Vieni, vieni, ‘a nonna t’ porta ncopp’ o’ tren ‘e cartone, jamm’ a ‘ccattà a carne a Casaluce!
Nella seconda metà degli anni 60, da via Don Bosco a Napoli parte la ferrovia Alifana, inaugurata nel 1913, che collega il centro città con i vari paesi dell’entroterra sino a Piedimonte Alife, l’attuale Piedimonte Matese, inizialmente con capolinea a piazza Carlo III, come, ancora oggi, testimonia la disposizione centrale delle panchine, immerse nel verde.
Una delle tante avanguardie tecnologiche campane perse con gli anni, bloccata nel 1976 per adeguamento e ammodernamento e mai più riaperta. Due carrozze passeggeri e, a volte, una merce, esternamente bicolore, bianco sopra e bordeaux sotto, l’interno in legno, con decorazioni in ferro, si presta alle fantasie di noi bambini già suggestionati dal paesaggio che sfreccia davanti ai nostri occhi.
Ecco che il treno si ferma, in aperta campagna, vicino ad una casa cantoniera.
Nonna che forma strana ha quel pezzo di legno e perché è tutto colorato rosso?
Vien a cca chelli ccose non se guardano!
Mi strattona, facendomi girare lo sguardo altrove. Ma nella mia mente infantile si imprime nitida l’immagine di quei vecchi pezzi di legno, saldamente piantati nel terreno dall’inconfondibile forma di fallo, disseminati nelle campagne di tutta la provincia di Napoli, soprattutto nella zona tra Ercolano e Pompei.
L’usanza di porre questa sorta di totem nei terreni coltivati o in prossimità delle abitazioni trova la sua origine nel culto di Priapo, nato dall’unione di Zeus ed Afrodite, anche se sulla paternità ci sono pareri discordanti.
La gelosa Era, annebbiata dall’ira per il presunto rapporto adulterino del consorte, trasforma il dio in maniera grottesca, ingigantendogli oltremodo i genitali.
Questo fardello lo porta a tentare di abusare di Estia, figlia di Crono, dio del tempo, e Rea, dea della casa e del focolare, ma il ragliare di un asino fa fallire il tentativo. Per punizione Priapo viene allontanato definitivamente dall’Olimpo.
In effetti, le sue facoltà sembrano avere peculiarità più terrene che divine. È il dio della fecondità, della forza e dell’istinto. L’associazione al somaro, altro simbolo di lussuria, deriva anche dalla similitudine nelle misure dell’organo riproduttivo.
Il suo mito è associato alla produttività della terra per cui, nelle società primordiali dove il raccolto è fonte essenziale per la sopravvivenza, si diffonde l’usanza di piantare cippi propiziatori con la duplice funzione di delimitare il terreno e spaventare anche qualche animale.
In suo onore, ad ottobre, si celebrano le Falloforie, processioni alle quali partecipano adulti, fanciulli, un corteo rituale ed attori di commedie e tragedie. Il fulcro è costituito dal komos, veterani che, tra canti, scherzi ed ebbrezza, alludono, in modo più o meno esplicito, ad atti sessuali.
A conclusione delle celebrazioni vi è una figurativa inseminazione della terra campestre: con acqua, succo d’uva e miele viene preparata una sorta di miscela usata anticamente per indurre visioni, che fungerà da liquido seminale con cui sarà fecondato il terreno.
Il culto di Priapo, importato dalla vicina Grecia con tutto il suo bagaglio, viene immediatamente accolto nel divino parterre dal popolo napoletano, che finisce per venerarlo, facendo proprie tutte le relative usanze, plasmandole e spingendole al di là del lecito. È lui che idealmente insemina la Sirena Vergine che partorisce Palepoli, creando un’unione indissolubile tra i due miti.
Considerato il figlioccio di Dionisio, in suo nome vengono propiziati i riti minori. La vergine, scelta da una Sacerdotessa è condotta in una grotta, la Crypta Neapolitana, o in una delle platamonie sul litorale di Santa Lucia; è il preludio alla prima penetrazione, simbolo del discendere nell’intimità della Grande Madre Terra, la Grande Vagina dove tutto ha origine.
La neofita, lentamente denudata, viene fatta distendere su di una pelle ottenuta unendo le spoglie di particolari pesci del Golfo, per essere quindi posseduta da un prestante giovane ben dotato, a sua volta vestito da pesce.
Il nudo iniziatico rimarrà, attraverso i secoli, un elemento determinante del retaggio esoterico partenopeo, anche se dovrà inesorabilmente celarsi.
Nascono quindi i baccanali, durante i quali uomini e donne si lasciano trasportare da quegli istinti tenuti a bada durante il resto dell’anno, una sorta di assoluta mancanza di controllo delle pulsioni sessuali il cui epilogo si manifesta in uno stato collettivo di sovraeccitazione la cui esternazione finale si concretizza in vere e proprie orge, vietate per decenza dal Senatus Consultum de Bacchanalibus nel II secolo a.C., come abbiamo già accennato nel precedente articolo La Madonna di Piedigrotta e la sua festa: da profana a sacra.
L’opulenta Pompei, in maniera più raffinata rispetto al vicino capoluogo, rende onore a tutte quelle figure capaci di propiziare ed affrancare la vita e non solo agli schiavi.
La città, rinomata per la grande laboriosità dei suoi abitanti e per l’importanza assegnata all’economia, testimoniata dalla scritta SALVE LVCRV, “Benvenuto guadagno”, apposta sui muri dei suoi edifici, non può mancare di venerare il Nume di Lampsaco, simbolo di feracità e ricchezza.
In particolare, sono stati ritrovati due affreschi nei quali il dio viene raffigurato mentre pesa il suo membro abnorme, ego smisurato o anima del commercio. Un modo per indicare che vi sono adepti del culto misteriosofico o, molto più semplicemente, che lì viene praticato sesso omosessuale a pagamento?
Il primo rinvenimento risale agli scavi di fine Ottocento, sulla parete di una sala della famosissima Domus Vettii. La sua visione è rimasta per molti decenni ad appannaggio esclusivo del pubblico maschile, perché ritenuta contraria alla pubblica decenza.
Il secondo, venuto alla luce solo quattro anni fa, è posto nell’ingresso di una residenza sicuramente appartenuta ad un cittadino molto facoltoso.
Inoltre, sono state ritrovate altre raffigurazioni più stilizzate, che, in maniera inequivocabile, ci danno l’idea della diffusa devozione verso il fascinus o fallo alato, altra immagine del Dio.
Ulteriore sua caratteristica è quella di custode del mondo ctonio: il suo culto, fondato sulla potenza generatrice, gli consente di concentrare in sé anche questa funzione.
Ne è un esempio una stele di marmo dalla nota forma, sulla quale campeggia il suo nome, scoperta, in un vano chiuso al pubblico, nelle catacombe di San Gennaro, e che testimonia, ancora una volta, quanto sia fluido il confine tra sacro e profano.
Non possiamo ignorare che, da sempre, le proporzioni intime sono state motivo di disputa tra adolescenti e non solo. Ancora oggi se due adulti litigano, magari per futili motivi, è facile sentire una voce fuori campo che afferma:
stanne verenno chi ‘o tene cchiù gruosso.
Chi vive in questa terra, anche se probabilmente in maniera inconsapevole, continua a venerare tale figura. Non c’è un discendente di Partenope che in tasca, nel portafogli o nella borsetta non abbia un cornicello che, all’occorrenza, sfrega inneggiando alla buona sorte. Anche io non sfuggo a questa regola, prediligendolo in corallo rosso!
Autore Rosy Guastafierro
Rosy Guastafierro, giornalista pubblicista, esperta di economia e comunicazione, imprenditrice nel campo discografico e immobiliare, entra giovanissima nell'Ordine della Stella d'Oriente, nel Capitolo Mediterranean One di Napoli. Ha ricoperto le massime cariche a livello nazionale, compreso quello di Worthy Grand Matron del Gran Capitolo Italiano.