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La Repubblica Napoletana

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La Repubblica Napoletana


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Durò appena un anno e la restaurazione, oltre a spazzare via l’Intellighenzia napoletana, portò alla sostituzione del Santo Patrono della Città, Sant’Antonio prese infatti il posto di San Gennaro

Le idee della Rivoluzione Francese si diffusero in tutta Europa. Gli ideali – purtroppo tali rimasero – di libertà, uguaglianza e fratellanza, animarono gli spiriti liberi del Vecchio Continente, che sognava un’Europa libera dai regimi autoritari.
Da subito, il Regno di Napoli partecipò alle campagne contro la Francia e avviò una repressione interna.

Va ricordato che la Regina Maria Carolina, moglie di Ferdinando IV di Napoli e III di Sicilia, era la sorella di Maria Antonietta, consorte di Luigi XVI, decapitata dai giacobini il 16 ottobre 1793.

Tuttavia, l’esercito francese guidato da Napoleone Bonaparte spadroneggiava in tutta Europa, infliggendo umilianti sconfitte all’Austria e irruppe nella penisola italica.

La campagna napoleonica in Italia provocò la ribellione di alcune città. Vennero proclamate nuove Repubbliche di chiara ispirazione francese – la Ligure, la Cisalpina e la Romana – a spese dei Savoia, degli austriaci e del papato.

Intanto, dopo una prima sconfitta contro Napoleone, Ferdinando IV di Borbone, appoggiato dall’Inghilterra, dichiarava guerra alla Francia per liberare Roma dai giacobini e restituirla al Papa.

Nonostante l’esercito borbonico fosse forte di settantamila uomini, subì una sonora sconfitta dai francesi, guidati dal Generale Championet, che decise di marciare sulla città partenopea.

Ferdinando IV fece ritorno a Napoli e fuggì a Palermo con la cassa del Regno e la sua numerosa famiglia, scortato dalla Marina inglese comandata da Orazio Nelson.

A difendere la città dalle truppe francesi rimase il popolo, in particolare i lazzari, che, seppur malarmati, tennero a bada l’esercito più forte e organizzato del tempo.

Nel frattempo, repubblicani, giacobini ed intellettuali filo francesi scesero in campo con l’intento di instaurare una Repubblica sul modello di quelle sorte nella Penisola, dando vita ad una guerra civile.

A farne le spese furono i popolani, schiacciati sia dall’esercito francese, che premeva alle porte della città, e sia dai Repubblicani, che li cannoneggiavano da Castel Sant’Elmo, sulla collina dei Vomero. Per i lazzari fu un massacro; in oltre tremila persero la vita.

Lo stesso Generale Championet scrisse al Direttorio di Parigi apostrofando i lazzari napoletani come

eroi per il valore dimostrato negli scontri.

Il 23 gennaio 1799 venne proclamata la Repubblica Napoletana con un governo provvisorio di venti membri, presieduto da Carlo Lauberg, storico giacobino ed oppositore del regime borbonico, in attesa di un definitivo governo.

L’organizzazione, molto moderna per l’epoca, era divisa in sei Ministeri – Centrale, Militare, Legislazione, Polizia Generale, Finanza, Amministrazione Interna – che formavano l’Assemblea costituente, a cui spettava il potere esecutivo.

Organo ufficiale di stampa della neonata Repubblica fu il Monitore Napoletano, diretto da Eleonora Pimentel Fonseca, ex bibliotecaria della Regina Maria Carolina. Di Eleonora parleremo, dettagliatamente, nei prossimi articoli.

La strada della neonata Repubblica era tutta in salita, sebbene costituita da personalità di spicco; inoltre, il governo francese non accettava gli Ambasciatori partenopei, disconoscendo, di fatto, il nuovo Stato napoletano, nonostante si fosse dotato di un tricolore con i tinte blu giallo e rosso, e di aver inserito, come simbolo, l’albero della libertà, tanto caro ai francesi.

Le difficoltà erano dovute a due fattori principali: innanzitutto la Repubblica non era nata su spinta popolare, anzi, il popolo era rimasto fedele a Ferdinando e non vedeva di buon occhio l’usurpatore francese; inoltre, le province del Regno non erano occupate dalla milizia francese, che aveva grosse ingerenze nelle decisioni autonomistiche del governo provvisorio.

Nonostante ciò, vennero emanate alcune leggi, come l’abolizione dei fedecommessi, il passaggio dei beni in linea diretta con il vincolo della non vendita e della primogenitura, ovvero il figlio legittimo più anziano era colui che ereditava l’intero patrimonio.

Per salvaguardare le classi indigenti, fu abolito il dazio sulla farina e quello sul pane, come, inoltre, vennero annullati i titoli nobiliari, i privilegi di nascita e la feudalità.

Il giurista Mario Pagano redasse una bozza di Costituzione, ancora oggi studiata nelle Università americane, che, sebbene su modello francese, introdusse, quale organo di controllo, l’Eforato, una Corte costituzionale ante litteram.

Ovviamente, a causa della breve vita della Repubblica, la ‘Carta’ non verrà mai promulgata.

Intanto, la Restaurazione borbonica era già all’opera e il Cardinale Fabrizio Ruffo, con il permesso del Re e degli Inglesi – nell’Ottocento non si muoveva una foglia senza il permesso della ‘vecchia Albione’, sbarcò in Calabria e, con il suo esercito di Sanfedisti, marciò incontrastato verso Napoli, infoltendo i ranghi con popolani, contadini e briganti.

La Marina inglese, inoltre, tentò un blitz nel golfo di Napoli ma venne sonoramente sconfitta da quella partenopea, guidata da Francesco Caracciolo, ex ufficiale borbonico.

L’Ammiraglio napoletano pagherà caro questo affronto all’orbo Comandante inglese e, dopo la restaurazione borbonica, lo stesso Nelson pretenderà da Ferdinando la sua testa, impiccandolo ad un pennone della fregata Minerva.

Intanto i francesi abbandonavano Napoli, per dar manforte alle truppe impegnate nelle campagne europee ed arraffarono il patrimonio artistico proveniente dagli scavi di Pompei ed Ercolano, lasciando i Repubblicani da soli contro Sanfedisti e lazzari.

La sorte della Repubblica appariva segnata.

Nonostante una strenua e disperata difesa dei Repubblicani, arroccati nelle fortezze della città, il 13 giugno 1799, il Cardinale Ruffo entrava a Napoli.

Poiché in tale data la Chiesa Cattolica festeggia Sant’Antonio da Padova, i partenopei decisero di sostituirlo come il santo protettore di Napoli, anche perché San Gennaro era reo di aver sciolto il sangue nel periodo Repubblicano.

Ritornato al potere, Ferdinando IV doveva decidere come comportarsi con chi aveva appoggiato la Repubblica e l’occupazione francese.

I Repubblicani, a cui non era loro riconosciuto lo status di prigionieri di guerra, rischiavano, pertanto, di essere giudicati da un tribunale penale come traditori, e di incorrere nella punizione suprema, la pena capitale.

Su circa 8.000 prigionieri, 124 vennero mandati a morte, 6 furono graziati, 222 condannati all’ergastolo, 322 a pene minori, 288 alla deportazione e 67 all’esilio.

Tra i condannati vi erano alcuni tra i nomi più importanti della classe nobiliare, borghese e culturale di Napoli, ispirati da Giambattista Vico e da Gaetano Filangieri e dall’Illuminismo francese, i quali, per cancellare gli errori del passato, credevano che tutto dovesse essere riformato.

Anche il celebre pescatore Masaniello, a capo della rivolta dei lazzari, pagò la propria colpa di essere stato assunto simbolo dai giacobini tanto che il sovrano ordinò che le sue ossa fossero disperse e il suo corpo mai più ricomposto.

Autore Mimmo Bafurno

Mimmo Bafurno, esperto di comunicazione e scrittore, ha collaborato con le maggiori case editrici. Ha pubblicato il volume "Datemi la Parola, Sono un Terrone". Attualmente collabora con terronitv.