Oggi ognuno si permette di esprimere il suo augurio e il suo più caro pensiero: ebbene, voglio dire anch’io che cosa oggi mi sono augurato da me stesso e quale pensiero quest’anno, per la prima volta, m’è venuto in cuore – quale pensiero deve essere per me fondamento, garanzia, dolcezza di tutta la vita futura!
Voglio imparare sempre di più a vedere il necessario nelle cose come fosse quel che v’è di bello in loro: così sarò uno di quelli che rendono belle le cose. Amor fati: sia questo d’ora innanzi il mio amore!
Non voglio muover guerra contro il brutto. Non voglio accusare, non voglio neppure accusare gli accusatori. Guardare altrove sia la mia unica negazione!
E, insomma: quando che sia, voglio soltanto essere, d’ora in poi, uno che dice sì!
Friedrich Nietzsche
È cominciato da poco un nuovo anno. È sempre un inizio o, almeno, ci vogliamo credere e illudere che la fine apra alla possibilità a qualcosa di stimolante o, quanto meno, di innovativo nella nostra vita.
E allora mettiamo nel borsone delle buone intenzioni tutto ciò che non abbiamo mai fatto o che non abbiamo mantenuto nell’impegno preso con la nostra coscienza.
Proviamo a far diventare promesse serie ciò che alla fine sono auspici di miglioramento personale, come fosse un rinnovamento intimo, una resurrezione animica per un radicale cambiamento interiore.
Diciamocelo, ci serviamo di un «inizio» posto per convenzione al fine di incoraggiare iniziative individuali, cioè nuovi «progetti». Esso ci riempie di nuovo spirito, è una dolce libagione che ci dà un senso di libertà e, al contempo, di rigenerazione.
L’inizio, per quanto inspiegabile e paradossale, non ha vincoli, non è esclusivo: lo possiamo governare e dargli il senso che pretendiamo nella nostra vita segnata dall’orizzonte dell’imperfezione.
Esso comunque non perde il suo potere di punto di svolta nella nostra esistenza, nella quale possiamo anche reiterare i primordi di nuove attività o il riprendere le solite, quelle che magari avevamo messo nel dimenticatoio.
Noi, alla fine, siamo nati per cominciare sempre un qualcosa. È la maniera più nitida per oltrepassarci e ha a che fare, appunto, con il rinnovarsi e il mettersi in gioco, ogni volta innovandosi, cioè rendendosi ex novo pronti a progettare, organizzare o generare oltre qualcosa che è di là da venire, proprio mentre proseguiamo ad andare oltre ciò che siamo.
Alla fine, ciò che resta è lo specchio dei nostri “saremo”, le sacre intenzioni che diventano profana vergogna o alibi di vita. Siamo sempre impegnati a disegnare ciò che saremo. E in questa vita tutto ciò che significa inizio assume un ruolo fondamentale.
La nostra attesa è il viaggio vero che facciamo in quel progetto che è l’esordio, andiamo oltre mentre lo stiamo intraprendendo, divenendo un crocevia di tre momenti unici che, nella loro temporalità, assorbono le nostre certezze: si comincia ad immaginare ciò che saremo e così «iniziamo» ad essere andando oltre noi stessi e quindi saremo ciò che abbiamo iniziato.
Esistiamo per realizzare le nostre ambizioni, le nostre intenzioni e le nostre costruzioni. In questo eterno in fieri che demolisce, abbatte, scava, livella e edifica, con uno sfinimento di energia e di forze mentali che riproducono la nostra interiorità primitiva.
Eppure, sappiamo che ogni inizio non è mai irreplicabile nella sua essenza e, soprattutto, non è intoccabile, ovvero non nasce unico, non si genera come non modificabile e non riproducibile.
Esso è sempre convenzionale per darci un equilibrio, un punto di partenza, qualcosa che varchi l’infinito e ragioni sopra la media delle dinamiche individuali.
Esso è suggestione, ma poi muta in target e se raggiunto in gloria bene, altrimenti è inferno.
Tuttavia, questa parola è molto umile, pur riposando su un’immagine molto complessa, che comporta sacrificio e stupore.
Essa parte da un disagio o da un’urgenza, da uno zero o da un vuoto. Ogni fenomeno da esso prende avvio e non possiamo non accorgerci della bellezza intrinseca che riveste. Quel nascondere una metafora che condivide vittoria e sconfitta, dolore e amore, struggimento e pazzia.
In essa c’è l’entrata, ovvero il dentro di ogni cosa, quello del futuro, della storia che verrà, della realizzazione: l’inizio è l’atto e il luogo e il momento mobile in cui si entra nella narrazione, nel processo, nel fenomeno.
Per questo può anche diventare una prima manifestazione o una manifestazione debole: un primo nuovo ingresso, o solo un ingresso senz’aggiunta di altro e senza alcuna consapevolezza, così come il primo passo di un lungo cammino in un dentro enorme.
Ecco che con l’approssimarsi della fine dell’anno solare siamo soliti formare nella nostra mente, insieme ai bilanci dell’anno che si conclude, i propositi futuri per quello che viene. In questo meccanismo, così tanto ampio da impattare tutti, quasi fosse un passaggio obbligato, è compresa una particolare natura dell’inizio, inteso come rinnovamento e innovazione.
L’idea di attribuire un nuovo corso alla propria vita, accettando abitudini nuove e lasciandone altre, ha a che fare con il creare, ergo con il progettare, che è poi la modalità più vera del nostro esistere in quanto umani.
Secondo Martin Heidegger in ‘Essere e Tempo’ il processo di progettarsi nell’esistenza è dovuto alla trascendenza di sé, che ci fa essere ogni volta superatori di noi stessi e, quindi, sperimentatori di vita che facciamo nostra andando oltre noi stessi.
Alla fine, noi siamo progetti che, di volta in volta, inventiamo, utilizziamo, dimentichiamo, mettiamo da parte, gettiamo e ricicliamo: questo per vivere e farci strada nel mondo, fino alla morte.
È un afferrare se stessi, prendersi nel progettare, emergere in quanto noi stessi nel corso della nostra vita, abbagliando o implodendo. Siamo sempre pronti a programmare, lo facciamo di continuo e per farlo chiediamo in prima battuta a noi stessi di proiettarci in più fasi del nostro inizio.
Perché un progetto è coerente ed è vero solo quando ha più fasi da realizzare, in un continuo divenire che è un presente che si rivolge al nostro plurale e agli stati di iniziazione che la nostra anima vige.
Noi siamo veramente solo nell’inizio, iniziando, e quindi sempre inizianti. Noi siamo al mondo e ne veniamo a conoscenza punteggiandoci in inizi continui.
Fin dall’antichità arcaica, poeti come Esiodo e poi i filosofi e non a caso coloro i quali identifichiamo come gli iniziatori dell’arte del filosofare, si sono interrogati sull’inizio. Essi hanno approfondito il cosiddetto archè, il principio primo che ha dato inizio e che quindi governa, l’essere nel suo complesso, che esso sia l’acqua, l’aria, il fuoco, l’amore, il numero…
Il pensiero “arcaico” è la ricerca del senso e della verità dell’essere, cioè, liberando il principio che ha dato origine a tutto, scopriremmo anche tale inizio e quindi il senso e il modo per i quali qualcosa come l’essere del tutto è iniziato. Essi ricercavano un principio che fosse giustamente identificabile come ciò in base a cui si generò questo mondo.
Nell’originaria antichità si è divulgata l’idea che con inizio si debba comprendere la «provenienza prima» di qualcosa, come del mondo o della propria vita. Perché alla base di questo pensiero c’è un inizio idealizzato come molteplice e ripetitivo, per cui, dopo una lacerazione temporanea del flusso, si ricompone l’originaria situazione di stabilità ordinata.
Proprio la stabilità dell’essere è assicurata non dall’eternità del mondo, o da un archè, ma dalla reiterazione dell’inizio in base alla circolarità di unione e disgregazione cosmica. Una scoperta che ha avuto tanto successo nella storia della scienza che è presente nella attuale conoscenza umana in riferimento all’origine dell’Universo in quanto processo riconosciuto dal nesso causale e circolare di eventi e catastrofi.
Ciò che resta sta nell’intendere l’inizio come qualcosa che non può essere modificato, l’avvio di tutto o di qualcosa che ha debuttato a un certo punto, per la prima volta in assoluto, in virtù di un principio. Come un’azione divina.
Ma resta anche il significato legato ad un momento identificabile, che viene perfino voluto, e che pur essendo di per sé uno, non è unico e irripetibile.
Che sia un buon inizio per tutti, allora!
L’inizio è la parte più importante del lavoro.
Platone
Autore Massimo Frenda
Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.