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Un mondo di dati. La visione di Stefano Rodotà

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Un mondo di dati


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Pensiamo un attimo al 1973, poco più di cinquant’anni fa. Avevamo solo due canali televisivi e la sera tutta la famiglia, aspettava Carosello.
Guardare la pubblicità era uno dei momenti di massimo divertimento e spensieratezza della giornata specialmente per i più piccoli.

Oggi non ne possiamo più di pubblicità, specialmente quella che arriva martellante, assillante, sui nostri smartphone e della quale, non dimentichiamolo, siamo i diretti colpevoli con il nostro costante prestare consensi e accettando cookie ed altro.

Ma torniamo al 1973 e ad un libro di Stefano Rodotà dal titolo ‘Elaboratori elettronici e controllo sociale’. Il termine computer non era ancora entrato nell’uso comune e si usava ancora la dizione tradizionale che, giusto per ricordarlo, nacque per indicare una persona che esegue calcoli a mano e, probabilmente, l’inglese lo ha mutuato dal termine originale francese.

Il libro è stato scritto in un periodo in cui negli Stati Uniti esistevano meno di settantamila elaboratori, in Gran Bretagna e Francia meno di cinquemila e in Italia sembrerebbe poco più di tremila.

Il grande giurista, tuttavia, già usava una terminologia per definirne l’utilizzo che faceva presagire quale fosse lo scopo di queste macchine: raccolta e trattamento delle informazioni personali.

L’autore, mancato Presidente della Repubblica e primo Garante per la privacy, raccontava di un primo esperimento di raccolta dati in Italia, un progetto denominato Borsa informazioni che era fallito perché troppo avanti con i tempi.

Ma negli Stati Uniti la Credit data Corporation e la Retail Credit Company avevano già banche dati su milioni di cittadini americani e, in due minuti, era possibile conoscere telefonicamente le informazioni sull’affidabilità e solvibilità dei possibili clienti.

L’autore metteva in evidenza i punti più importanti di una tematica allora nuovissima e che oggi è la nostra realtà quotidiana.

Rodotà individuava la possibilità illimitata di raccolta delle informazioni personali da parte di istituzioni pubbliche e private e il conseguente accesso rapidissimo all’intero complesso di queste informazioni grazie agli elaboratori che, all’epoca, non erano certo rapidi come quelli di oggi.

Conseguenza immediata e diretta la possibilità di circolazione delle informazioni a più livelli.

In Italia avevamo l’Agenzia Kosmos, che vantava 400 dipendenti incaricati alla raccolta dei dati, e che offriva informazioni su oltre dieci milioni di italiani per verificare la loro solvibilità.

Tra gli strumenti utilizzati, ovviamente, troviamo gli elaboratori.

Il libro di Rodotà è probabilmente il primo testo in cui si parla della necessità di una normativa a tutela della privacy e se questo concetto coincidesse con quello di riservatezza che era stato creato dalla giurisprudenza e, si noti, se questo diritto potesse essere l’ultimo baluardo a difesa dell’uomo dalla macchina.

Una domanda molto lungimirante per il momento storico.
Era un’epoca che molti, specialmente i nativi digitali, non possono assolutamente comprendere.

Era prima di Bill Gates, di Brin e Page, di Steve Jobs e di Marc Zuckerberg. La prima forma embrionale di e-mail era stata inviata nel 1971 quando non esisteva ancora la @, o chiocciola, ed eravamo lontani dal 1996 quando comparve sul mercato il Nokia 9000, il primo cellulare con accesso a Internet.

Ma già allora si stava sviluppando in menti più attente l’importanza che stava assumendo il dato personale dell’individuo, quella massa enorme di informazioni che, oggi, fa muovere una rete che all’epoca era solo immaginata come un film di fantascienza.

Negli Stati Uniti, dove la privacy è molto più sentita che non da noi, erano già state avanzate proposte di legge per informare i cittadini dell’eventuale inserimento delle loro informazioni personali in banche dati pubbliche e, da allora, i vari legislatori si sono resi conto dell’importanza del dato specialmente a fronte della leggerezza e inconsapevolezza con cui i singoli li mettono a disposizione di aziende e operatori commerciali privati salvo poi lamentarsi successivamente dell’invasione della loro sfera privata.

Ricordiamo che siamo noi stessi a dire ‘sì’ con un semplice click, all’invio di mail, newsletter e profilazione del nostro comportamento online.

Rodotà, con una mente lungimirante e da fine giurista, ci avvertiva già allora di quanto è accaduto.

Autore Gianni Dell'Aiuto

Gianni Dell'Aiuto (Volterra, 1965), avvocato, giurista d'impresa specializzato nelle problematiche della rete. Di origine toscana, vive e lavora prevalentemente a Roma. Ha da sempre affiancato alla professione forense una proficua attività letteraria e di divulgazione. Ha dedicato due libri all'Homo Googlis, definizione da lui stesso creata, il protagonista della rivoluzione digitale, l'uomo con lo smartphone in mano.