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La parola dell’anno 2024 è Cervello marcio

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Cervello marcio


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Come riuscire sempre a farci del male

Dobbiamo farci i complimenti da soli? O, chissà, potremmo iniziare a pensare nuovi usi di una parte importante del nostro organismo che, a quanto pare, proprio non vogliamo rispettare?
Ci saremmo anche potuti accontentare che la parola dell’anno fosse Dynamic pricing, la pratica che conosciamo fin troppo bene dei prezzi che salgono e scendono come montagne russe a seconda di domanda, offerta e algoritmi. Dal biglietto del concerto al volo dell’ultimo minuto sappiamo che il prezzo giusto è solo quello che conviene al venditore.

Oppure, potevamo illuderci con Romantasy, il genere letterario che mescola amore e magia, tra mondi incantati e storie epiche. Almeno avremmo trovato passione e evasione.

E invece no. Siamo riusciti ad andare oltre; molto oltre.

La parola del 2024 è Brain rot: letteralmente, Cervello marcio.

Così l’Università di Oxford, non l’influencer di turno, sancisce la definitiva deriva digitale di una generazione, intrappolata nello scrolling infinito e nella superficialità dei contenuti virali.

Brain rot è il lento logorarsi della mente, il declino delle capacità intellettive causato dall’abbuffata di contenuti che definire ‘leggeri’ è un eufemismo. Oggi questo fenomeno si lega soprattutto al mondo digitale, a quell’oceano di video e post che scorrono davanti ai nostri occhi senza lasciar traccia.

Ma attenzione: non è solo una condizione, è anche l’agente.

Brain rot è tutto ciò che contribuisce a farci spegnere il cervello, un titolo sensazionalistico, un meme vuoto, un trend virale.

Una diagnosi assolutamente spietata, insomma.

Ma più che altro un’accusa: quanto ci stiamo rendendo complici di questo marciume?

E quanto lasciamo che i più giovani ne diventino, se non lo sono già, le prime vittime?

Ricordiamo che questa definizione nasce principalmente in relazione allo scroll compulsivo su TikTok, piattaforma che non è propriamente frequentata da persone mature ed equilibrate.

Brain rot non è solo un’espressione; è uno specchio impietoso. Parla di noi che consumiamo frammenti di video, articoli riassunti nei titoli, e commenti di massimo 15 secondi sui social. Ci perdiamo in un mare di input, ma restiamo a galla solo con idee confuse e sfilacciate.

Non è un caso che questa parola abbia trionfato. Come dicono a Oxford, rappresenta l’ansia collettiva di un mondo in cui il pensiero profondo sembra non avere più spazio.

E allora, come siamo arrivati qui?

Dynamic pricing è la metafora del nostro tempo: instabilità, rapidità, mercato che decide.

E il Romantasy, racconta almeno un bisogno: quello di ritrovare magia e significato.

Ma Brain rot è la resa totale. È la celebrazione, non proprio ironica, di una condizione che ci preoccupa, ma a cui partecipiamo attivamente.

Una diagnosi spietata, ma non nuova. L’idea che la mente possa marcire sotto il peso di una cultura sempre più triviale e vuota risale almeno a Henry David Thoreau.

Nel suo libro Walden del 1854, il filosofo critica una società che, pur curando le malattie fisiche come il ‘marciume delle patate’ ignora un problema ben più grave:

Non tenterà nessuno di curare il marciume del cervello, che si diffonde tanto più largamente e fatalmente?

Un ammonimento che oggi appare più attuale che mai e sembra propri che in quasi due secoli non sia stato ascoltato.

Dovremmo chiederci, dunque, se ci sarà, quale potrebbe essere il prossimo passo o se resteremo spettatori passivi utilizzando i giovani come truppe cammellate da mandare in prima linea per vedere gli effetti sui loro cervelli che, sembra, siano particolarmente predisposti.

Alcuni Paesi, tuttavia, iniziano a prendere provvedimenti.

L’Australia, ad esempio, parrebbe intenzionata a vietare l’uso di piattaforme social ai minori di 16 anni, un tentativo di arginare i danni prima che sia troppo tardi. Una scelta drastica, ma forse necessaria anche se verrebbe di suggerire l’innalzamento dell’età almeno ai diciotto.

Siamo di fronte a una svolta o a una resa?

La risposta, come sempre, dipende da quanto siamo pronti a prendere sul serio queste parole. O a lasciarci trascinare dal prossimo video virale.

C’è una lezione in tutto questo?

Forse.

Più che una parola, Brain rot è un campanello d’allarme.

Dobbiamo riappropriarci del tempo, del pensiero critico e della capacità di approfondire. Possiamo ridere di questa scelta, certo.

Ma la domanda resta: quanto tempo dedichiamo a ciò che conta davvero?

E, a proposito, tu quanto tempo per perfezionare il tuo Brain rot ti sei concesso oggi?

Autore Gianni Dell'Aiuto

Gianni Dell'Aiuto (Volterra, 1965), avvocato, giurista d'impresa specializzato nelle problematiche della rete. Di origine toscana, vive e lavora prevalentemente a Roma. Ha da sempre affiancato alla professione forense una proficua attività letteraria e di divulgazione. Ha dedicato due libri all'Homo Googlis, definizione da lui stesso creata, il protagonista della rivoluzione digitale, l'uomo con lo smartphone in mano.