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‘La riunificazione delle due Coree’ torna al Nouveau Théâtre de Poche

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'La riunificazione delle due Coree'


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In scena dal 26 al 28 aprile nella suggestiva sala teatrale partenopea

Dal 26 al 28 aprile, ore 21:00, al Nouveau Théâtre de Poche di Napoli, direzione artistica di Massimo De Matteo, Sergio Di Paola e Peppe Miale, andrà in scena lo spettacolo ‘La riunificazione delle due Coree’ di Joël Pommerat, adattamento e regia Lorena Leone.

Con gli allievi dell’e-laboratorio accademico: Daniele Arfè, Marianna Bentivoglio, Giovanni Bianco, Serena Caffi, Cristina Calandro, Viola Capponcelli, Giuseppe D’Alessandro, Francesca Rosa De Francesco, Stanislao Di Lorenzao, Asia Del Regno, Michela Esposito, Piera Giannattasio, Manuela Grimeri De Ioanni, Angela Guerriero, Carolina Infante, Innocenzo Mulieri, Alessandra Napoletano, Simone Santagata, Vincenzo Somma, Alessio Tito.

Costumi Fabiana Amato, elementi di scena Mariateresa D’Alessio, musiche Mariano Bellpede, disegno luci Enrico Giordano, assistenti alla regia Federica Cinque, Irene Latronico, Niamh McCann.

Note di regia

Siamo uno. Un unico essere androgino che si rivela tanto inadeguato quanto potente. Perciò gli dei decidono di separarlo e farne due. Questo il mito alla base del dell’amore nella nostra civiltà di cui si racconta nel Simposio di Platone.

È in quel meraviglioso dialogo che riconosciamo il testo che più di altri ha plasmato il concetto di amore nella società occidentale. Durante il celebre banchetto si discorre della natura controversa e della nascita di Eros.

Pare che il dio/demone (Amore ha in sé la perfezione del divino ma anche tutta la fragilità dell’umano e la forza del demoniaco) sia stato concepito durante il banchetto allestito per la nascita di Afrodite dove era presente anche Poros, dio dell’ingegno, e dove giunse anche Penìa per mendicare.

Fu proprio quando la povertà e il bisogno si distesero al fianco dell’espediente che nacque l’amore. Eros, dunque, anzitutto

“… È sempre povero, e ben lungi dall’essere morbido e bello, come crede il volgo; piuttosto è ruvido e irsuto e scalzo e senza asilo, si sdraia sempre per terra, senza coperte, dorme a cielo scoperto davanti alle porte e sulle strade, e possiede la natura della madre (Penìa), sempre dimorando assieme all’indigenza. Secondo la natura del padre (Poros), d’altro canto, ordisce complotti contro le cose belle e le cose buone: invero, è coraggioso e si getta a precipizio ed è veemente, è un mirabile cacciatore, intreccia sempre delle astuzie, è desideroso di saggezza ed insieme ricco di risorse, passa tutta la vita ad amore la sapienza, è un terribile mago, e stregone, e sofista”.

Queste le parole che la sacerdotessa Diotìma riporta interrogata da Socrate.

Amore, dunque, non è mai né sprovvisto né ricco, sta a metà tra la sapienza e l’ignoranza ed è nella natura della sua stessa nascita questa ambiguità.

È proprio il carattere ambiguo del testo messo in scena ad aver suscitato più di tutti il mio interesse. In ogni storia, storie di amore, di vita, di tempo, è sempre difficile stabilire da che parte stare, così come è estremamente complicato barcamenarsi tra le mille ragioni dell’amore che “… non ha il bello né il buono…” eppure lo cerca e, qualche volta, lo trova.
Ed è in questa continua ricerca di ciò che un tempo, forse, gli è appartenuto che vive l’essenza dell’amore.

Gli uomini si dimenano in questo incessante cercare ciò che hanno perduto, spinti da quella mancanza che sentono per natura, semmai questa espressione possa avere un senso, si agitano e si ostinano per recuperare la metà perduta che altro non è che la felicità. Come a dire che il bisogno d’amore è un po’ il bisogno di completare se stessi.

Manca sempre qualcosa a questo amore ed è questo “mancare” il fil rouge che mette in relazione le diverse storie messe in scena.
Noi, militanti del teatro, come tutti, abbiamo perduto qualcosa ma non abbiamo perduto il senso di questa ricerca.

L’amore è in tante cose, il teatro è uno dei pochi baluardi rimasti a simboleggiare il senso della ricerca e della condivisione, in un mondo in cui lo stare insieme, non necessariamente inteso come relazione di coppia, è avvertito più come sacrificio che come risorsa; dell’amore si ravvisano la paura e la fatica piuttosto che lo slancio vitale.

Manca un po’ di coraggio, non solo per realizzare l’amore ma anche, forse, per guardare dentro se stessi.
Lorena Leone

Per info, costi e prenotazioni:
081-5490928 – 331-2332302
theatre.depoche@libero.it

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