La pedagoga partenopea, sconosciuta a molti ma stimata dalla più famosa collega Montessori, ha dedicato la sua vita a ribaltare lo stereotipo dello ‘scugnizzo’ napoletano
L’anno scolastico 1913 – 2014, per alcuni bambini di Napoli che versavano in condizioni disagiate si preannunciava ‘speciale’, poiché lo avrebbero trascorso interamente su un’imbarcazione ormeggiata nel primo bacino di carenaggio costruito in Italia.
Si trattava della Francesco Caracciolo, che, fino a giugno del 1928, ebbe il merito di aver ‘salvato’ dalla strada settecentocinquanta orfani, i quali vivevano nella più assoluta povertà e, spesso, erano oggetto di abusi da parte degli adulti.
Il regime fascista decise di dismettere la nave scuola e di inserirla nell’Opera Nazionale Balilla.
Sulla nave, oltre che a leggere, scrivere e fare di conto, ai ragazzi veniva insegnato anche un mestiere. Molti di loro diventarono marinai, pescatori, artigiani, altri anche insegnanti o capitani di lungo corso.
Tutto ciò lo si deve ad una donna il cui nome è sconosciuto alla massa, Giulia Civita Franceschi, coetanea e ‘collega’ di Maria Montessori.
La Franceschi si prese amorevolmente cura dei suoi ‘Caracciolini’ che chiamava ‘naufraghi’, i quali, dopo un periodo di adattamento di una settimana, erano inquadrati nella vita di bordo e dotati di una divisa.
Secondo l’educatrice questa settimana di prova era proprio il periodo più importante, poiché si infondeva nei ragazzi la fiducia e il senso di responsabilità.
Il motto della pedagoga era di ribaltare lo stereotipo dello scugnizzo napoletano, così come l’informazione di Casa Savoia l’aveva presentato al mondo, e ci riuscì in pieno.
Per rendere possibile tutto questo, Giulia si trasferì sulla nave insieme al figlio Emilio, suo principale collaboratore.
La vita di bordo e la convivenza quotidiana coi suoi ‘naufraghi’ rappresentò un legame di coesione inscindibile, tanto che, durante il suo rito funebre, la bara fu portata a spalla dai suoi ex allievi oramai padri e nonni.
Il metodo ‘Civita’ si fondava sul principio dell’educazione naturale. L’imbarcazione non doveva essere soltanto un luogo dove imparare a leggere e a scrivere e neppure una scuola di avviamento al lavoro, ma una comunità in cui il bambino veniva aiutato a crescere; gli erano impartiti dei valori, rispettandone le proprie attitudini, senza premi e senza punizioni.
L’opera della Franceschi fu apprezzata e stimata oltre che dalla Montessori, anche dalla moglie del Senatore Francesco Saverio Nitti e dalla figlia di Giovanni Giolitti.
In fondo solo la cultura, l’educazione la bellezza, possono salvarci e rendere il mondo un posto migliore.
Autore Mimmo Bafurno
Mimmo Bafurno, esperto di comunicazione e scrittore, ha collaborato con le maggiori case editrici. Ha pubblicato il volume "Datemi la Parola, Sono un Terrone". Attualmente collabora con terronitv.