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Iran: 5 morti e 70 feriti per proteste contro il regime

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Tra gli slogan scanditi dai manifestanti anche: “Morte al Wilayat al-Faqih”

È di almeno 5 morti e 70 feriti il bilancio delle vittime delle ultime manifestazioni di protesta contro il regime iraniano nelle aree a maggioranza curda dell’Iran occidentale.

Le forze di sicurezza iraniane hanno sparato ai manifestanti che protestavano per la morte di Mahsa Amini, deceduta lo scorso 16 settembre dopo essere stata arrestata dalla polizia religiosa di Teheran per non aver indossato il velo in modo corretto.

Due giovani sarebbero stati uccisi nella città di Divandarreh secondo Arsalan Yarahmedi, Direttore dell’organizzazione per i diritti umani Hengaw. Altre due vittime sarebbero state registrate a Saqqez e un’altra a Dehgolan, sempre nella provincia del Kurdistan. Tra i feriti si segnalerebbe una bambina di dieci anni, colpita alla testa e in condizioni critiche.

Le proteste sono diffuse ormai in tutto l’Iran, sia nelle strade che su internet. In alcuni video circolanti sui social si sentono persone urlare “Morte al dittatore” a Teheran.

Ieri pomeriggio, 18 settembre, centinaia di giovani di almeno tre importanti atenei di Teheran – Amir Kabir University, Shahid Beheshti University e Teheran University – hanno organizzato manifestazioni per condannare la morte della giovane originaria della regione del Kurdistan.

Altre proteste sono avvenute anche nelle città di Rasht, Mashhad, Bukan, Saqez, Sanandaj, Karaj, Divandareh e Isfahan, secondo quanto riferisce il sito legato all’opposizione iraniana con sede a Londra “Iran International”.

Diversi filmati diffusi sui social network da numerosi attivisti, tra cui la giornalista Masih Alinejad, mostrano gruppi di studenti dell’università Amir Kabir che scandiscono slogan contro i Basij, il corpo paramilitare con funzioni di sicurezza interna legato ai Guardiani della rivoluzione iraniana. Alcune studentesse si sono tolte il velo, in segno di contestazione, come avevano fatto nel fine settimana le donne curde durante la cerimonia di sepoltura di Mahsa Amini.

Le protesta si è diffusa anche sui social media dove gli hashtag “#MahsaAmini” e “#WalkingUnveiled” sono diventati virali, nonostante la chiusura mirata di internet nelle città curde di Saqez e Sanandaj.

Diverse donne si sono unite alla campagna per bruciare il velo davanti alla telecamera, mentre altre hanno diffuso video in cui si tagliano i capelli in segno di protesta contro la Repubblica islamica, che ha imposto l’hijab alle donne.

Alcune attrici – Katayoun Riahi e Shabnam Farshadjoo – che sui loro profili Instagram, seguiti da centinaia di migliaia di persone, hanno sempre indossato l’hijab, hanno pubblicato foto di sé stesse senza il velo.

Da una prima ricostruzione, Mahsa Amini, chiamata Zhina dai suoi amici e dai suoi cari, era in vacanza a Teheran il 13 settembre con la sua famiglia quando è stata prelevata da alcuni uomini della polizia religiosa (Gasht-e Ershad) e fatta salire a bordo di un furgone.

Due ore dopo, la donna è stata portata d’urgenza all’ospedale di Kasra, a Teheran, in coma, dove è deceduta lo scorso 16 settembre. La polizia ha negato le accuse di tortura e ha collegato la sua morte a un “improvviso attacco di cuore”.

Un filmato diffuso dalla TV di Stato iraniana mostra quella che sembrerebbe Mahsa Amini accasciarsi a terra mentre negoziava il suo rilascio. Tuttavia, le immagini della ragazza costretta a letto, con occhi neri gonfi e macchie di sanguinamento dalle orecchie, sembrano confermare l’ipotesi del pestaggio.

Le prime manifestazioni per condannare la morte di Mahsa sono iniziate già la sera di venerdì 16 settembre, quando diverse centinaia di persone si sono radunate fuori dall’ospedale di Kasra nonostante la presenza delle forze di sicurezza. Sabato 17 settembre, il suo corpo è stato condotto al cimitero di Aichi nella città di Saqez, nella regione del Kurdistan iraniano.

Fonti citate da media legati all’opposizione al governo di Teheran, tra cui “IranWire”, hanno riferito che la sua famiglia aveva annunciato che i funerali si sarebbero tenuti alle 10 del mattino, ma le forze di sicurezza, giunte da Teheran, hanno voluto che la sepoltura avvenisse prima dell’arrivo di parenti e amici per evitare proteste.

Tuttavia, un certo numero di persone, che si erano radunate al cimitero all’alba, non hanno lasciato che l’ambulanza, che trasportava il corpo della giovane, aprisse le porte fino all’ora stabilita per le esequie. Durante i funerali si è assistito alle prime manifestazioni protesta, con un gruppo di donne curde che si è tolto il velo.

Dopo la sepoltura di Mahsa Amini, le persone in lutto e i manifestanti hanno marciato verso l’ufficio del governatore di Saqez, cantando slogan contro il governo di Teheran. La polizia antisommossa è intervenuta, disperdendo la manifestazione con lacrimogeni, idranti e pistole caricate con proiettili di gomma, provocando diversi feriti. Le proteste a Saqez si sono estese anche al capoluogo di provincia Sanandaj, dove sono avvenuti scontri con le forze dell’ordine. Almeno 33 persone sarebbero rimaste ferite nelle dimostrazioni nelle due città curde.

Ieri, le proteste si sono estese anche all’università di Teheran, mentre questa mattina in diverse città della regione del Kurdistan e dell’Azerbaigian occidentali negozi e bazar sono rimasti chiusi per protesta.

Le serrate sono avvenute a Sanandaj, Saqez, Baneh e Marivan nella provincia del Kurdistan, ma anche nelle città settentrionali di Urmia, Bukan e Piranshahr nella provincia dell’Azerbaigian occidentale. Negozi chiusi anche nella città di Kermanshah, capoluogo dell’omonima provincia.

Autore Redazione Arabia Felix

Arabia Felix raccoglie le notizie di rilievo e di carattere politico e istituzionale e di sicurezza provenienti dal mondo arabo e dal Medio Oriente in generale, partendo dal Marocco arrivando ai Paesi del Golfo, con particolare riferimento alla regione della penisola arabica, che una volta veniva chiamata dai romani Arabia Felix e che oggi, invece, è teatro di guerra. La fonte delle notizie sono i media locali in lingua araba per dire quello che i media italiani non dicono.