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Il matrimonio al Sud

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Matrimonio Elena e Salvatore Bafurno
Matrimonio Elena e Salvatore Bafurno


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Al Sud lo sposalizio non coinvolge solo la coppia ma tutta la comunità

Essere sulla lista degli invitati ad un matrimonio è sempre una tragedia.

Devi ‘scervellarti’, in mancanza di una lista di nozze, su cosa regalare ai piccioncini, salvo poi optare per la classica busta. Ma anche questa scelta pone un dubbio amletico: la somma inserita sarà sufficiente?

O sarò additato come scroccone, visto che la cifra copre a malapena la mia ‘quota’ per il banchetto nunziale? Meglio aggiungere, a prescindere, un’ulteriore banconota da cinquanta euro.

Poi il fatidico giorno.

Non voglio spendere una fortuna per un abito nuovo e ripiego su uno riciclato da una precedente cerimonia che, però, si era celebrata tre anni addietro, in una piovosa e fredda giornata di novembre, mentre questo si festeggia a luglio e… oltre ai sette chili in più di mio, devo combattere con il caldo afoso, che mi fa sudare come un maratoneta.

Pazienza, in fondo, risparmiando sul vestito, ho potuto fare ‘bella figura’ con la busta.

Prima tappa in chiesa, ad assistere alla cerimonia religiosa, che doveva iniziare alle undici ma, secondo la tradizione, la sposa non può essere puntuale, mentre gli invitati boccheggiano seduti sugli scanni del Tempio.

Poi, con un ritardo di soli trenta minuti, manco fosse arrivata in treno, giunge lei, l’indiscussa protagonista.

Il primo ad essere sollevato è il futuro marito, almeno non è stato piantato sull’altare come già le comari vociferavano tra i banchi.

All’ingresso della dama vestita di bianco, tutti si alzano in piedi e, mentre la ragazza visibilmente emozionata, scortata dal padre, percorre i trenta metri della navata che la separano dal futuro consorte, parte l’immancabile Ave Maria.

Ecco lo scambio degli anelli e delle promesse e, infine, il lancio del riso fuori la chiesa.

Seconda tappa, il ristorante dove ci attende una prova erculea, riuscire a ingurgitare le numerose portate che metteranno a dura prova azotemia e  glicemia, mentre il colesterolo vorrebbe chiedere asilo politico in un altro corpo.

Il tutto accompagnato dalle interminabili pause tra una portata e l’altra e, se non fumi, non hai l’attenuante per alzarti e prendere aria, ma tu vuoi prendere comunque una boccata di ossigeno, quindi ti alzi, chiedi scusa e ti allontani, inducendo i commensali a credere che la tua prostata potrebbe avere qualche problema.

A fine pranzo poi, chiedi, il caffè senza zucchero, non perché hai paura di ingrassare, visto quello che hai immesso nello stomaco, solo che berlo senza zucchero ti rende ‘fico’.

Arrivi a casa dopo mezzanotte, quando va bene, e, dopo una giornata faticosa, non vedi l’ora di tuffarti nel tuo lettino per un meritato sonno ristoratore.

Tutto inutile, oggi Morfeo è in sciopero, dunque trascorri la notte in bianco, anche perché credi che un elefante africano sia seduto sul tuo pancino e non è valso a nulla contare le pecore di tutte le greggi dell’Abruzzo.

Al mattino seguente, telefoni in ufficio e marchi visita per una settimana, in fondo devi anche visionare tutti gli stati e le foto dei tuoi amici di Facebook presenti al matrimonio.

E gli sposi?

Quelli dovrebbero avere ‘il cuore nello zucchero’, visto che si apprestano a vivere, dopo aver trascorso la prima notte da sposati, la luna di miele.

Questa dovrebbe essere la cronaca di un matrimonio moderno, soprattutto al Sud, a meno che non si abbia la disgrazia di vivere in un paesino dove perdurano ancora certi riti ancestrali.

Infatti, in alcuni di essi vige ancora l’usanza di trascorrere la prima notte nella ‘nuova casa’, con il letto preparato dalle suocere, dopo che, ovviamente, la madre di lui ha visionato il corredo della ragazza e si è accertata che gli asciugamani per il bidet siano dello stesso colore del telo per la doccia e il servizio di piatti buono abbia delle decorazioni floreali e ci siano 7 paia di coordinato per lenzuola.

La prima notte di nozze, allora, era un vero e proprio trauma. La moglie doveva dimostrare la sua verginità e il marito la sua virilità, tanto che venivano posti dei campanelli sotto al letto legati con un filo, in modo che il suono provocato dal movimento del letto durante l’amplesso fosse udito fin giù in strada…

E al mattino?

Le lenzuola immacolate venivano mostrate ai concittadini, con una macchia rossa. Tale usanza è descritta in modo magistrale da Domenico Rea nel romanzo ‘Ninfa Plebea’, quando lo sposo sgozza due galli, per avere pronto un piano B in mancanza di un piano A.

Ah, comunque… fra pochi mesi mi sposo… o almeno credo…

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Autore Mimmo Bafurno

Mimmo Bafurno, esperto di comunicazione e scrittore, ha collaborato con le maggiori case editrici. Ha pubblicato il volume "Datemi la Parola, Sono un Terrone". Attualmente collabora con terronitv.