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SMOCSG, Delegazione Tuscia e Sabina alle celebrazioni per Santa Rosa

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Macchina di Santa Rosa


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A Viterbo l’antica usanza si rinnova di anno in anno

Dal 2 al 4 settembre di ogni anno, la Città di Viterbo festeggia Santa Rosa, con celebrazioni che sono celeberrime in tutta Italia e anche all’estero, per la devozione della popolazione e la spettacolarità delle cerimonie, come il trasporto della Macchina di Santa Rosa.

Su invito della Diocesi di Viterbo, la Delegazione della Tuscia e Sabina del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio ha preso parte in forma ufficiale alle tradizionali celebrazioni in onore della Patrona della Città dei Papi.

Il 2 settembre, il Corteo Storico di Santa Rosa sfila per le vie di Viterbo, accompagnando in una prestigiosa cerimonia che evidenzia l’aspetto più intimo e religioso dei festeggiamenti in onore della santa viterbese, la Solenne Processione con il Cuore di Santa Rosa.

Questa rinnova l’antica usanza per la quale le autorità cittadine insieme al clero si recavano, e si recano tutt’oggi, a rendere omaggio alla Patrona, come deliberato nel 1512 dal Consiglio dei Quaranta:

Con voto e giuramento solenne per celebrare, ogni anno in perpetuo, la sua festa per i santi benefici che il Sommo Dio, per intercessione della Santa, ha concesso e concede alla Città.

Il Corteo Sorico parte dal Santuario di Santa Rosa e attraversa il Quartiere Medievale di San Pellegrino fino alla cattedrale.

Qui ha inizio la solenne Processione attraverso le principali vie cittadine, nella quale viene condotto il Cuore di Santa Rosa, conservato ancora integro nel prezioso reliquario donato al Monastero delle Sorelle Clarisse da Papa Pio XI, portato dai Facchini della Macchina di Santa Rosa.

Nel pomeriggio di lunedì 2 settembre 2024, dopo aver assistito nella basilica cattedrale di San Lorenzo ai Primi Vespri presieduti dal Vescovo di Viterbo, Mons. Orazio Francesco Piazza, i Cavalieri Costantiniani, guidata dal Vice Delegato Nob. Sandro Calista, Cavaliere de Jure Sanguinis con Placca d’Oro, hanno sfilato – unitamente ai Cavalieri del Sovrano Militare Ordine di Malta e dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme – nella solenne Processione con il Cuore di Santa Rosa, che si è conclusa nella piazza antistante il Santuario di Santa Rosa, dove Mons. Piazza ha rivolto un saluto ai partecipanti e ha impartito la benedizione con il Cuore di Santa Rosa.

Mercoledì 4 settembre 2024, giorno in cui ricorre la festa liturgica di Santa Rosa, una rappresentanza di Cavalieri Costantiniani ha presenziato nel Santuario di Santa Rosa al Secondi Vespri, presieduti da Don Luigi Fabbri, Vicario Generale-Moderator Curiae della Diocesi di Viterbo.

Santa Rosa

Santa Rosa nacque a Viterbo nel 1233, secondo alcuni studiosi il 15 maggio, da Giovanni e Caterina, una modesta famiglia di agricoltori, che la educarono nell’amore e nel rispetto di Dio. Sin dalla tenera età, nella fanciulla si distinsero subito la carità, la devozione e il disprezzo delle vanità mondane.

Diversi sono i racconti che narrano di miracoli compiuti dalla piccola Santa già nei primissimi anni di vita.

Tra questi ne ricordiamo alcuni.

La resurrezione della zia morta da un giorno, avvenuta nel periodo tra il terzo ed il settimo anno.

La trasformazione del pane in rose: risparmiati dal suo cibo quotidiano per donarlo ai poveri, Rosa aveva messo da parte dei pezzi di pane, nascondendoli nel grembiule; il padre, preoccupato per la salute della figlia denutrita, l’aveva fermata sulla porta di casa, chiedendole di aprire il grembiule. AI posto del cibo erano però comparse delle freschissime rose rosse.

La brocca risanata: Rosa si era recata alla fonte di Santa Maria in Poggio per attingere l’acqua quando ad una bambina cadde la brocca che si ruppe in frantumi. Sperando di non ricevere la punizione dei genitori la fanciulla incolpò Rosa di averla fatta cadere. Questa raccolse i cocci e ricompose la brocca, restituendola intera alla bambina bugiarda.

Nel 1243 Federico II di Svevia assediò la Città di Viterbo. La piccola Rosa pregò molto e prestò soccorso ai suoi concittadini, confortandoli a sperare nel Signore. Nella notte del 23 giugno 1250, quando Rosa giaceva nel letto gravemente inferma e prossima alla morte, improvvisamente si alzò in piedi guarita, tra lo stupore degli astanti.

La Vergine Maria le era apparsa per guarirla e affidarle una missione per la sua città, dicendole di indossare l’abito del terzo ordine di San Francesco, dopo aver compiuto un pio pellegrinaggio nelle chiese di San Giovanni, San Francesco e Santa Maria in Poggio; qui, dopo il taglio dei capelli, vestì l’abito della penitenza con ai fianchi il cingolo francescano.

La mattina del giorno seguente, con la croce in mano, cominciò a percorrere le vie cittadine: in breve tempo Viterbo cambiò volto e molti si convertirono. Tutto ciò irritò i seguaci di Federico II e, su ordine del podestà Mainetto Bovoli, Rosa fu esiliata il 4 dicembre 1250, per il continuo esercizio di apostolato, proibito ai laici da papa Gregorio IX sin dal 1234.

Per cercare rifugio si diresse con la famiglia a Soriano nel Cimino; durante il viaggio ebbe una visione divina che le predisse la fine della persecuzione della Chiesa e la morte dell’Imperatore Federico II, che avvenne il 13 dicembre 1250.

Successivamente si trasferì a Vitorchiano. Qui fu accolta come messaggera di Dio, e compì alcuni dei suoi miracoli: ridonò la vista a una bambina cieca dalla nascita e trionfò vittoriosa nella prova del fuoco, uscendo illesa dall’interno di un rogo da lei affrontato per convincere un’eretica della verità di Dio e della esigenza di unirsi alla Chiesa.

Nel gennaio 1251 fece ritorno nella sua città e si recò nel piccolo monastero di San Damiano, chiedendo di essere accolta tra le monache. Netto, però, fu il rifiuto della superiora, alla quale Rosa predisse che se non l’avessero accolta da viva, lo avrebbero fatto da morta.

La scusa della negazione fu che non vi era più posto, ma in realtà la giovane santa era considerata da molti una ribelle verso l’imperatore e i nemici della Chiesa, pertanto occorreva usare la massima prudenza. Rosa si ritirò allora nella sua casa, dove attese il momento della sua morte, che avvenne il 6 marzo 1251.

Rosa fu sepolta nella nuda terra del piccolo cimitero della chiesa di Santa Maria in Poggio, essendo quella la parrocchia nella quale era compresa la sua abitazione. Dopo diciotto mesi, per volere del Papa, che ne ordinò il processo di canonizzazione, il suo corpo fu esumato e poi di nuovo sepolto all’interno della chiesa, dove rimase fino al 1258, quando, per ordine di Papa Alessandro IV, fu nuovamente disseppellito e, dopo sette anni dalla sepoltura, fu trovato miracolosamente incorrotto come fosse spirato allora.

Nel corso dei secoli il corpo, vestito con gli abiti tradizionali dei Terziari Francescani, a ricordo della laicità di Rosa durante la sua vita terrena, è stato conservato senza alcuna precauzione conservativa, se si esclude l’uso di cere protettive.

Nel Rinascimento, il corpo era stato riposto in un’urna munita di una finestra attraverso la quale i fedeli potevano toccare la piccola Santa.

Nel Trecento, le reliquie di Rosa rischiarono di andare perse in un incendio che distrusse parte del baldacchino, ma non intaccò il corpo, ad eccezione di una leggera bruciatura che ne scurì l’aspetto.

Nel 1921 fu eseguita una prima ricognizione del corpo, durante la quale venne estratto il cuore, ancora integro, che venne riposto in un reliquiario d’argento, dove ancora oggi è conservato. Nel 1996 è stata effettuata una nuova ricognizione medico scientifica ad opera dell’équipe del Prof. Capasso per conto del Ministero dei Beni Culturali, che ha confermato uno straordinario grado di conservazione del corpo di Santa Rosa e dei suoi organi interni.

Sono stati documentati resti di tessuto cerebrale, di masse muscolari e di altri apparati; lo scheletro, con le ossa tutte in connessione anatomica, è apparso in ottime condizioni, così come i denti e le cartilagini. Ciò ha permesso di confermare l’età della morte di Rosa, compresa tra i 18 e i 20 anni.

Inoltre, è emerso che era affetta da una rara patologia, la sindrome di Cantrell, caratterizzata da una mancanza congenita dello sterno, che solitamente porta a morte durante i primissimi anni di infanzia.

Oggi, la salma di Santa Rosa è conservata nel Monastero omonimo all’interno di un’urna di vetro, sormontata da un baldacchino in legno con putti adoranti in argento, dono del Cardinal Sacchetti nel XVII secolo.

Il lungo percorso di canonizzazione di Santa Rosa ebbe inizio con la Bolla Sic in Sanctis Suis mirabilis del 25 novembre 1252, con la quale Papa Innocenzo IV ordinò di cercare testimonianze legittime e veritiere circa la vita ed i miracoli della vergine viterbese.

Man mano che passavano gli anni, diversi papi si interessarono e riaprirono l’inchiesta: dal già citato Alessandro IV a Eugenio IV, nel 1443, da Callisto III ,nel 1456, a Pio II, nel 1460, da Sisto IV, nel 1476, a Giulio II, nel 1509, fino a che i successivi pontefici ritennero chiusa la causa senza che fosse portata a termine.

Il 4 settembre 1258 il Papa, in forma ufficiale e solenne, fece trasportare a spalla da quattro cardinali il corpo di Rosa per le vie di Viterbo, accompagnato dalla corte papale, dal vescovo, dal clero, dai notabili e da tutto il popolo dei fedeli.

Giunto alla piccola Chiesa di Santa Maria delle Damianite di Assisi, dedicata in seguito al Santa Rosa, il pontefice affidò il corpo di Rosa alle figlie di Santa Chiara perché la custodissero e ne stabilì la festa, da celebrarsi ogni anno nella medesima data.

A Santa Rosa sono intitolate chiese, parrocchie, città e scuole ed è patrona dei fiorai, della gioventù dell’Azione cattolica italiana e della Gioventù francescana. La sua festa fu poi sancita con voto del Consiglio dei Quaranta del Comune di Viterbo il 20 maggio 1512 che deliberò, tra le altre cose, la partecipazione alla processione di tutte le autorità, le Corporazioni e la popolazione.

Ciò diede origine al Corteo storico che il 2 settembre di ogni anno sfila per le vie della città rinnovando l’antica usanza. I costumi sono stati cuciti per volontà delle Sorelle Clarisse, sulla base di dipinti, disegni e raffigurazioni originali, utilizzando stoffe e merletti a volte addirittura d’epoca e, quindi, di grande valore.

Tamburini, podestà, capitani del popolo, governatori, notai, comandanti delle milizie, soldati, boccioli di Rosa e Rosine, per un totale di oltre trecento personaggi, sfilano lungo un percorso di circa tre chilometri, facendo rivivere gli antichi splendori della città.

Nel XVII secolo l’usanza di trasportare in processione la statua della Santa su di un baldacchino chiamato ‘Macchina’ ha dato vita all’attuale trasporto della Macchina di Santa Rosa, avvenimento di folclore religioso spettacolare ed unico al mondo.

La Macchina di Santa Rosa è una torre illuminata da fiaccole e luci elettriche, realizzata in metalli leggeri e in materiali moderni quali la vetroresina, che hanno sostituito da diversi anni il ferro, il legno e la cartapesta, alta circa trenta metri e pesante cinque tonnellate.

La sera del 3 settembre di ogni anno, a Viterbo, la macchina viene sollevata e portata in processione a spalle da un centinaio di uomini detti ‘Facchini di Santa Rosa’ lungo un percorso di poco più di un chilometro articolato tra le vie, talvolta molto strette, e le piazze del centro cittadino.

Durante il trasporto, che comincia alle ore 21:00 e al quale assistono decine di migliaia di persone, le vie interessate vengono oscurate per far risaltare la luce della Macchina. Il trasporto rievoca simbolicamente la traslazione della salma di Santa Rosa, avvenuta a Viterbo nel 1258 per disposizione di Papa Alessandro IV, dalla Chiesa di Santa Maria in Poggio, detta della Crocetta, alla chiesa di Santa Maria delle Rose, oggi Santuario di Santa Rosa.

La festa rientra nella Rete delle grandi macchine a spalla italiane, dal 2013 inserita nel Patrimonio orale e immateriale dell’umanità dell’UNESCO.

È l’avvenimento principale dell’anno cittadino, capace di catalizzare e monopolizzare l’attenzione dell’intera città e di attirare un sempre maggiore numero di turisti. Fin dal pomeriggio le vie del centro storico vanno riempiendosi di cittadini e visitatori in attesa di essere immersi nel buio della sera, con l’improvviso sfolgorare del gigantesco campanile che squarcia le tenebre.

Nel frattempo, i Facchini, vestiti nella tradizionale divisa bianca con fascia rossa alla vita,il bianco simboleggia la purezza di spirito della patrona, il rosso i cardinali che nel 1258 traslarono il suo corpo, si recano in Comune dove ricevono i saluti delle autorità cittadine, poi vanno in visita a sette chiese del centro, infine in ritiro al convento dei Cappuccini, dove il capofacchino impartisce loro le ultime indicazioni sul trasporto.

Verso le ore 20:00 i Facchini, preceduti da una banda musicale che intona il loro inno, intitolato ‘Quella sera del 3’, partendo dal Santuario di Santa Rosa percorrono a ritroso il tragitto della Macchina, acclamati dalla folla, fino a raggiungere la Chiesa di S. Sisto, presso Porta Romana, accanto alla ‘mossa’. Qui viene impartita loro dal vescovo la cosiddetta benedizione in articulo mortis, che prende in considerazione eventuali incidenti e pericoli.

Il trasporto inizia all’interno di Porta Romana, dove accanto alla Chiesa di San Sisto la Macchina è stata assemblata durante i mesi di luglio e agosto e celata fino all’ultimo momento da un’imponente impalcatura coperta con teli.

Le ore che precedono il trasporto prevedono una serie di verifiche e, infine, l’accensione delle luci che fanno parte della costruzione, alcune elettriche e moltissime a fiamma viva.

Il percorso, lungo circa 1.200 metri, si svolge nelle vie rese buie e si conclude nella piazza antistante il Santuario di Santa Rosa, dedicata ai Facchini. Durante il trasporto si effettuano cinque fermate, durante le quali la Macchina viene appoggiata su speciali ‘cavalletti’ pesanti 100 chili ciascuno.

L’ultimo tratto consiste in una ripida via in salita, effettuata quasi a passo di corsa, con l’aiuto di corde anteriori in aggiunta e di travi dette ‘leve’, che spingono la Macchina posteriormente. La Macchina viene posata, infine, davanti al Santuario, dove rimane esposta ai visitatori per alcuni giorni successivi al trasporto.

Il modello cambia ogni cinque anni. Quest’anno la nuova Macchina, che è debuttata martedì 3 settembre 2024, si chiama Dies Natalis, progettata dall’architetto Raffaele Ascenzi, già ideatore delle passate di Ali di Luce e Gloria.

Il processo compositivo del progetto non valuta solo la storia recente ma si fonda su una attenta analisi di tutti i modelli. Nel rapporto tra superfici esterne, volutamente riconducibili a forme e geometrie del passato, e nucleo centrale, dove invece compare una diversa forma di dialogo architettonico più legato a materiali e soluzioni contemporanee, si cerca di stabilire un legame armonioso tra due diversi linguaggi.

La patina argentea che ricopre le statue al centro della Macchina e la struttura centrale a tubo che attraversa i fori apicali delle volte e culmina nella parte più alta ai piedi della croce, accentua questo confronto tra stili e stimola lo spettatore a una rilettura dell’intero organismo.

Non si tratta di una riproposizione anacronistica di un’architettura che non appartiene più al nostro tempo, ma è il tentativo di far rivivere la più antica tradizione che ha animato per secoli le notti del settembre viterbese.

La sfida di questa Macchina è arrivare ai limiti di altezza consentiti, raddoppiando quindi le dimensioni delle strutture ottocentesche grazie alle più attuali tecniche costruttive, mantenendo le armonie e la ricerca esasperata del dettaglio dello stile barocco delle macchine devozionali.

Il progetto vuole raccontare con forza una storia e propone a tre livelli ascendenti il giorno in cui la Santa, per la Chiesa, ha raggiunto la vita eterna. Il passaggio dalla vita terrena, nel giorno della sua morte, alla rinascita tra gli angeli e i santi del paradiso.

In questo percorso la Santa viene accompagnata da figure angeliche che scendono alla base della struttura e vegliano il corpo adagiato su una pietra, mentre intorno, come fatto terreno, compaiono figure che piangono la prematura scomparsa della giovane Rosa viterbese, ma al contempo gioiscono per la certezza della sua resurrezione.

I personaggi esterni assumono una grande importanza nella composizione ma sono volutamente inseriti in una scala diversa dalla scena centrale, come pure la loro colorazione finale che li associa, anche nelle cromie, alle architetture di pietra in stile gotico richiamanti il grigio chiaro del peperino.

I progettisti del passato si rifacevano a modelli architettonici non necessariamente presenti nella città di Viterbo, ma prendevano spunto nella composizione da elementi dell’architettura ecclesiastica di varia natura e origine.

Solo a partire dalla metà del ‘900 quasi tutti i modelli inseriscono parti della città medievale alternando architetture, modellazioni plastiche e sculture di angeli, allontanandosi pertanto dal metodo che orientava la realizzazione dei campanili descritti in precedenza.

Questo progetto, anche se volutamente ricondotto alle origini della tradizione, cerca di svelare alcuni angoli della città, trovando una sintesi tra le due differenti teorie compositive.

Piastra di base e travi in legno – La misurazione della Macchina parte dalla spalla del Facchino di Santa Rosa, dove sono le travi in legno ancorate a una griglia in acciaio, disposte su 7 file ortogonali al senso di marcia per i Ciuffi e due laterali per le Spallette. È stata riutilizzata la stessa della macchina precedente e riadattata con piastre di ancoraggio per far partire le nuove strutture.

Tronco 1

Un parallelepipedo scavato con quattro scale che salgono a croce verso il centro della macchina, con mosaici cosmateschi incisi sulle superfici perimetrali, costituisce il solido basamento dove avviene la prima scena.

Il corpo di Rosa adagiato su una pietra squadrata e priva di eccessivi ornamenti è posto al centro dello spazio e diventa la vera anima della celebrazione, focalizzando tutte le attenzioni dei fedeli riuniti in preghiera.

Le architetture della Macchina sono tutte rivolte verso la Santa, con il compito di rievocare il primo trasporto voluto da Papa Alessandro IV nel 1258. I viterbesi da quel giorno ogni anno percorrono gli stessi sentimenti di venerazione e compiono lo stesso gesto di amore.

Gli elementi decorativi alla base come le stelle cuspidate o i cubetti in serie sono presenti in vari palazzi del centro storico e nello specifico sono ripresi dal loggiato di Palazzo Alessandri a San Pellegrino. Sul fronte anteriore sono ancorati i loghi incisi su lastra di alluminio della Città di Viterbo, Sodalizio Facchini di Santa Rosa, UNESCO, GRAMAS e Giubileo 2025.

Tronco 2

Riprende lo stile Gotico del sepolcro di Papa Clemente IV nella chiesa di San Francesco con colonne tortili e archi a sesto acuto che sostengono una torre ottagonale alla cui sommità, per allargare la base di appoggio del tronco superiore, sono inseriti archi a tutto sesto e modanature sovrapposte con coronamento aggettante, visibili nella parte absidale della chiesa di Santa Maria Nuova.

L’asse centrale è interamente svuotato e lascia spazio a un traliccio di acciaio rivestito di sottili lamierine accartocciate di metallo che permetteranno alla luce intensa, proiettata verso il corpo della Santa, di filtrare e creare una retroilluminazione che dall’interno della macchina tenderà ad uscire attraversando le architetture perimetrali.

Avrà anche una funzione strutturale, innestandosi nelle colonne e trasmettendo i pesi della macchina distribuendo i carichi con raggio più ampio in corrispondenza delle quattro colonne collegate alla base.

Accentuerà il senso di ascensione al cielo e stabilirà un legame tra la figura alla base senza vita e quella ormai protesa verso la vita ultraterrena dei santi. Il tunnel centrale permetterà anche al personale addetto al montaggio della macchina di raggiungere le parti più alte senza ostacoli.

Tronco 3

La seconda scena vede la Santa in estasi, avvolta dalla luce e accompagnata in cielo da un coro di angeli. Le otto guglie poggiano su pilastri polistili e sono superate in altezza da pinnacoli ornati di foglie protesi verso l’alto per accentuare il disegno verticale della Macchina.

Tronco 4

Quattro angeli si affacciano tra gli archi e con lo sguardo proteso al cielo preannunciano la terza scena.

Tronco 5

Il corpo e l’anima di Rosa sono pronti a parlare con Dio e a proteggere la città nell’alto dei cieli. La statua inginocchiata e sorretta in alto da due angeli abbracciati è posta, come in passato, all’interno della Macchina.

La cupola ha un foro apicale chiuso solo da una fitta rete metallica che sostiene la croce in cima alla struttura e consente alla luce di uscire verso l’alto.

La struttura portante è costituita da un traliccio reticolare semplice di aste per lo più di sezione quadrangolare, di spessore variabile per ottenere una corretta distribuzione della rigidezza anche in funzione delle masse costituite dall’allegoria e dalle luci della macchina, che presenta piani di simmetria verticali.

Sarà coperto quasi interamente dalle allegorie e a vista solo intorno all’asse verticale al centro della macchina. È stato realizzato parte in acciaio e soprattutto in alluminio in più tronchi giuntati tra loro per mezzo di bulloni e piastre per consentirne la costruzione e l’immagazzinamento per parti all’interno di capannoni, oltre che la trasportabilità con i comuni autoarticolati.

La tinteggiatura a smalto delle architetture perimetrali e delle statue poste sul paramento esterno ha sfondo sfumato nelle tonalità del grigio chiaro, e velature quasi a riprendere i cromatismi del peperino viterbese. Le parti interne sono di colore argento con riflessi bronzati.

L’illuminazione di fondo è ottenuta mediante proiettori con lampade led di varia intensità, disposte principalmente alla base di ogni modulo e orientate in senso verticale. Microproiettori a led sono stati inseriti nei punti meno visibili all’interno delle sculture e nelle parti più esterne delle guglie per illuminare verso il corpo centrale della Macchina nascondendo i vari punti di emissione luminosa al fine di evidenziare meglio gli elementi fortemente caratterizzanti.

Nel solido di base sono disposte delle strisce LED all’interno di cavità realizzate nelle modanature per fornire una luce radente. L’illuminazione elettrica sarà integrata da fiamma viva mediante la collocazione di bicchierini in alluminio con supporto di fissaggio in lamiera realizzata su disegno a taglio laser.

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