattista Basile citata diverse volte Jacco che, dietro le apparenze di una narrazione fiabesca, dipinge, in modo grottesco ed impietoso, i difetti della società del suo tempo, ma più ampiamente quelli che sono universalmente i lati peggiori del genere umano.

Eppure il finale non è disperato, ma possibilista. Tutto può accadere e non è detto che a trionfare sia l’orizzonte catastrofico e visionario dell’esordio.

Come Basile anche Russo, attraverso i protagonisti, aspira ad un ordine ricostruito, ad una rinascita, ad un nuovo inizio, il Primo Giorno. Loro, gli unici due superstiti, si presuppone, avranno il compito di rigenerare l’universo portandolo a nuova vita.

Al di là della denuncia sulla Terra dei Fuochi, emerge, prepotentemente, la responsabilità di ogni uomo verso il proprio ambiente e territorio, la necessità di preservare l’habitat naturale per tramandarlo alle generazioni future.

Il testo di Roberto Russo è esaltato da una regia attenta ed impeccabile di Gianni De Feo, che, nella perfetta cura dei dettagli, incarna e rende tangibile la forza distopica della drammaturgia, ma è anche, e soprattutto, magnificato dalle interpretazioni magistrali di Sergio Di Paola e Imma Pagano, semplicemente da brivido per l’intensità, per la capacità evocativa, per la mimica che esprime ora momenti di pura poesia ora stati d’animo angosciosi.

‘Rifiuti – Il primo giorno’ replicherà oggi 23 aprile, ore 18:00, presso il T.A.N., Teatro Area Nord, Via Nuova Dietro La Vigna, 20, 80145, Napoli.

Foto di Luca Lombardo

'Rifiuti - Il Primo Giorno'

Autore Lorenza Iuliano

Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.