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La qualità della comunicazione nella relazione

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La forza delle parole

Il modo migliore per comunicare?

Il dialogo deve essere autentico, perché ci sono parole che non comunicano nulla e parole che fanno sentire bene chi ti ascolta, che arrivano dritte al cuore.

Ci sono dialoghi che aprono le porte alle relazioni e dialoghi che le chiudono sfacciatamente.

Le parole che dici devono far lievitare, emergere le risorse interiori di chi ti offre la propria attenzione; non devono pietrificare e congelare ciò che l’altro ha in cuor proprio.

Così si esprime Hans-Georg Gadamer:

Qualcosa è stato per noi un colloquio quando ha lasciato in noi qualcosa. Non il fatto, dunque, che siamo venuti a sapere qualcosa di nuovo ha fatto di quel qualcosa un colloquio, piuttosto il fatto che nell’altro ci è venuto incontro qualcosa che nella nostra esperienza nel mondo non ci era ancora capitato di incontrare.

Le parole, perciò, devono possedere una forza capace di trasformare.
Sappiamo che il dialogo ha donato i suoi frutti quando avviene in noi, e nell’altro, un cambiamento, qualcosa che ci rimane dentro e che ci farà compagnia anche a fine colloquio.

Non dobbiamo concludere l’incontro con la sensazione che non sia accaduto nulla, dobbiamo vedere negli occhi dell’altro un’espressione di gratitudine e di conforto che esula da tutte le modalità tecnocratiche.

Quando parli con l’altro sappi che si tratta di un libro che ha bisogno di aprirsi, trattalo perciò come sfogliassi pagine di poesie, senza fretta, con la massima attenzione, prendendo appunti a margine, altrettanto lentamente, senza la frenesia di volere interpretare tutto e subito.

Studiare comunicazione allo scopo di convincere gli altri e per diventare persuasivi con l’unico fine di manipolare a proprio vantaggio il modo di pensare degli ascoltatori, significa non conoscere affatto il vero significato del termine: comunicazione.

Ricercando in etimo.it possiamo incontrare l’etimologia del verbo comunicare, la quale è la seguente: mettere in comune, fare altri partecipi di qualcosa.

A questo punto possiamo ben comprendere che la comunicazione di successo non è più avere un vantaggio personale bensì riuscire a veicolare efficacemente il messaggio che abbiamo nella nostra mente.

Comunicare per impressionare, con la convinzione di poter controllare gli effetti della nostra comunicazione, oltretutto, è pura illusione poiché come ebbe a dire Abraham Lincoln:

Potete ingannare tutti per qualche tempo e qualcuno per sempre, ma non potete ingannare tutti per sempre.

Credere che esistano tecniche valide per tutti e in tutte le situazioni è un errore che fanno tutti coloro che usano approcci etnocentrici credendoli universali ma che, in verità, non lo possono essere, poiché gli esseri umani non sono macchine.

Etnocentrismo è la tendenza a giudicare le altre culture e interpretarle in base alla propria, proiettando su di esse il proprio concetto di evoluzione, di progresso, di sviluppo e di benessere, basandosi su una visione critica unilaterale.

Usando un linguaggio filosofico possiamo dire che, se siamo etnocentrici, giudichiamo a priori, credendo erroneamente che uno schema possa ottenere con certezza l’identico risultato tutte le volte che venga usato e in qualunque situazione.

Quando due persone parlano, in realtà, i personaggi che comunicano tra di loro non sono due, bensì quattro.

Per ognuna delle due persone abbiamo infatti una ‘parte razionale e cosciente’ e una parte ‘emotiva – affettiva’.

Se durante una conversazione non riusciamo a distinguere queste due parti, che sono presenti in ognuno di noi, sarà difficile comprendersi.

Il termine ‘comprensione’, infatti, significa prendere con sé, assimilare in sé e, durante un dialogo, si stabilisce una circolarità energetica, una vibrazione vocale ed affettiva che risuona come un eco scandito da due campane.

La parola comprensiva è quindi parola vibrante e costruttiva e potremmo definirla così: parola terapeutica.

Tratto dal Corso: Parlare Scrivere Comunicare

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Autore natyan

natyan, presidente dell’Università Popolare Olistica di Monza denominata Studio Gayatri, un’associazione culturale no-profit operativa dal 1995. Appassionato di Filosofie Orientali, fin dal 1984, ha acquisito alla fonte, in India, in Thailandia e in Myanmar, con più di trenta viaggi, le sue conoscenze relative ai percorsi interiori teorici e pratici. Consulente Filosofico e Insegnante delle più svariate discipline meditative d’oriente, con adattamento alla cultura comunicativa occidentale.