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Il metodo investigativo – Parte 1

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Il metodo investigativo


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Nell’articolo di presentazione ci lasciavamo con una domanda del perché del connubio investigazioni e culinaria; e la promessa: Investigheremo per capire di più sul perché.

Soprattutto come era possibile sincronizzare il rapporto apparentemente distante tra il piacere materiale del cibo e i significati spirituali.

L’anima investigatrice davvero è più avvezza a scavare nelle questioni in generale e a ricercarne il significato più profondo?

Io credo di sì, semplicemente perché l’approccio e il metodo potrebbero differenziarsi moltissimo dall’usuale sentire e percepire. Inoltre, sono certo che, di base, occorrano delle caratteristiche peculiari per andare alla ricerca della Verità.

Al proposito coi vecchi colleghi ci ripetevamo:

Tutti inseguono la verità, noi sappiamo pedinarla!

Provo a dimostrarvelo.

Inizio col pormi la domanda delle domande: che cos’è la verità? E come si raggiunge?

Sempre più spesso si sente dire: questo è vero, questo non lo è… Ma quali prove ci sono, oggettivamente? Nella traduzione dei fatti, quanto conta l’interpretazione che diamo e la propria esperienza di vita?

Bisogna chiedersi, perciò, cosa sia un fatto e se possa essere tale per chiunque o come un fatto possa permetterci di concludere ed arrivare a determinate tesi essendo un verbo espresso con il participio passato; quindi come qualcosa che ormai si è già verificata e che non consente più a nessuno di esprimere previsioni poste al futuro.

Il fatto è traducibile anche come fascio di stimoli e sensazioni, un riflesso di noi stessi, toccando il concetto di solipsismo.

Mi chiedo: ma quanto abbiamo bisogno della verità? Quanto la verità sia realmente un’esigenza per sentirsi ad esempio dalla parte della ragione, per sentirsi forti? È un meccanismo di auto-convalida, per sentirsi a posto, per sentirsi normali?

Ognuno di noi ha una dimensione che considera vera: vero è, ad esempio, il mio innamoramento per mia moglie o la mia passione per la gastronomia; vero è il mio avvertire sensazioni e sentimenti o l’insieme dei miei ricordi; come vere sembrano le mie aspirazioni ed esigenze.

E da questa angolazione, nulla può provare ciò che ho realmente dentro.

E fino a che punto dunque la verità può essere gestita?

Da un lato la verità possiede dei limiti molto forti da una prospettiva epistemologica e metodologica nel rendersi conto di cosa sia vero o meno.

D’altra parte, però, la verità può essere anche inficiata, manipolata, strumentalizzata, può essere scomoda e, all’occorrenza, nascosta.

Ricerca per me significa Investigazione.

Per praticità inizio dall’etimologia del verbo vestigium, nella forma più arcaica della parola, che è la traccia lasciata fisicamente sul terreno da un’orma.

L’uomo ha esercitato l’attività di cacciatore prima di ogni altra e, da qui, ha imparato a sviluppare abilità e a compiere operazioni mentali sempre più complesse e rapide.

Un cacciatore, utilizzando i suoi 5 sensi, si basava sulle tracce lasciate dalla preda: orme, rami spezzati, peli e piume, rifiuti e odori, e ha imparato, quindi, ad osservare, fiutare, ricordare, interpretare e classificare, per indovinarne grandezze, comportamento, intenzioni e via dicendo.

L’abilità distintiva dell’uomo è disporre e contrapporre, congiungere e separare, applicare la logica; da qui il paradigma, come modello epistemologico, della raccolta dei dati, l’analisi delle possibili interpretazioni e delle spiegazioni in grado di unire tutto l’insieme degli indizi.

Adso – disse Guglielmo – risolvere un mistero non è la stessa cosa che dedurre da principi primi. E non equivale neppure a raccogliere tanti dati particolari per poi inferirne una legge generale.

Significa piuttosto trovarsi di fronte a uno, o due, o tre dati particolari che apparentemente non hanno nulla in comune, e cercare di immaginare se possono essere tanti casi di una legge generale che non conosci ancora, e che forse non è mai stata enunciata.

Di fronte ad alcuni fatti inspiegabili tu devi provare a immaginare molte leggi generali, di cui non vedi ancora la connessione coi fatti di cui ti occupi: e di colpo, nella connessione improvvisa di un risultato, un caso e una legge, ti si profila un ragionamento che ti pare più convincente degli altri.

Provi ad applicarlo a tutti i casi simili, a usarlo per trarne previsioni, e scopri che avevi indovinato. Ma sino alla fine non saprai mai quali predicati introdurre nel tuo ragionamento e quali lasciar cadere.
Umberto Eco – Il nome della rosa

Giovanni Morelli, medico e senatore del regno d’Italia, verso la fine del 1800, scrivendo alcuni articoli sulla pittura italiana, fu il primo a proporre un nuovo metodo per l’attribuzione dei quadri antichi e a sostenere che i musei, ai tempi, fossero pieni di attribuzioni errate.

Il metodo morelliano era diversificato e molto ricco e si concentrava sull’identificazione del particolare trascurabile, e trascurato allora: il lobo dell’orecchio, la forma delle dita, ecc.; e così identificò un’opera di Giorgione assieme ad altre decine in tutta Europa.

Come di consueto, le reazioni furono contrastanti tra gli esperti del settore e, infine, fu criticato, al punto che il sistema cadde in discredito, perché giudicato meccanico, grossolano e arrogante.

Attualmente, invece, il ‘metodo indiziario’ di Morelli è applicato nell’arte e anche in molte discipline differenti; ad esempio è concetto fondamentale per la pratica investigativa di riconoscimento dei prodotti contraffatti, di cui mi sono occupato per la metà della mia vita professionale.

Nella sua qualità di medico lei non ignorerà, Watson, che non esiste parte del corpo umano che offra varianti maggiori di un orecchio. Ciascun orecchio ha caratteristiche sue proprie e differisce da tutti gli altri…

Immagini perciò la mia sorpresa allorché, posando lo sguardo sulla signorina Cushing, notai che il suo orecchio corrispondeva in maniera esatta all’orecchio femminile che avevo testè esaminato. Non era possibile pensare a una coincidenza.

Nei due esisteva il medesimo raccorciamento della pinna, la stessa ampia curva del lobo superiore, la medesima circonvoluzione della cartilagine interna. In tutti i punti essenziali si trattava del medesimo orecchio. Naturalmente mi avvidi subito dell’enorme importanza di una tale osservazione.

Era evidente che la vittima doveva essere una consanguinea, probabilmente molto stretta, della signorina.
Arthur Conan Doyle – Sherlock Holmes – L’avventura della scatola di cartone

Qui, ad esempio, è possibile fare anche un parallelo con i piccoli gesti involontari studiati da Freud, giacché sosteneva che anche

la psicoanalisi è avvezza a penetrare cose segrete e nascoste nell’inconscio in base a elementi poco apprezzati o inavvertiti

e affermava, quindi, o riaffermava nel suo campo, un metodo interpretativo imperniato sugli scarti, sui dati marginali, considerati come rivelatori e inaccessibili ad una semplice osservazione.

Nel corso di un’investigazione, dunque, i segni acquistano un significato importantissimo e, seppur possono essere ingannevoli o di difficile lettura, sono le chiavi semantiche che perlopiù permettono di avvicinarsi alla verità.

E questo è possibile solo formulando congetture – dal verbo conīcere, ossia – interpretare, dedurre, concludere – un’affermazione fondata sull’intuizione, noesis, ritenuta probabilmente vera, ma non ancora rigorosamente dimostrata, cioè dunque relegata solo a rango di ipotesi.

Gli indizi comunicano sempre un messaggio e decifrarli è il compito dell’investigatore, che si differenzia nelle varie illimitate discipline, secondo che si trattino di segni pittorici, sintomi, ecc.; o di simboli inaccessibili ad occhi profani.

O, nel caso della nostra rubrica, chi vuole rientrare nelle attività della Loggia Culinaria.

Deviandomi su un aneddoto personale, già immaginavo che il mio lavoro potesse essere accostato a quello di un artigiano, ma circa venticinque fa il mio primo maestro, investigativamente parlando, al mio congedo dalla sua organizzazione, mi disse che ero diventato troppo artistico per lui. Non mi dette spiegazioni. Eccezionalmente non gliene chiesi, anche se non comprendevo.

Molti anni dopo, ammetto, ho potuto realizzare che alcuni dei miei lavori avevano preso la forma di una sorta di opera artistica, per unicità e irripetibilità, che ha lasciato una qualche traccia indelebilmente.

Ma benché l’estro non possa mai prescindere lo studio e lo studio non sia mai a completamento di tutto il necessario, in questo argomento esiste un ossimoro che riguarda il ‘rigore elastico’: il processo logico, logos, e razionale contrapposto all’aspetto istintivo e direi addirittura Artistico alle volte.

In un famoso film italiano, per altre finalità, si sintetizzava:

Che cos’è il genio? È fantasia, intuizione, decisione e velocità di esecuzione.

In gioco da un lato preesistono elementi innati, indefinibili, come il fiuto, il colpo d’occhio e la visione d’insieme, l’ispirazione, oltre, naturalmente, al presentimento e all’empatia, poi lo spirito d’osservazione, la curiosità, la sensibilità, la tenacia, la pazienza e la perseveranza, che sono alla base delle proprie caratteristiche individuali.

Dall’altro la capacità di attenzione, di concentrazione, di memoria, d’immedesimazione, l’abilità analitica, di calcolo, di pianificazione, e la diligente e meticolosa precisione, ‘ordine e perfino l’immaginazione sono solo alcune delle abilità che un buon investigatore impara con l’esperienza e assimila con il duro allenamento.

Uno dei risultati della somma dei due insiemi è la possibilità di elaborare concatenazioni mentali molto diverse dall’ordinario, per vagliare supposizioni razionali, senza dare mai nulla per scontato, il che permette di non innamorarsi delle idee, evitando i ragionamenti immediati o stereotipati, in modo da non rigirare e modellare i fatti per adattarli alle proprie ipotesi, persuasi delle proprie convinzioni e succubi di processi psicologici imitativi in una realtà pre-concettualizzata.

In questo modo si è perciò più inclini ad evitare il vizio dell’abitudine meccanica e della schematizzazione assiomatica o, quantomeno, di riconoscerlo più agevolmente.

E ne deriva un particolare grado di critica e soprattutto di autocritica, specializzata a riconoscere l’errore, che, distillando, cerca di separare il puro dall’impuro, come nella Spagirica di Paracelso; concetto che ha di per sé la conseguenzialità dell’automiglioramento.

Quindi l’errore è necessario, come necessario è l’incessante rectificando iniziatico.

Per questo nel precedente articolo, descrivendo la nascita dell’idea di ciò che qui sta prendendo la forma di Rubrica, accennavo al fatto che l’analisi sarebbe stata severa, disinteressata, genuina e onesta.

In questo discorso però si incunea una grande conseguenzialità: l’Errore e la Tolleranza.

Ma ve lo spiego nel prossimo articolo.

Il percorso dove ci porterà?

Stay tuned! Restate sintonizzati e direi anche sincronizzati!

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Autore Investigatore Culinario

Investigatore Culinario. Ingegnere dedito da trent'anni alle investigazioni private e all’intelligence, da sempre amante della lettura, che si diletta talvolta a scrivere. Attratto dall'esoterismo e dai significati nascosti, ha una spiccata passione anche per la cucina e, nel corso di molti anni, ha fatto una profonda ricerca per rintracciare qualità nelle materie prime e nei prodotti, andando a scoprire anche persone e luoghi laddove potesse essere riscontrata quella genuina passione e poter degustare bontà e ingegni culinari.