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Più soldi per salute italiani, meno per strumenti di morte e guerra

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Corte di Cassazione


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Due progetti di referendum contro l’aumento delle spese militari e il degrado della sanità pubblica

Riceviamo e pubblichiamo.

Due progetti di referendum, uno contro il costoso invio di armi italiane in Ucraina, e l’altro a tutela del Servizio Sanitario Nazionale pubblico vengono presentati in Corte di Cassazione questo giovedì 2 marzo.

I due quesiti, estesi da un gruppo di noti costituzionalisti e giuristi, hanno trovato il sostegno di studiosi e figure di alto profilo rappresentativi di sensibilità culturali e politiche assai diverse, da Ugo Mattei a Marina
Calamo Specchia, da Giuseppina Leo ad Alessandro Somma, da Geminello Preterossi a Pasquale De Sena, entrambi membri della Commissione DuPre, da Moni Ovadia a Franco Cardini, da Marco Guzzi ad Anna Maria Poggi, solo per citarne alcuni, a cui si aggiunge il plauso di Carlo Freccero e Vauro Senesi.

Un fronte ampio, che mira a rappresentare il vasto dissenso nel Paese – testimoniato da tutti i recenti sondaggi – contro l’aumento delle spese militari e il parallelo degrado della sanità pubblica manifestatosi
drammaticamente durante la pandemia.

Ingenti risorse pubbliche vengono oggi dirottate sulla produzione di armi letali invece di essere impiegate per riaffermare il diritto alla salute degli italiani, come prova l’ultimo DEF, Documento di Economia e Finanza del Governo, che prevede nel 2023 un aumento di 12 miliardi di euro per il budget della Difesa a fronte di una riduzione di 2 miliardi per le spese
sanitarie pubbliche.

Attraverso il referendum il popolo sovrano può resistere di fronte a
queste decisioni palesemente inaccettabili.

La politica, in sostanza, dimostra di ritenere prioritario l’acquisto di sistemi d’arma rispetto a garantire servizi pubblici indispensabili per la popolazione italiana; lo smantellamento del settore pubblico, tra l’altro, costituisce
un’opportunità di profitto ingente per la sanità privata.

Questa politica, che preferisce le armi alla salute pubblica, si riflette in atti aventi forza di legge che possono essere oggetto di referendum abrogativo.

Il Comitato referendario ha dunque ritagliato due quesiti semplici, idonei ad evidenziare questa connessione.

Un primo quesito, sulla salute bene comune, vuole limitare il conflitto di interesse fra privato e pubblico nella pianificazione sanitaria, facendo tesoro della lezione che la crisi Covid dovrebbe averci insegnato.

Ai sensi della prima riforma neoliberale del Servizio Sanitario Nazionale, legge 502/92, al tavolo per l’annua programmazione sulle priorità di
spesa non partecipano solo i rappresentanti delle istituzioni pubbliche, ma anche i privati.

I privati hanno perciò ufficialmente voce in capitolo nella scelta delle priorità di investimento di quel quasi 7% del PIL investito nella nostra sanità.

Non è un caso che a soffrire siano terapie intensive e medicina di prossimità, ambiti in cui i margini di profitto privato sono molto sottili rispetto ad altri settori convenzionati.

Si tratta della solita logica dei servizi pubblici a gestione privatizzata con costi a carico della collettività e benefici a favore dei privati convenzionati.

Il quesito referendario proposto è semplice, non fa che eliminare i privati dai soggetti protagonisti della programmazione sanitaria pubblica, e
recita come segue:

Vuoi tu abrogare l’Art. 1 (Programmazione sanitaria nazionale e definizione dei livelli uniformi di assistenza), comma 13, D.lgs 502/1992 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (GU n.305 del 30-12-1992 – Suppl. Ordinario n. 137) limitatamente alle parole “e privati e delle strutture private accreditate dal Servizio Sanitario Nazionale”?

Le risorse per rafforzare la sanità pubblica possono agevolmente rinvenirsi interrompendo la consegna di armi all’Ucraina. Tutti i partiti della presente legislatura e di quella precedente si sono schierati a favore dell’incremento di armi nel conflitto.

Con il secondo quesito referendario, si tratta di abrogare la normativa eccezionale voluta dal Governo Draghi e poi prorogata dal Governo Meloni.

Infatti, con il decreto legge n. 185 del 2022, convertito in legge n. 8 del 2023, è stata prorogata fino al 31 dicembre di quest’anno l’autorizzazione ad inviare mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore dell’Ucraina in barba all’Art. 11 della Costituzione (“L’Italia ripudia la guerra…”).

Ne segue un quesito referendario lineare:

Vuoi tu che sia abrogato l’Art. 1 del DL 2 dicembre 2022 n. 185 (Disposizioni urgenti per la proroga dell’autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle Autorità governative dell’Ucraina), convertito in legge n. 8 del 27 gennaio 2023:

“È prorogata, fino al 31 dicembre 2023, previo atto di indirizzo delle Camere, l’autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell’Ucraina, di cui all’articolo 2-bis del decreto legge 25 febbraio 2022, n. 14, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 aprile 2022, n. 28, nei termini e con le modalità ivi stabilite?”

Il Comitato Referendario esorta tutti i cittadini italiani che abbiano a cuore gli esseri umani e la loro salute a sostenere questa iniziativa.

Si tratta di un referendum che mette sui due piatti della bilancia da un parte la morte, la guerra e l’oscenità dei conflitti tra uomini e dall’altra l’investimento di risorse adeguate in politiche sanitarie pubbliche, a beneficio della salute collettiva e individuale di tutti i cittadini.

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