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Dolce far niente

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Dolce far niente


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L’ozio è il principio di tutti i vizi, il coronamento di tutte le virtù.
Franz Kafka 

Arriva l’estate e finalmente una meritata pausa. L’importante è che tu sia consapevole di un fatto: prendersi dei momenti di relax è fondamentale per il nostro equilibrio. Purtroppo, un aspetto della nostra vita che viene sempre, e sottolineo sempre, sottovalutato è l’ozio.

Il cervello rifugge questa parola, la nasconde, la boicotta a priori, perché in un certo momento, da qualche parte, ci hanno insegnato che l’operatività è un bene, l’inattività è un male.

Il termine ozio viene associato al concetto di pigrizia. Per gli antichi romani otium non significava ‘dolce far niente’, bensì un periodo libero dagli impegni politici e civili nel quale era possibile aprirsi alla dimensione creativa.

Filosofi e scrittori di tutti i tempi hanno difeso a spada tratta il diritto al dolce far nulla, inteso come elemento fondamentale del ritmo della vita e contrapposto al mito produttivista della società moderna.

Dobbiamo rivalutare il significato di ozio dandogli la connotazione positiva di ricerca del piacere all’interno del difficile mestiere di vivere.
Robert Louis Stevenson

In effetti, per molti il lavoro è diventato una condanna, dentro un sistema che fa del profitto e del consumo gli unici scopi della vita. La velocità e l’arrivare primi sono divenuti un mito distruttivo. Le persone non hanno più tempo per le emozioni, i sentimenti, le relazioni, il pensiero, la memoria, la festa, la vita!

Fin da bambini siamo stati tiranneggiati dalla presunta virtù dell’alzarsi presto la mattina. Poi ci hanno insegnato a trasformare il pranzo in una pausa rapida nel pieno del lavoro, a non sprecare il tempo dormendo, sempre in nome di una logica per cui lo scopo dell’esistenza è lavorare, produrre, guadagnare.

Ma, come insegna il nobile esempio di grandi personaggi, da Cartesio a Oscar Wilde, da Chesterton a Nietzsche, tutto ciò è profondamente contrario alla vera natura dell’uomo.

Un’arte di matrice orientale, cara, in particolare, agli artisti, che proprio nelle pause creative trovano gli stimoli per un nuovo fervore, ma che viene considerata essenziale per chiunque voglia impedire alla razionalità di prendere il sopravvento sulla spontaneità.

All’efficientismo frenetico e alle sollecitazioni consumistiche della società industriale, che allontanano dalla riflessione e dall’analisi interiore, va opposta, quindi, l’arte dell’ozio.

Peccato mortale o laboratorio creativo, dinamite rivoluzionaria o maschera depressiva, ha una storia culturale complessa e sfaccettata.

L’espressione, genericamente, si riferisce a ciò che contraddistingue un lasso di tempo, più o meno lungo, durante il quale, accidentalmente o usualmente, per carattere, libera scelta o imposizione, non si compia nessuna attività particolarmente vantaggiosa come può succedere che si presenti nel caso del cosiddetto ‘dolce far niente’ inteso come uno stato di ozio felice e spensierato.

Ad esempio, era otium il ritiro in campagna dell’ex Console che, stanco delle lotte politiche, si dedicava alla conduzione della propria villa, ma lo fu anche il buen retiro dell’imperatore Tiberio, che per anni governò Roma da Capri; poi ancora la sosta invernale dell’esercito cartaginese, che fece tirare il fiato alla repubblica dopo la clamorosa débâcle di Canne, nota come ozi capuani.

Seneca riconosce l’otium solo come ultima spiaggia, una scelta estrema che il saggio può fare quando gli è impedito il libero esercizio delle sue funzioni.

Nell’evoluzione dal latino all’italiano il valore positivo della parola otium si è perso. È difficile stabilire con esattezza quando sia avvenuto il cambiamento di significato.

L’accezione moderna ha completamente soppiantato quella antico, ma forse un po’ di otium alla latina farebbe bene a molti di noi. Un periodo di decompressione, da dedicare alle nostre passioni o anche alla semplice riflessione su ciò che vogliamo fare, lontano dalle agende strapiene e dai ritmi forsennati del nostro mondo, non sarebbe male.

Seneca docet: il ritiro non è necessariamente disimpegno e pigrizia. Come attività l’otium ha molti caratteri del gioco, a cominciare dall’essere un’attività scelta liberamente e disinteressata, cioè fine a se stessa. Dal gioco lo differenziano i contenuti e il tipo di responsabilità nei confronti dell’attività.

Gli antichi greci chiamavano il gioco paidia per indicare che i suoi contenuti erano materia da ragazzi. Aristotele, che ha inventato la dottrina dell’ozio, quale tempo di vita separato dagli impegni, individua nella verità il contenuto dell’ozio ed il suo senso morale nella ricerca della verità che innalza il saggio sino ad una dimensione divina.

Questa idea dell’ozio come conoscenza disinteressata dal valore e dalla felicità eccellenti è una concezione che la nostra civiltà non ha mai smarrito, conservando l’opinione che la dimensione della ricerca scientifica possa dare senso ad una vita interamente dedicata alla conoscenza.

Oggi il tempo libero è un concetto consolidato nella nostra cultura. Tanto ambito e prezioso, quanto difficile da organizzare: lo si desidera per poter svolgere le proprie occupazioni preferite e per potersi riposare dopo aver svolto i propri doveri, così da ricaricare le energie.

In quanto essenziale per una vita salutare, il diritto allo svago e al riposo è uno dei diritti umani, che figura all’articolo 24 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani adottata dall’ONU.

Ricordiamoci che il semplice riposo, ossia non lavorare o faticare, è fondamentale: nella Costituzione Italiana, all’articolo 36, si parla di feste e ferie, intese come funzionali al recupero di energie psicofisiche, spese durante la propria attività. Senza riposo non può esserci lavoro efficiente, il valore fondante della Repubblica.

Josef Pieper, filosofo del ventesimo secolo, era d’accordo con Aristotele, e definì il tempo libero come la base della cultura. Per molti anni l’ozio è stato considerato la promessa dorata della prosperità. Nel 1930 l’economista John Maynard Keynes predisse che i suoi nipoti avrebbero lavorato appena tre ore al giorno. Per Keynes il duro lavoro non era un fine, ma un mezzo per ottenere qualcosa di più piacevole: la pace, il rilassamento, la libertà dalle preoccupazioni quotidiane. Anteporre il tempo libero al lavoro, anche quando abbiamo già sgobbato abbondantemente nel corso della nostra vita, ci fa sentire in colpa.

Nel 1932 il filosofo Bertrand Russell, noto maniaco del lavoro, parlava di

una coscienza che mi ha costretto a lavorare duramente.

Russell riconosceva che questa coscienza era dannosa e propose una campagna per ‘indurre i giovani a non fare nulla’; non esistono prove del fatto che il filosofo abbia messo in pratica il proprio consiglio e non credo che lo abbia mai fatto nessun altro.

Nonostante le difficoltà, imparare a non fare niente ci farebbe bene. Lasciare che il pensiero vaghi liberamente, mentre si eseguono compiti semplici e non strutturati, può migliorare la nostra creatività e la nostra capacità di risolvere problemi. I pensieri inconsci, durante fasi di riposo, possono produrre idee più originali.

Non sottovalutiamo anche il contributo che l’otium dà alla nostra capacità intellettiva. Di fatto, concedersi pause frequenti ci rende più intelligenti, più saggi, più accorti, più ispirati e capaci di ispirare. Non per altro l’otium permetteva all’uomo libero di esprimere le più alte qualità morali, insieme al prodotto di un lucido intelletto.

Stiamo parlando di neuroscienze al servizio dell’ozio. Non tutti sanno che il cervello passa naturalmente dalla modalità focalizzata alla diffusa. Quando si è in focus, si ci stai concentrando su qualcosa, mentre in diffuse i propri pensieri iniziano a vagare. Questo è un processo del tutto naturale, la mente parte alla ricerca di nuovi elementi, soluzioni, alternative. Il divagare della mente può essere un’opportunità di problem solving. Una modalità molto creativa e proficua quindi.

Allora, lo rivalutiamo questo dolce far niente?

Senza l’ozio il pensiero filosofico non esisterebbe, non potrebbe essere creato né capito.
Max Horkheimer

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Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.