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Lavoratori indispensabili, ultimi nella gerarchia, e la vita a rischio

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Troppe volte con la vita in pericolo

Salvatore, nome di fantasia per una storia reale, 52 anni, manovale edile, lavora al cantiere. Ogni giorno sveglia alle 4 e mezza, esce di casa alle 5:30.

Un’ora di viaggio per raggiungere il posto di lavoro, cambiarsi e iniziare alle 7 del mattino, puntuale, a fare qualsiasi cosa gli venga chiesta. Lui non è specializzato, non sa posare i mattoni, piegare il ferro per il cemento armato, rivestire di piastrelle le pareti e i pavimenti.

Ma con la pala è imbattibile a caricare macerie dalle aree irraggiungibili con i mezzi meccanici, per distribuire ai piani il materiale che gli operai specializzati useranno per costruire, o per tutti quei lavori che gli vengono richiesti quando occorre.

Quel giorno Salvatore sale sul ponteggio auto-sollevante, si porta al 10° piano, sottotetto, e inizia a posare le curve di raccordo ai pluviali che scaricheranno l’acqua piovana alla rete di raccolta del piano terra.
Una giornata di lavoro interamente trascorsa al freddo reso ancora più forte dalla brezza invernale. Ma lui è forte ed è abituato a questo.

Inizia all’età di 12 anni a fare il manovale nel suo remoto paese del profondo sud, fino a quando, per non morire di fame, viene al nord, povero ‘terrone’, come molti altri immigrati.

Arriva da solo, dorme nella baracca al cantiere. La famiglia lo raggiunge dopo più di due anni, quando qualcuno gli affitta un monolocale, una stamberga di 5 metri per 7, con le pareti scrostate, le crepe dove alloggiano ragni e insetti che paiono riprodursi senza fine, perché neppure il DDT li annienta, ce ne sono sempre di nuovi.

Del resto, ‘Non si affittano alloggi ai meridionali’, dicono i cartelli appesi ai portoni dei numeri civici delle case più accoglienti. Lui, con il suo salario, riesce a malapena a dare da mangiare alla famiglia, moglie e 6 figli ai quali vuole dare un futuro migliore, mentre molte volte la sua cena è più immaginazione che realtà.

Le ha posate tutte in un turno, le curve dei pluviali e il giorno dopo il nuovo incarico: raschiatura delle colature di cemento che macchiano la facciata del palazzo. Sale ancora al decimo piano con il ponteggio, il lavoro inizia dall’alto e poi giù, di piano in piano sino al terzo.

Qualcuno grida:

Salvatore è caduto!

Interviene l’assistente, il più vicino, richiamato dalle urla. Salvatore è steso a terra, la testa sanguina copiosamente, non si muove ma respira. Arriva l’ambulanza che lo porta all’ospedale più vicino.

Perché Salvatore è caduto dal ponteggio?

la domanda di tutti.

Richiamato a terra il ponteggio auto-sollevante, si vede che la barra in legno di protezione laterale è stata inchiodata anziché imbullonata e per di più dall’esterno verso l’interno.

Già dal giorno prima, Salvatore aveva lavorato a lungo in appoggio su quella barra, sollecitandone con forza la resistenza sino a quando cede e in meno di un secondo il corpo vola nel vuoto.

All’ispezione della sicurezza si rileva la non regolare posa delle barre anticaduta in tutto il ponteggio. Se fosse caduto da piani più alti, Salvatore sarebbe morto. Invece è vivo, grazie a Dio o alla fortuna, con molti punti di sutura per le plurime lacerazioni alla cute del cranio, costole rotte, un femore rotto e dolore che echeggia ovunque.

È noto che decenni or sono la sicurezza presentava maggiori punti di debolezza. Negli anni, alcuni miglioramenti ci sono stati.
Nel periodo dal 1951 al 2014 la popolazione italiana è cresciuta di circa il 28%.

Secondo i censimenti ISTAT, da 47,516 milioni del 1951 a 60,796 milioni del 2014:

ISTAT
fonte ISTAT: https://seriestoriche.istat.it/index.php?id=1&no_cache=1&tx_usercento_centofe%5Bcategoria%5D=2&tx_usercento_centofe%5Baction%5D=show&tx_usercento_centofe%5Bcontroller%5D=Categoria&cHash=5dc94093f50e10c9e55a034d4c6ba123

e gli infortuni denunciati all’INAIL negli anni corrispondenti a quelli dei censimenti, sono diminuiti:

INAIL
fonte INAIL:
https://www.inail.it/cs/internet/attivita/dati-e-statistiche/statistiche-storiche/casi-denunciati.html

Vero che all’aumento della popolazione corrisponde un decremento rilevante del numero di infortuni, con la riduzione del 24% circa del numero di casi e del 67% di quelli mortali.

Tuttavia, rimangono numeri molto importanti quelli delle vite umane perdute in un giorno, seppure dal massimo raggiunto nel 1961 con 18 morti al giorno, si è scesi a meno di 3 nel 2022.

Le statistiche rilevano miglioramenti importanti, ma fosse anche una sola persona all’anno quella che rimane gravemente ferita, mutilata o, peggio ancora muore, trattandosi di una vita, la gravità del fatto non cambia.

Sono 698 mila circa i ‘Salvatore’ del 2023, che escono di casa un mattino e, dopo avere fatto le cose di sempre, vanno al lavoro come ogni giorno, con le famiglie che non li vedono più tornare la sera perché in ospedale gravemente ferite o, ancor peggio, le raggiungono quando sono ormai distese mentre la loro anima compie l’ultimo viaggio.

Nessuno deve perdere la vita sul lavoro. In un paese progredito non c’è spazio per trascurare la tutela delle vite di chi lavora, un giorno dopo l’altro, fiducioso del diritto di vivere.

Il personale operativo è posizionato all’ultimo livello della gerarchia organizzativa. Non prende parte ai processi decisionali e alle strategie di impresa. Non è il suo ruolo. Non ha ricevuto la giusta formazione per accedere ai livelli superiori e, forse, non ne ha la capacità.

Ma senza non esiterebbe nulla. Perché chi costruisce case, ponti, strade, autostrade e ferrovie?

Chi carica le merci sui camion, chi scarica la frutta e la verdura ai mercati generali la notte, affinché sia distribuita ai venditori che alle 6 di ogni mattina hanno i banchi ripieni ai mercatini rionali?

Chi posa i cavi delle fibre ottiche e manutiene le reti di distribuzione energetiche sotto terra?

E molto altro ancora… di cui tutti non possiamo fare a meno, ma neppure ci accorgiamo che dietro a ogni cosa che usiamo e consumiamo c’è il lavoro di almeno un uomo che ha diritto di vivere e non di morire.

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Autore Adriano Cerardi

Adriano Cerardi, esperto di sistemi informatici, consultant manager e program manager. Esperto di analisi di processo e analisi delle performance per la misurazione e controllo del feedback per l’ottimizzazione del Customer Service e della qualità del servizio. Ha ricoperto incarichi presso primarie multinazionali in vari Paesi europei e del mondo, tra cui Algeria, Sud Africa, USA, Israele. Ha seguito un percorso di formazione al Giornalismo e ha curato la pubblicazione di inchieste sulla condizione sociale e tecnologia dell'informazione.