I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela.
Enrico Berlinguer
L’11 giugno del 1984 ci lasciava, a causa di emorragia cerebrale, uno degli uomini politici più importanti della nostra storia repubblicana: Enrico Berlinguer, segretario dell’allora Partito Comunista Italiano.
Fu uno dei personaggi più produttivi nell’antifascismo sardo, nel 1943 s’iscrisse al PCI Nel dopoguerra e divenne tra i principali artefici della ricostituzione della sua organizzazione giovanile, la FGCI, che guidò fino al 1956.
Nel 1962 entrò nella segreteria del PCI e dove prese la carica di responsabile della sezione esteri. Eletto segretario generale del partito nel 1972, mantenne tale ruolo fino alla prematura scomparsa dodici anni dopo.
Ha attraversato importanti momenti storici del nostro Paese, tra la luce della speranza e il buio delle stragi.
Se solo pensiamo al famoso decennio tra il maggio 1974 e il giugno 1984, tra il referendum sul divorzio e la sua stessa morte, possiamo ricordarlo come un periodo nel quale furono maggiori le occasioni per la costruzione di un assetto bipolare: questo non successe per ragioni non solo politiche ma anche proprie della società italiana.
Ora ci troviamo in un altro momento storico – politico durante il quale, pur con soggetti politici mutati, numerose questioni problematiche restano irrisolte.
Il 7 giugno 1984, in vista delle imminenti elezioni europee, Berlinguer tenne un comizio in piazza della Frutta a Padova.
Durante l’intervento, mentre si apprestava a pronunciare la frase
Compagni, lavorate tutti, casa per casa, strada per strada, azienda per azienda!
fu colpito da un ictus che lo costrinse a una pausa. Pur evidentemente provato dal malore, Berlinguer continuò il discorso fino alla fine.
Morì quattro giorni dopo lasciando una grande eredità politica e morale e, soprattutto, un enorme buco da colmare.
Berlinguer, difatti, sembrava l’eterno idealista da cui nessuno, neanche i suoi cosiddetti nemici, potevano sottrarsi nell’elogiare una certa distinta capacità di vedere il mondo con occhi onesti e laboriosi.
Uomo politico di riconosciuta coerenza, protagonista della vita politica italiana e della scena internazionale, persona riservata ma con una capacità comunicativa fuori dal comune, quello che è stato il più popolare segretario del partito comunista italiano viene ricordato soprattutto per la sua denuncia della ‘questione morale’ e per la sua alta concezione della politica.
Ma Berlinguer è stato anche altro: un comunista che, proclamando inseparabili gli ideali del socialismo e della democrazia, ci ha lasciato un pensiero politico rivoluzionario in sintonia con il nostro presente, un’elaborazione ancora per molti aspetti vitale e utile per chi voglia cambiare lo ‘stato di cose presente’, combattendo il privilegio e l’ingiustizia su scala globale.
Al di là del ricordo dell’anniversario della morte dell’ex segretario del PCI, siamo partiti da Enrico Berlinguer per parlare di politica o meglio dei politici.
Non lo abbiamo fatto durante il periodo di campagna elettorale per normale rispetto, lo facciamo oggi per dare un contributo sulla figura tanto amata e anche tanto odiata della nostra società.
La politica è schifosa e fa male alla pelle
cantava Giorgio Gaber nel 1980
Quasi quarant’anni ci separano dall’invettiva di ‘Io se fossi Dio’, e nel frattempo cos’è cambiato? Poco, per certi versi, ma moltissimo per altri.
Se è vero che assistiamo da decenni a un inesorabile svilimento della cosa pubblica il confronto tra ieri e oggi appare al contempo impietoso e illuminante, sospeso tra bruschi cambi di rotta e inquietanti continuità.
Per misurare appieno distanze e affinità bastano i profili esemplari di tanti, forse troppi, uomini e donne (poche) che si sono avvicendate in questi anni.
Tra vicende pubbliche e private in cui si affacciano tanti nomi della nostra storia comune, tra figure indimenticabili, accanto ad altre da dimenticare o colpevolmente dimenticate; tra vette di virtù politica o di bieco personalismo, tra esempi perfetti di dedizione alla comunità e di abilità mediatica, i nostri anni, la nostra storia è stata contrassegnata sempre dall’uomo politico.
Essi sono stati capaci di restituire, come tessere di un mosaico, il quadro complessivo del nostro Paese. Nel bene e nel male. Possiamo dedurre, però, una condizione molto rilevante della politica odierna: la democrazia è in crisi.
Il ‘potere del popolo’, pian piano, sta perdendo il proprio valore, per colpa del cittadino poco informato, poco preparato e non consapevole dei suoi diritti e doveri, o che, invece, ne usufruisce in una maniera inadeguata, ma anche a causa della ‘politica sporca’ di tanti che si lasciano condizionare da interessi di parte, per non parlare di alcuni nostri rappresentanti che sanno ben poco di politica, ma sono piuttosto economisti, non hanno studiato, quindi, per svolgere bene questo compito.
La via del disinteresse è quella che va combattuta. Molti guardano ai politici oggi come persone che identificano nel potere non un servizio, ma un privilegio su cui lucrare.
Affabulatori che, oltre ad inondarci ogni momento con la loro, spesso vuota, retorica, hanno iniziato a produrre scelte e non scelte discutibili, se non pericolose, per il sistema Paese.
Se guardiamo ai leader del passato rischiamo di farci male: non si trattava, intendiamoci, di cavalieri senza macchia e senza colpa, ma di uomini politici cui non mancavano qualità o virtù assai rare oggi nella politica del nostro Paese.
In primo luogo, vi era in loro un robusto e schietto senso dello stato:
Lo Stato forte non può essere che quello ove si rispetti o si fa rispettare la legge, cioè la Costituzione e le altre leggi che sono in vigore e servono per applicarla.
La frase è di Alcide De Gasperi, ma ben condivisa dagli altri padri della nostra repubblica che formularono la Costituzione, entrata in vigore il 1° gennaio 1948.
In secondo luogo, necessita una libertà di critica che deve essere piena. Infatti, il controllo che esercita la stampa libera è un correttivo necessario della democrazia e la stampa è il naturale veicolo, il filtro delle idee.
Nella democrazia il Parlamento è un polmone, l’altro è la stampa.
Alcide De Gasperi
Quella stampa e quei media, sempre guardati con diffidenza dagli uomini al potere sono sempre più sottoposti alle attenzioni minacciose dei nuovi padroni al governo. Di qualsiasi potere del momento, di qualsiasi schieramento.
In quanto al Parlamento, purtroppo, è spesso diventato non un’aula sorda e grigia ma un luogo dove il vociare è assordante e inutile. Del resto, per molti dei nuovi potenti e dei loro mentori la democrazia rappresentativa sarebbe ormai al suo epilogo a tutto vantaggio della democrazia della rete; cosa che farebbe inorridire lo stesso Rousseau.
Infine, la competenza, o per qualcuno l’incompetenza, con la teorizzazione da parte dei guru del nuovo corso della possibilità di scegliere parlamentari o uomini di governi con il sorteggio, scimmiottando male un costume antico.
Nell’antica Grecia, al tempo del riformatore Clistene (508 – 507 a.C.) ad Atene vi era il Consiglio dei 500, i cui membri erano sì sorteggiati, ma dopo essere stati preliminarmente sottoposti ad un esame che escludeva incapaci ed indegni; inoltre le supreme cariche dello stato erano sempre riservate, di fatto, alle classi più abbienti.
Che differenza, anche su questo punto, con le severe scuole dei vecchi partiti: scuole che servivano a preparare dirigenti capaci e politici al servizio dello Stato, cioè dei cittadini nel loro insieme, non di interessi particolari o di lobby.
Basterebbe ricordare cosa significa il termine politica: quello più completo, ad indicazione del concetto in sé, consiste in ‘arte che attiene alla città – stato’, da cui ‘tecnica di governo (della società)’.
La matrice della ‘politica’, l’origine del tutto, se così possiamo definirla, è costituita dalla parola pólis, da intendersi come un’entità politica, aggregativa, sociale ed economica, dunque, una comunità con specifici e comuni valori e principi etico – morali, i cui membri tendono al bene comune della collettività stessa. Basterebbe questo. Basterebbe che qualcuno se lo ricordasse.
Se la politica, in linee generali, consiste nell’impegno per il bene pubblico, per il bene di tutta la collettività, allora possiamo dire, a gran voce, e con estrema certezza, che quella a cui assistiamo oggi, della quale siamo continuamente bombardati sui giornali, in TV, sui social network, non rispecchiando i canoni valoriali e gli aspetti finalistici della politica originariamente intesa, non dovrebbe essere neanche considerata tale.
Oggi ‘Politica’ assume un significato sinonimico di lotta individuale fratricida e degenerata, finalizzata all’accrescimento economico personale, alla tutela di interessi privati e all’elevazione immeritata e quasi coercitiva del proprio status e della propria ‘rete’ sociale, con l’esplicito ed ignobile sfruttamento del potere che solo le istituzioni pubbliche possono concedere ai singoli.
Autore Massimo Frenda
Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.