Spiegati quali sono il metodo – investigativo – e la visione d’approccio generale è il momento di procedere all’interno dell’argomento principe.
Ma qui è necessario a mio parere stabilire delle basi. E inizio ponendomi delle domande alle quali cercare delle risposte che faranno da fondamenta.
Cosa vuol dire mangiare?
La domanda sembra banale, ma se esaminata in modo esoterico / iniziatico, assume un significato profondo.
Il cibo è fonte di vita e la cucina è un’arte di trasmutazione alchemica che vede amalgamare in armonia i 4 elementi – terra, aria, acqua e fuoco – che si fondono in un tutt’uno, in equilibrio di abbinamenti e di contrasti; da sentire, da annusare, da assaggiare, da tastare, da curare e anche da guardare e ascoltare, per fare pietanze buone e desiderabili.
Da sempre mangiare non è solo un atto necessario naturale, fisico e fisiologico, ma è Cultura, è Tradizione, determinate da vari fattori differenti e che seguono regole e tempi da cui scaturiscono convenzioni e schemi, successione di ordini, associazioni o incompatibilità tra alimenti differenti, modi di preparazione, del servire e presentare i piatti; perfino il modo di mangiare e il comportamento, osservando il galateo della tavola.
Il cibo riflette anche l’ambiente circostante e tutto questo ritengo che di rispecchio comporti variazioni di essere e di pensare, poiché ogni alimento di cui ci si nutre altera automaticamente la nostra disposizione fisica e mentale.
Infatti, siamo attirati ad esempio da cibi che creano in noi stati d’animo desiderati, stupore per la maestria o altri effetti positivi e respingiamo quelli che producono condizioni mentali opposte.
Al proposito ricordo brevemente che il termine felicità deriva dal mondo vegetale: indica la pianta straordinariamente produttrice di frutti, la quale così realizza completamente la propria essenza.
Allora realizzare pienamente la propria personalità sta nell’essere fecondi e creativi e, dunque, nel dare?
Era forte fra gli antichi l’idea che attraverso il nutrimento fossero trasferibili anche doti fisiche e virtù metafisiche del soggetto assunto come cibo.
È quindi strettissima la connessione tra il significato simbolico del cibo e del mangiare con l’esistenza umana, come sorgente di vita che è riconosciuta come dono concesso dalla generosa fecondità dalla natura.
Ne consegue un fatto cruciale: il rapporto tra ricevente e donatore.
Qui credo sia necessario sottolineare in proposito il significato della morte perché il pasto comunque richiede la consumazione di un sacrificio che, essendo interruzione e separazione nei riguardi della natura, è sempre stato vissuto come un apportato squilibrio e che, in qualche modo, ha creato nell’uomo un senso di colpa e conseguente paura.
Peraltro, la sopravvivenza è sempre stata condizionata da fattori molto incerti e, quindi, indipendenti dalla volontà degli uomini.
Perché mangiare assieme?
Non siamo fatti per stare soli e mangiare assieme corrisponde, per me, ad una sorta di relazione intima, che ha valenze differenti secondo i contesti di riferimento e banalmente anche per questioni di carattere fisico ed economico: è lapalissiano che accendere un grande fuoco è meno impegnativo che accenderne 7 più piccoli.
Condivisione, scambio e dono sono, però, le parole che mi sovvengono immediate al pensiero del mangiare assieme.
Ne deduco che, atavicamente, abbiamo dentro di noi il bisogno di stare insieme e aderire al piacere che ne deriva. L’adesione al pasto in particolare, secondo me, ha le sue fondamenta nel compartecipare al benessere e ai sentimenti generati dall’origine degli ingredienti e dal conseguente prelievo dell’uomo alla natura e condividerne le disponibilità parifica gli uomini alla stessa condizione.
Oltre allo spartire le emozioni citate, generate dalla sottrazione, l’indispensabile riequilibrio vede la contrapposizione dell’unione per un’esperienza che è vissuta singolarmente, ma il modo collettivo allevia e facilita al fine di sugellare il senso di spartizione e di appartenenza per l’aspirazione di un comune condono divino.
E dunque mangiare insieme è un rito?
La ritualizzazione del pasto, secondo me, cerca un profondo riequilibrio catartico ed esorcizzante di quelle emozioni negative per ristabilire una comunicazione di ordine sacrale con la dimensione alla quale si è sottratto un bene, una vita, quindi, per ringraziare e tentare di annullare la violenza della macellazione di animali o della raccolta dei vegetali e poter così dimostrare rispetto ed ingraziare la collera divina e il destino.
Penso, inoltre, che assieme al fuoco, è uno degli aspetti più distintivi che ha posto l’uomo a metà strada tra il selvaggio consumo di cibo per vivere e la dimensione divina e della propria coscienza; approfondiremo anche quest’argomento in uno dei prossimi articoli.
Dunque, la vita consegue da un’altra vita che si conclude! Il cibo deriva da un’esistenza individuale che subisce una trasmutazione al fine di poter parteciparne ad una più ampia.
Da qui un complesso linguaggio collettivo e antico, interpretabile nel rituale del banchetto che, per tutti i motivi che ho cercato di descrivere, si colloca, ovviamente, nella sacralità.
In questo senso è presente una percezione di solenne celebrazione che distende e rafforza i legami che unificano i convitati tra loro e con la natura, che, tramite i suoi prodotti, porta verso i suoi principi primi, potenzialmente comprensibili solo dalla consapevolezza.
Se penso, ad esempio, all’atto di spezzare il pane, per condividerlo, come simbolo spirituale, mi rappresenta sì la solidarietà amorevole, ma per me simboleggia soprattutto il dare la parte migliore di noi stessi.
Sottolineando l’aspetto mistico che coinvolge sapere, magia, sacralità, continuità di Tradizione e identificazione di un Metodo, la nutrizione del corpo si spande verso la mente e poi verso lo spirito anche come grande dono d’amore totale, senza tempo, disinteressato e incondizionato; l’origine della parola greca Agape, associato alla Bellezza, termine fondamentalmente distinto da Eros, associato alla Forza, e Philìa, associato alla Sapienza, e, a mio parere, discorde anche da quello latino di Caritas.
Il percorso dove ci porterà?
Stay tuned! Restate sintonizzati e direi anche sincronizzati!
Autore Investigatore Culinario
Investigatore Culinario. Ingegnere dedito da trent'anni alle investigazioni private e all’intelligence, da sempre amante della lettura, che si diletta talvolta a scrivere. Attratto dall'esoterismo e dai significati nascosti, ha una spiccata passione anche per la cucina e, nel corso di molti anni, ha fatto una profonda ricerca per rintracciare qualità nelle materie prime e nei prodotti, andando a scoprire anche persone e luoghi laddove potesse essere riscontrata quella genuina passione e poter degustare bontà e ingegni culinari.