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Guardate dentro il vostro abisso

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Se scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te.
Friedrich Nietzsche

Paura degli spiriti dei morti. Paura delle tenebre. Paura delle tempeste. Paura delle bestie feroci. Paura del mistero. Paura di sciagure, carestie, cataclismi, epidemie. Paura dell’ira di Dio, dell’apocalisse.

E allora dagli all’untore. E allora avanti con la caccia alle streghe.

L’uomo ha sempre avuto bisogno di individuare qualcuno da temere e punire per dominare l’angoscia ancestrale. La paura ha governato la storia umana nei secoli dei secoli. Ma che cos’è?

Siamo abituati a pensare questa emozione come a un nemico da abbattere o a un blocco da superare. Ci troviamo, invece, di fronte a una delle emozioni primarie e fondamentali degli esseri viventi, evolutivamente la più antica.

La paura ci avvisa della presenza di una minaccia e ci aiuta a reagire, spingendoci alla sopravvivenza. Anche grazie ad essa, la specie umana, che ha saputo preservarla, si è evoluta sino a qui.

Per noi essere umani è non solo naturale, ma persino sano, provarla, ed è normale che i più piccoli ne sperimentino alcune piuttosto precise correlate a una specifica età.

Oltre alla psicologia, anche letteratura, arte e saggezza popolare hanno individuato e cristallizzato questo sentimento: tali digressioni sulla sua narrazione ci aiuteranno a comprendere che questa emozione ha bisogno di uno spazio relazionale per essere ricollocata appieno nella sua dimensione.

Perché la paura è un dispositivo essenziale per sottrarsi ai pericoli e sfuggire provvisoriamente alla morte; ma, protratta all’infinito e nell’indefinito, diventa una minaccia per l’equilibrio psichico individuale e collettivo.

Come controllarla?

Frammentandola, fabbricandone di particolari; oggettivando l’angoscia. Passando da un sentimento viscerale ingovernabile a un nemico dotato di volto e nome.

Tempo addietro, i detentori del potere della civiltà europea stesero così l’inventario dei mali che Satana era capace di provocare e la lista dei suoi agenti: musulmani, ebrei, eretici, donne, e soprattutto streghe, maghi, uomini neri.

Fu tranquillizzante pensare la peste come un flagello mandato da Dio per punire l’umanità peccatrice. Fu la soluzione al trauma collettivo. Era un’altra epoca, un altro mondo. Sbagliereste di grosso se vi metteste comodamente a pensare che si tratta di qualcosa di irripetibile.

Tutto torna quando l’ombra della paura invade la nostra anima e copre la nostra razionalità.

Il ‘daje’ al nemico di turno per individuare il colpevole è l’arma per dare in pasto a qualcuno il male ed evitare di essere attaccati o confusi come l’origine del dolore, o, quanto meno, chi che non ha saputo difendere. Ma questo è un altro discorso, un tema che approfondiremo in un altro articolo. Torniamo sulla nostra strada.

Temuta e malfamata, la paura in realtà è necessaria alla sopravvivenza, perché induce le risposte adattative di allarme di fronte all’incombere di un pericolo. Dissestanti per l’equilibrio della psiche sono piuttosto le ansie croniche, o i pericoli immaginari, che alimentano condotte fobiche, oppure gli esiti estremi come il panico, tanto più drammatici in quanto generati in condizioni di solitudine emotiva.

Se socializzate, le paure appaiono infatti meno incontrollabili. Solo così i fattori di protezione, affettivi e rituali, possono continuare con esse il dialogo iniziato con la storia dell’uomo.

Si tratta di un sentimento spiacevole, una passione che fa parte integrante dell’essere dell’uomo e degli animali con una sua specifica funzione biologica.

Ma è anche un momento strategico all’interno del cosiddetto capitalismo. Da un lato quest’ultimo non farebbe che enunciare l’esigenza della sicurezza, del benessere e di una tranquillità anestetica che rasenta l’accidia e l’indolenza.

Dall’altro sembrerebbe alimentare la stessa paura, diffondendola ovunque e, anzi, alimentandola: catastrofi, immigrazione, violenza, obesità, dipendenza da droghe, ricerca del pericolo. Tutto deve far paura e la paura deve essere controllata e addomesticata.

Ci troviamo in una condizione in cui non c’è più la paura tout court, bensì una paura della paura che funziona da un lato come meccanismo relativistico di produzione di continue forme di protezione e di difesa, dall’altro come meccanismo di disinnesco di questi medesimi dispositivi.

La condizione post-postmoderna è dunque caratterizzata da un rischio: essa non costituisce letteralmente un post, ma è già presente nella contemporaneità in certe forme fideistiche di pensiero forte come il neorealismo, lo scientismo, il tecnicismo.

Le nostre vite sono talmente protette che possiamo permetterci di focalizzare l’attenzione su pericoli soltanto potenziali, che nella vita non si realizzeranno mai.

La paura è un sottoprodotto del benessere e ha un potere tale che può addirittura ‘affascinare’: è questa la tesi sostenuta dall’autore nella sua battaglia contro quella che considera una delle principali limitazioni di libertà dell’uomo moderno.

Insieme con la compassione fu indicata da Aristotele come l’emozione intrinseca e dominante della tragedia, che drammatizza in scena la duplice faccia di un’emozione intelligente e stolta, il nesso inestricabile e metamorfico di paura e potere, la dimensione fittizia della paura inducibile dalle parole più che dalle cose e dai fatti, manipolabile dai retori per conquistare consenso.

Sulle tensioni tra paura e potere Platone definirà le sue figure di tiranni; sulla paura previdente e su quella irresponsabile si concentrerà nelle sue opere Aristotele.

È l’emozione che più di altre sta segnando in profondità questi giorni: ci toglie il respiro, ci costringe sulla difensiva e al contempo ci rende istintivamente più aggressivi.

Ma avere paura non è sempre un’esperienza totalmente negativa, e nelle situazioni estreme sa far emergere con più chiarezza la verità su noi stessi: è solo infatti quando realizziamo di essere incatenati che possiamo intraprendere il percorso verso l’autentica libertà.

Il contatto con il pericolo può farci comprendere chi siamo: una mente impaurita, senza dubbio, ma in potenza anche un cuore che supera il timore, ed è capace di conoscere e poi sconfiggere con il coraggio i pericoli della realtà.

Noi siamo paura, ma possiamo diventare coraggio e riuscire così a essere migliori. Possiamo affermare che l’esperienza della paura è costitutiva della condizione umana, e nessuno ne è mai stato esente: non Cristo, che sulla croce grida il suo ‘Eli Eli lema sabachthani?’: ‘Padre Padre, perché mi hai abbandonato?’; non Buddha Sakhyamuni, che prima di imboccare la via dell’ascesi si imbatte, sgomento, nelle figure della vecchiaia, della malattia, della morte.

Nessuno ha calcato il suolo di questo pianeta senza avere provato, in misura maggiore o minore, la vampa dell’ansia o l’angoscia dell’incubo notturno, il morso del panico, l’irrequieto aggirarsi del pensiero nelle lande livide del timore di ammalarsi o di morire, o del lutto per il trapasso di una persona preziosa, o per la fine di un grande amore.

Serve, però, dapprima guardarsi nell’abisso che ci abita dentro. In quelle tenebre che ci divorano c’è ancora spazio per la luce e per il futuro.

Solo finché c’è il gusto dell’abisso c’è avventura umana.
Guido Ceronetti 

 

Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.