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Educazione al digitale: necessità per scuole, dovere per famiglie

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La cronaca riporta, a ritmo ormai quotidiano, notizie allarmanti che vedono al loro centro i minori e l’uso della rete e degli smartphone.

Non si tratta solo di cyberbullismo, stalking e violenza online in tutte le sue possibili forme ad iniziare dalla sextortion e altre forme di ricatto.

Ma questa è, forse, la punta più evidente e drammatica di un iceberg che comprende anche una serie di comportamenti che vogliamo insistere a chiamare normali che, nella realtà, tali non erano ma lo sono diventati in pochissimo tempo.

È dai primi anni duemila che il cellulare è diventato un oggetto per tutti e non uno strumento solo di lavoro. Gli smartphone si sono diffusi dal 2007, stesso anno di nascita di Facebook e, più o meno in quel periodo è ufficialmente entrato nei vocabolari il verbo googlare che rappresenta lo spartiacque dall’epoca in cui i primi telefonini, con poche funzioni, vennero sostituiti con nuovi device che permettono di fare praticamente tutto e hanno cambiato il nostro stile di vita.

In questi anni si sono sviluppate patologie sempre più diffuse che prima non esistevano e che spaziano dalla dipendenza da Internet alle fobie da disconnessione; dai disturbi del sonno fino ad ansia e depressione che si manifestano quando i ragazzi sono coinvolti in interazioni sociali negative.

Aggiungiamo seri problemi posturali, disturbi alimentari e alla vista e difficoltà di relazionarsi con gli altri.

La dismorfia da Snapchat è una patologia che fa parte dei disturbi ossessivi compulsivi e porta a una costante preoccupazione nei confronti di se stessi o di una parte del proprio corpo ritenuta imperfetta con conseguente richiesta di interventi di chirurgia plastica per assomigliare alla propria foto che ha ricevuto più like in rete.

Dall’inizio del ventesimo secolo in quoziente intellettivo dell’essere umano era aumentato in ogni nazione del mondo indipendentemente da razza, studi e componenti sociali, è il cosiddetto effetto Flynn; negli ultimi venti anni abbiamo assistito al fenomeno opposto, Effetto Flynn inverso, il QI dei giovani si è abbassato in ogni parte del mondo e gli psichiatri parlano di giovani generazioni afflitte da Demenza Digitale.

Non neghiamolo: siamo cambiati e la tecnologia digitale è la protagonista di questo mutamento.

Se prima esisteva il discorso diretto vis-à-vis; oggi in quasi tutte le famiglie esiste un gruppo WhatsApp utilizzato per qualsiasi tipo di comunicazione.

In passato si mandavano dalle vacanze cartoline illustrate scelte appositamente per il destinatario di cui dovevamo avere memorizzato, scrivendolo, l’indirizzo, mentre oggi bastano pochi click per condividere un selfie impersonali.

Diminuisce il numero dei libri letti a favore delle serie online e i social, come disse Umberto Eco, hanno dato diritto di parola a legioni di imbecilli, ma anche l’illusione a schiere di altrettanti imbecilli di poter credere a tutto ciò che trovano online: dalla terra piatta alla cura del cancro con caffè e limonata.

Potremmo fare decine di esempi, ma non è intenzione fare della retorica specialmente sulla strada senza ritorno verso un futuro sempre più digitale.

Eravamo pronti? Ma forse neppure questa è una domanda corretta; dobbiamo solo limitarci a prendere atto della situazione creatasi e affrontarla.

Le generazioni successive a quella dei Boomer, 1946 – 1964, sono cresciute con la tecnologia in mano fin dalla più tenera età e abbiamo già tre generazioni di cosiddetti nativi digitali: la Y o Millennials, 1981 – 1996, che ha assistito all’avvento di Internet e dei social media; la Z, 1997 – 2012, che ha una connessione nativa con la tecnologia digitale e la Generazione Alpha, dal 2013 in poi, che cresce con la tecnologia digitale già integrata nella società.

A queste generazioni figlie della rivoluzione digitale non è possibile togliere smartphone e connessione, ma è un dovere educarle all’uso di quella che è una vera e propria arma messa loro in mano senza un esame per ottenere la licenza e senza istruzioni per l’uso.

Da tempo si sente parlare della reintroduzione nelle scuole dell’educazione civica e dell’educazione ai sentimenti. L’educazione al digitale non è meno importante perché, oltre ad essere parte delle prime due, diviene elemento fondamentale per la preparazione al futuro mondo del lavoro.

Negli Stati Uniti alcune scuole hanno fatto causa ai giganti dei Social accusandoli di essere responsabili dei danni alla salute mentale di milioni di ragazzi mediante l’utilizzo di algoritmi e strumenti che creano dipendenza, un altro aspetto da considerare prima di mettere in mano un cellulare ad un figlio con poco o nessun controllo.

Nei programmi scolastici futuri i corsi di informatica non potranno prescindere dall’educazione al digitale ma, ancora una volta, è la famiglia la prima ad essere chiamata ad aiutare i propri figli ad un utilizzo responsabile dell’arma rappresentata dallo smartphone.

Autore Gianni Dell'Aiuto

Gianni Dell'Aiuto (Volterra, 1965), avvocato, giurista d'impresa specializzato nelle problematiche della rete. Di origine toscana, vive e lavora prevalentemente a Roma. Ha da sempre affiancato alla professione forense una proficua attività letteraria e di divulgazione. Ha dedicato due libri all'Homo Googlis, definizione da lui stesso creata, il protagonista della rivoluzione digitale, l'uomo con lo smartphone in mano.