Home Rubriche Lo sguardo altrove Sole d’inverno

Sole d’inverno

247
Sole d'inverno


Download PDF

È nel momento più freddo dell’anno che il pino e il cipresso, ultimi a perdere le foglie, rivelano la loro tenacia.
Confucio


Da sempre l’Equinozio d’autunno racchiude il valore simbolico della preparazione alla rigidità della stagione invernale e da secoli viene celebrato ad ogni latitudine con feste e riti tradizionali.

Cerimonie pagane, falò e banchetti vengono organizzati, ogni anno, come forma di celebrazione della natura, anche da civiltà e culture molto diverse tra loro; da oriente a occidente, dagli antichi culti politeisti alle tradizioni cristiane, ognuno ha trovato il suo modo per dire addio alla stagione estiva e prepararsi al cambio di luce naturale.

Per molti secoli i nostri antenati hanno celebrato le stagioni dell’anno con feste rituali. Tali feste, le più importanti e universalmente osservate erano i due Solstizi, avevano molteplici funzioni: creavano maggiore coesione all’interno della comunità, erano uno sfogo collettivo, ma, soprattutto, accrescevano il senso di comunione con la Natura.

Concettualmente basta pensare agli animali che si riforniscono di provviste per affrontare il loro letargo e così anche noi ci iniziamo a preparare per far fronte alla rigidità dell’inverno che arriverà.

In questa fase stagionale dopo aver raccolto i frutti si preparano i semi che daranno vita al nuovo raccolto. È tempo di bilanci, abbiamo sotto gli occhi ciò che abbiamo seminato durante l’anno e possiamo constatare quali frutti abbiamo raccolto.

In occasione di questo periodo e dell’aratura dei campi erano effettuati un gran numero di riti locali e regionali con il comune denominatore del ringraziamento e della supplice preghiera di mitezza per la difficile stagione in arrivo.

Un Equinozio si verifica due volte l’anno, primavera e autunno, quando l’inclinazione dell’asse terrestre e l’orbita della Terra attorno al sole si combinano in modo tale che il sole illumini allo stesso modo l’emisfero meridionale e quello settentrionale.

Dopo l’Equinozio d’autunno, il sole inizia a sorgere più tardi e la notte arriva prima. Questo termina con il Solstizio di dicembre, quando i giorni cominciano ad allungarsi e le notti si accorciano. Ricordiamolo: la parola “equinozio” deriva dal latino aequus, che significa “uguale” e nox, “notte”.

Come è facile intuire, dunque, l’equinozio è il momento in cui il giorno ha pressoché la stessa durata della notte. Nell’emisfero boreale, quello in cui viviamo noi, ciò corrisponde all’inizio dell’autunno: le ore di luce, quindi, diminuiranno gradualmente fino a toccare il minimo con il Solstizio d’inverno del 21 dicembre, e non, come vuole la credenza popolare, a Santa Lucia. Viceversa, nell’emisfero australe le giornate incominciano ad allungarsi.

Alla Terra: per la stabilità, per l’aiuto nel mantenere la casa, la salute, il lavoro ed il benessere.

All’Aria: per l’ispirazione che aiuta nella conoscenza e nella comprensione.

Al Fuoco: per l’energia che aiuta a sostenere la spinta dell’ambizione di cui necessitiamo per portare a termine i nostri progetti.

All’Acqua: per lo scorrere gentile che aiuta a mantenere la calma e l’equilibrio emotivo nei rapporti.
Cit.

Le stagioni che cambiano sono punti chiave nel ciclo della vita e in questi passaggi stagionali molte culture antiche percepivano un messaggio più potente per l’umanità. Le culture indigene riconoscevano la saggezza basata sulla terra celebrando il Solstizio d’inverno, l’Equinozio di primavera, il Solstizio d’estate e l’Equinozio d’autunno. Fasi di un viaggio spirituale interiore, che rifletteva quello naturale.

L’autunno è il periodo dell’anno in cui dobbiamo creare in noi lo spazio per quello che verrà dopo, terreno fertile per far crescere i nostri sogni. Nel caos della vita quotidiana, fatta di traffico, impegni, stress e appuntamenti, concediamo a noi stessi del tempo per rimanere in silenzio, ascoltando ciò che sta cercando di emergere dentro di noi.

Il significato dell’Equinozio d’autunno per chi percorre un cammino spirituale è il periodo dell’anno in cui attiviamo il nostro nuovo ciclo di crescita. Quando diventiamo silenziosi e riposiamo, stiamo lasciando emergere la nostra visione più ampia.

Lo ripetiamo ancora, usando altre parole magari: qualsiasi giorno capiti, quello dell’Equinozio d’autunno resta un momento di passaggio importante, da sempre avvolto nella leggenda, nel misticismo, nei rituali.

Il buio prende lo spazio della luce, un equilibrio perfetto di Yin e Yang e, contemporaneamente, il periodo della fine dei raccolti, quando, dunque, i campi e i contadini riposano in attesa che torni il sole.

Se andiamo indietro nel tempo, rifugiandoci nella leggenda possiamo ritrovare diversi miti e storie: gli antichi romani festeggiavano Pomona, la divinità che proteggeva i frutti, gli ulivi, le culture, non di rado rappresentata con una mela in mano. Il poeta Ausonio scriveva, infatti, che proteggeva il mese di settembre, quello del raccolto.

Nella mitologia greca, analogamente, in autunno si verificava il rapimento di Persefone da parte di Ade, re degli inferi: il tempo del buio e dei campi infertili per via del dolore di Demetra, dea del raccolto e della fertilità, nonché sua madre. Costretta lontana dalla figlia per sei mesi l’anno per via di una magia, si vendicò impedendo ai fiori di sbocciare durante la lontananza.

Nella mitologia sumera esiste un mito similare a quello di Persefone. Si tratta di quello di Inanna, dea della fertilità, dell’amore e della guerra, la divinità più importante del pantheon sumero.

La dea discende nel Kur, l’Aldilà, per incontrare la sua mostruosa sorella Erishkigal, la Signora della Grande Terra, e porgerle le sue condoglianze per la morte del marito. Tuttavia, mentre è lontana dal regno dei vivi, la Natura annichilisce, affrontando il suo primo inverno. lnanna viene condannata a morte dalla sorella, mettendo a repentaglio la vita stessa della Natura. Grazie all’intervento della sua fida ancella e del dio Enki, signore delle acque e della conoscenza, la dea risorge, ma non può lasciare gli Inferi senza che qualcuno prenda il suo posto.

Dumuzi, lo sposo di Inanna, e Geshtinanna, la sorella dell’uomo, si sacrificheranno per aiutare la dea in questo ciclo di morte e rinascita, che riporterà la vita anche sulla terra, dando il via al ciclo delle stagioni.

Si sa, invece, che tra i popoli celtici non esistesse un nome univoco per identificare questo Equinozio. Si narra di “Mabon”, che è entrato in uso negli anni 70 del ‘900 e si è diffuso nella cultura neopagana, grazie al professore e scrittore wicca Aidan A. Kelly. Fu lui ad etichettare l’Equinozio d’autunno come Mabon, traendolo dalla mitologia celtica. Tra le popolazioni gallesi Mabon, o Mabon ap Modron, era il dio protettore della giovinezza, del raccolto e delle foreste. I Romani lo conoscevano molto bene, associandolo alla figura di Apollo e chiamandolo ‘Apollo Maponus’.

Tuttavia, una delle leggende che lo riguardavano ricorda molto il mito di Persefone: secondo la tradizione celtica, infatti, l’eterna gioventù del dio Mabon era dovuta al periodo di soggiorno che passò ad Annwn, l’Oltretomba della mitologia gallese, dopo essere stato rapito ad appena tre giorni dalla sua nascita.

Sua madre, Modron, la dea più importante del pantheon gallese, patrona della fertilità, andò alla sua ricerca e, di conseguenza, la natura cominciò a deperire, dando così inizio alle stagioni.

Riassumendo, in tutti i miti quello che viene ciclicamente rivissuto ad ogni autunno è il sacrificio del dio/dea che, dopo le gioie e glorie amorose della primavera e dell’estate, dopo aver dato con la massima potenza fecondante i frutti a tutti gli esseri viventi, è costretto/a a morire a sé stesso, a declinare nel buio della Terra, intesa come Ventre, Utero, Tomba, Infero.

Il mito si interseca, quindi, con la realtà e con i ritmi vitali dell’uomo, che nonostante la tecnologia, continuano ad essere intimamente legati con il misterioso movimento degli astri.

E la tecnologia è legata al ferro, elemento alchemico dell’autunno: al ferro materiale che ha forgiato la nostra civiltà tecno-industriale deve corrispondere il ferro spirituale della volontà concretamente e razionalmente esercitata di cambiare, di accettare la mutazione e vivere la separazione tra ciò che è visibile e ciò che è invisibile senza alcuna paura.

Respirando la fresca aria dell’autunno l’uomo riprende il suo posto nel mondo e nel cerchio della vita, separando il puro dall’impuro, l’utile dall’inutile, il salutare dal nocivo, la cosa morta da quella viva.

Vedrò passare primavere, estati, autunni; e quando arriverà, con le sue nevi monotone, l’inverno, serrerò porte e finestre, fabbricherò nella notte i miei palazzi stregati.
Charles Baudelaire

Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.