Titolo: Stoner
Autore: John E. Williams
Editore: Fazi Editore
Collana: Le strade
Prezzo: € 17,50
John Edward Williams (1922-1994), nato in Texas da una famiglia di contadini, partecipò alla seconda guerra mondiale in India e Birmania. Al suo rientro si trasferì a Denver, in Colorado, dove rimase tutta la vita insegnando all’Università.
Oltre a “Stoner” è autore di tre romanzi: “Nulla, solo la notte” (1948), “Butcher’s Crossing” (1960) e “Augustus” (Castelvecchi, 2010), vincitore del National Book Award.
“Stoner” è un romanzo che mi ha incuriosito per le molte recensioni lette, tante delle quali entusiastiche. Spesso è stato definito come “un libro stupendo ma non so dire il perché”.
Era un testo che volevo leggere da tempo, ma non avevo ancora comprato. Mi è arrivato tra le mani in modo del tutto casuale; l’ha acquistato mia figlia, al buio, grazie ad uno di quei pacchetti che molte librerie stanno incominciando a fare che permette di scegliere un’opera solo da una frase.
Sebbene non sia stato un volume che ho cercato, di certo è uno di quei pochi libri che, una volta letti, ti rimangono dentro.
“Stoner”, scritto nel 1965, va ben presto fuori catalogo perché vende 2000 copie. Viene riportato allo splendore solo nel 2013 grazie ad una nuova edizione europea e, soprattutto grazie passaparola tra lettori, diventa un bestseller.
Chi è Stoner e soprattutto perché lascia traccia in chiunque lo legga?
È tutto qui Stoner, come riportato nella descrizione dell’autore all’inizio del libro?
William Stoner si iscrisse all’Università del Missouri nel 1910, all’età di diciannove anni. Otto anni dopo, al culmine della prima guerra mondiale, gli fu conferito il dottorato in Filosofia e ottenne un incarico presso la stessa università, dove restò a insegnare fino alla sua morte, nel 1956. Non superò mai il grado di ricercatore, e pochi studenti, dopo aver frequentato i suoi corsi, serbarono di lui un ricordo nitido. Quando morì, i colleghi donarono alla biblioteca dell’università un manoscritto medievale, in segno di ricordo.
Il manoscritto si trova ancora oggi nella sezione dei “Libri rari”, con la dedica: «Donato alla Biblioteca dell’Università del Missouri in memoria di William Stoner, dipartimento di Inglese.
I suoi colleghi».Può capitare che qualche studente, imbattendosi nel suo nome, si chieda indolente chi fosse, ma di rado la curiosità si spinge oltre la semplice domanda occasionale.
I colleghi di Stoner, che da vivo non l’avevano mai stimato gran che, oggi ne parlano raramente; per i più vecchi il suo nome è il monito della fine che li attende tutti, per i più giovani è soltanto un suono, che non evoca alcun passato o identità particolare cui associare loro stessi o le loro carriere.
Ma Stoner è tanto altro, è un uomo comune, con una grande passione, la letteratura.
È un uomo sempre coerente a se stesso, resiliente alle piccole e grandi sventure della vita. Vive tra due guerre, ma rimane ancorato a se stesso. Non si arruola solo per il dovere di servire la Patria. Piuttosto, preferisce restare nella sua università per quarant’anni, prima come studente e poi come insegnante di letteratura medievale.
Sposa Edith ma dopo un solo mese di matrimonio si rende conto del grave errore commesso.
La moglie, che stranamente gli remerà contro per tutta la vita, non gli permetterà di essere sereno in casa propria, e cosa ancora più grave, non gli consentirà di avere un rapporto con sua figlia Grace. Lui si isolerà trascorrendo più tempo nel suo studio nell’ateneo.
A 45 anni si innamorerà di Katherine, ma anche in questo caso si arrenderà alla vita. Quando Lomax, un collega che inspiegabilmente lo odia, minaccia lo scandalo, lui rinuncia anche al grande amore. La grande intesa con la donna è di cuore, ma soprattutto di intelletto. Il suo unico punto fermo restano così i suoi libri e la sua amata letteratura.
Stoner è un uomo che non reagisce alle cattiverie, ne è quasi superiore. Si lascia scivolare addosso le meschinità, dà importanza alle cose vere della vita, non sgomita, non dà colpi bassi, ma vive serenamente la sua esistenza, anche circondato da quelle stesse sventure che avrebbero reso infelice e rabbioso chiunque.
Lui no, è un uomo di lettere, di pensiero libero che ha l’immensa fortuna di vivere della sua grande passione. Anche in casi estremi è sempre coerente con suo pensiero e con il suo essere.
A prima vista e per molti, può sembrare un perdente, invece non lo è affatto; è, piuttosto, una persona con una grande capacità d’amare.
Era arrivato a un’età in cui, con intensità crescente, gli si presentava sempre la stessa domanda, di una semplicità così disarmante che non aveva gli strumenti per affrontarla. Si ritrovava a chiedersi se la sua vita fosse degna di essere vissuta. Se mai lo fosse stata. Sospettava che alla stessa domanda, prima o poi, dovessero rispondere tutti gli uomini. Ma si chiedeva se, anche agli altri, essa si presentasse con la stessa forza impersonale. La domanda portava con sé una certa tristezza, ma era una tristezza diffusa che (pensava) aveva poco a che fare con lui o con il suo destino particolare. Non era neanche sicuro che essa sorgesse dalle cause più ovvie e immediate, ovvero da ciò che la sua vita era diventata. Sorgeva, secondo lui, dall’accumularsi degli anni, dalla densità dei casi e delle circostanze e dalla comprensione che era riuscito ad averne. Provava un piacere triste e ironico al pensiero che quel poco di conoscenza che si era conquistato l’avesse condotto a tale consapevolezza e che alla lunga tutte le cose – perfino ciò che aveva imparato e che gli consentiva quelle riflessioni – erano futili e vuote, e svanivano in un nulla che non riuscivano ad alterare.
La scrittura è poetica, pacata, sensibile, perfetta e ti accompagna nella vita di Stoner con mano leggerissima, quasi in punta di piedi. Ti immergi nella lettura e non riesci a staccartene. Ti fa riflettere, ti fa scoprire tratti di una vita comune. Arriva dritto al cuore del lettore forse proprio perché in alcuni tratti del protagonista ci possiamo tranquillamente riflettere noi tutti. Stoner si pone le domande su cui, prima o poi, ognuno di noi si interroga di fronte alle piccole e grandi miserie della vita.
Quand’era giovanissimo, Stoner pensava che l’amore fosse uno stato assoluto dell’essere a cui un uomo, se fortunato, poteva avere il privilegio di accedere. Durante la maturità, l’aveva invece liquidato come il paradiso di una falsa religione, da contemplare con scettica ironia, soave e navigato disprezzo, e vergognosa nostalgia. Arrivato alla mezza età, cominciava a capire che non era né un’illusione né uno stato di grazia: lo vedeva come una parte del divenire umano, una condizione inventata e modificata momento per momento, e giorno dopo giorno, dalla volontà, dall’intelligenza e dal cuore.
Man mano che procedi nella lettura, ti accorgi che il racconto terminerà con la morte del protagonista e vi trovi la dignità come primo obbligo di ogni essere umano.
La poesia delle pagine finali ti lascia dentro una commozione profonda e ti rendi conto di aver letto gli ultimi passi di un gran libro.
La vita di Stoner è la vita dell’umanità stessa. È l’essere umano scandagliato nel profondo, nelle cose che realmente contano. Molti lo hanno definito il romanzo perfetto ed io concordo pienamente. “Stoner” è un libro delicato e sommesso, ma riesce a lasciare una profondissima traccia nel cuore del lettore.
La trama
William Stoner ha una vita che sembra essere assai piatta e desolata. Non si allontana mai per più di centocinquanta chilometri da Booneville, il piccolo paese rurale in cui è nato, mantiene lo stesso lavoro per tutta la vita, per quasi quarant’anni è infelicemente sposato alla stessa donna, ha sporadici contatti con l’amata figlia e per i suoi genitori è un estraneo, per sua ammissione ha soltanto due amici, uno dei quali morto in gioventù. Non sembra materia troppo promettente per un romanzo e tuttavia, in qualche modo, quasi miracoloso, John Williams fa della vita di William Stoner una storia appassionante, profonda e straziante. Come riesce l’autore in questo miracolo letterario? A oggi ho letto Stoner tre volte e non sono del tutto certo di averne colto il segreto, ma alcuni aspetti del libro mi sono apparsi chiari. E la verità è che si possono scrivere dei pessimi romanzi su delle vite emozionanti e che la vita più silenziosa, se esaminata con affetto, compassione e grande cura, può fruttare una straordinaria messe letteraria. È il caso che abbiamo davanti.
Dalla postfazione di Peter Cameron