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Tra significante e significato

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significante e significato


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Trasformando tutti gli atti fisiologici in cerimonie, l’uomo arcaico si sforza di «passare oltre», di proiettarsi oltre il tempo (del divenire), nell’eternità.
Mircea Eliade

Le scienze sociali definiscono il rito come il complesso degli atti e delle pratiche normativamente codificati, la cui violazione comporta per il trasgressore la sottoposizione ad una sanzione o ad una espiazione riparatoria.

Da un punto di vista più generale, strettamente correlato all’antropologia, il rito costituisce uno degli elementi fondamentali che formano i modelli culturali che caratterizzano una determinata società, in un dato momento storico.

Viceversa, è proprio attraverso l’analisi di un rito che è possibile risalire agli ideali, ai valori che orientano un certo consesso civile e rispetto ai quali vengono definite le connotazioni identitarie individuali e le caratteristiche fondanti la coesione sociale.

Innumerevoli sono gli studi dedicati. Tra i più noti ci sono, in primo luogo, quelli di Émile Durkheim che nel suo saggio ‘Le forme elementari della vita religiosa’ definisce i riti religiosi come speciali momenti di estasi collettiva in cui il ‘totem’ in cui si identica il gruppo si associa alla vita comunitaria divenendone una sorta di garante e determinando, in tal modo, la coesione sociale tra i membri.

Durkheim, a partire da questi presupposti, arriverà a definire la religione come

quel sistema di credenza e pratiche relative a cose sacre che uniscono in una comunità sociale coloro che vi aderiscono

con ciò individuando gli elementi di separazione fra vita sacra e vita profana. Durkheim, inoltre, parla per la prima volta di ‘coscienza collettiva’ per indicare l’insieme delle credenze e dei sentimenti comuni alla media dei membri di una società. I successivi studi di Bronisław Malinowski saranno particolarmente influenzati da questa nuova visione sociale del sociologo francese.

L’antropologo Ernesto De Martino evidenzia come il rito aiuti l’uomo a sopportare una sorta di ‘crisi della presenza’ che esso avverte di fronte alla Natura, sentendo minacciata la propria stessa vita. I comportamenti stereotipati dei riti, infatti, offrono rassicuranti modelli da seguire, solidi punti di riferimento contro la variabilità ambientale, costruendo quella che viene definita come ‘tradizione’.

Meritano di essere citati anche gli studi di Arnold van Gennep sui riti di passaggio, che accompagnano e caratterizzano le diverse fasi di vita, principalmente la nascita, l’iniziazione alla vita societaria adulta, il matrimonio e la morte. In questi momenti l’individuo muta il suo status sociale all’interno della comunità di appartenenza.

Tali riti presentano solitamente tre fasi distinte: la separazione, per la quale l’iniziando viene allontanato dal gruppo per spogliarsi simbolicamente del ruolo associato al precedente ciclo di vita, transizione, periodo nel quale l’individuo è in un limbo senza identità e ruolo e deve affrontare una prova necessaria alla fase successiva, e reintegrazione, grazie alla quale l’individuo viene riammesso nel gruppo con la sua nuova identità sociale.

Sono da ricordare anche le ricerche di Pierre Bourdieu sui riti di istituzione attraverso i quali l’autorità costituita riveste di un nuovo status un soggetto meritevole secondo i criteri stabiliti dall’autorità stessa.

In tal senso, queste pratiche servono per la conservazione dell’ordine sociale e dell’apparato simbolico ad essa collegato.

Infine, sono degni di menzione i lavori di Luigi Lombardi Satriani sulle ritualità legate all’evento morte. In sintesi, si può affermare che i rituali comprendono tutte quelle azioni umane, strutturate, ordinate e realizzate con intelligenza e consapevolezza in aderenza a moduli operativi tradizionali.

Ciascuna di tali azioni assume uno specifico valore simbolico e tutte insieme concorrono all’assetto dell’intero rito che, pertanto, si riveste di un valore simbolico complessivo.

Ricordiamo che rito deriva dal latino ritus, è vocabolo che deriva da una radice indoeuropea *are-, la stessa della voce greca arithmós (numero), in sanscrito ritis e *ri- scorrere.

Il rito si collega semanticamente al ritmo, rhyitmós, e introduce una ripetizione che induce alla non linearità e, conseguentemente, alla circolarità, al cerchio, allo zero, l’eternamente immobile che è perennemente in movimento.

Poiché il cerchio in sanscrito è sakra, il rito si collega al sacro. Il rito, se così inteso, attiva, pertanto, la circolarità in uno spazio, connotato da un orientamento e da una scansione temporale.

Da qui la necessaria distinzione del rito dalla liturgia (greco leiturgía = servizio pubblico da léiton = popolare ed érgon = lavoro), che si occupa di allestimenti e aspetti cerimoniali, utili, ma non essenziali. I riti di una civiltà riproducono i miti a essa sottostanti.

Si potrebbe definire il rituale come la possibilità di partecipare direttamente al mito. Diciamo che il rito mette in atto una situazione mitica; partecipando al rito, si partecipa direttamente al mito.

Ciò che il mito fa per noi è mostrare il trascendente oltre il campo fenomenico.
Joseph Campbell

Ognuno di noi ha un proprio mito individuale, che lo sappia oppure no e, in effetti, l’individuo deve imparare a vivere secondo questo. L’intera concezione degli archetipi della psiche umana si basa sulla nozione che nel cervello umano, nel sistema nervoso simpatico, ci siano strutture che creano la predisposizione a rispondere a certi segnali.

Sono strutture condivise da tutta l’umanità, con variazioni individuali, ma essenzialmente allineate. Tuttavia, ognuno di noi ha i propri favoriti; ognuno è pronto a un’esperienza diversa rispetto a chiunque altro. Mito e rito, pertanto, sono gli strumenti, con il corredo archetipico e simbolico, per una conoscenza di sé che è, conseguentemente conoscenza del divino e del mondo.

Il rito, per essere efficace, va pertanto riportato all’essenzialità della sua corrispondenza con il mito e ripulito dalle sovrastrutture liturgiche che lo affaticano e lo sviliscono e da manifestazioni di celebrazione dell’ego: titoli altisonanti, salamelecchi iperbolici, esteriorità profane e profananti.

Il rito va riportato alla sua essenziale funzione di drammatizzazione del mito, di attivazione archetipica e simbolica, dove la vera maestria è ars maieutica e non inutile e dannosa esternazione gerarchica.

A darci una mano ci sono i simboli: essi evocano in noi la risposta. È fondamentale ricordare che nel vastissimo ed articolato dominio della simbolica non esiste un unico codice generale di decifrazione, ma soltanto dei codici particolari che, a loro volta, richiedono un’interpretazione.

Un simbolo evoca e focalizza, riunisce e concentra, in modo analogicamente polivalente, una molteplicità di sensi che non si riducono a un unico significato e neppure ad alcuni significati soltanto. Penetrare nel mondo dei simboli, perciò, significa imparare gradualmente a porsi in sintonia, in empatia, con le vibrazioni armoniche che governano, energeticamente, il macrocosmo ed il microcosmo.

Analizzando il simbolo, occorre distinguere la ricchezza e la multiformità del significante e l’essenzialità del significato. Il significante è un elemento esterno, formale, mentre il significato è un elemento intrinseco, concettuale. Qualsiasi segno esiste esclusivamente grazie alla relazione tra significante e significato.

Pertanto, se in un rito iniziatico qualsiasi, ci si ferma al significante, traendone probabilmente tutta una serie di suggestioni pervasive, non si riesce a comprenderne l’autentico significato, il che vuol dire che la finalità resta sconosciuta se non addirittura misconosciuta.

In quanto espressione di un linguaggio universale, il simbolo è il veicolo di trasmissione della conoscenza dottrinale e, pertanto, chi vuole essere iniziato ha l’obbligo di approfondire la conoscenza del simbolismo, senza la quale è per lui impossibile penetrare il significato rituale.

Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.