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Fratrie e Sedili: Napoli e la gestione decentrata del bene comune

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Sedili - ph Rosy Guastafierro
Sedili - ph Rosy Guastafierro


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La gente di Napoli, sin da quando la nostra Sirena si è lasciata morire sull’isolotto di Megaride, non ha mai amato un governo centralizzato e totalitario, preferendo sempre il decentramento.

I liberi cittadini delle colonie greche di Neapolis si organizzarono in Fratrie, ovvero una sorta di associazione politico – religiosa che, partendo dalle tribù, si univano seguendo il capostipite. Il numero era abbastanza variabile; osservando le iscrizioni ritrovate, si possono riscontrare i nomi e alcuni reperti storici di 12 distinte aggregazioni di famiglie patrizie.

Ognuna aveva una propria sede, si distingueva in una piazza con annesso tempio, teatro, un luogo preposto alla discussione, una gerarchia verticistica che governava i così detti retori, maschi adulti, che ne facevano parte.

Elemento essenziale era la provenienza dalla stessa etnia e la venerazione degli stessi Fretori, protettori della comunità, per cui praticavano i culti religiosi all’unisono, seppellivano i morti in tombe comuni, sino ad avere un proprio ordinamento anche per i prestiti e i sacrifici e l’obbligo di partecipare alle cene comuni, oltre alla manutenzione diretta delle strade e delle mura.

Il crollo dell’impero romano diede una forte scossa a tutti gli ordinamenti, ma questo modo di gestire il bene comune, come altri elementi della cultura ellenica, erano così radicati, che rimasero, assumendo un nome diverso. Intorno al IX secolo si costituirono i Sedili o Seggi, questo appellativo è dovuto, in massima parte, dal fatto che si iniziarono ad edificare nelle piazze molti portici a cui furono aggiunti degli scranni che potessero offrire appoggio e ristoro, non solo ai viandanti, ma soprattutto alla gente del “quartiere”.

Per distinguerli l’uno dall’altro, in modo da individuare la zona o la famiglia nobile di riferimento, furono aggiunte delle denominazioni particolari. Si diede inizio alle integrazioni dei casati in seguito alle occupazioni barbariche che diedero vita al Ducato indipendente di Napoli, elemento che si distingueva all’interno di tutto il regno Longobardo.

Nella successiva epoca normanna, malgrado l’istaurazione della monarchia, questo tipo di suddivisione non fu annullata, anzi, vi furono degli accorpamenti dei 21 minori da cui scaturirono i principali seggi. Le denominazioni erano: Capuana, Forcella, Montagna, Nido, Porto, Portanova, del Popolo.

Ruggiero I organizzò i nobili con proprietà terriere e con coloro che si erano conquistati questo titolo per la fierezza e la fedeltà in guerra, consolidando il loro status e creando addirittura una corte reale con i suoi feudatari.

Nel periodo svevo continuarono a prosperare, vennero addirittura normati nelle Costituzioni di Federico II, acquisendo ulteriori diritti, come parti delle quote doganali, con Manfredi di Svevia, ottenendo di potersi incontrare in luoghi appositamente preposti dallo stesso re per meglio amministrare la città.

Sotto la dinastia Angioina la loro egemonia rimase tale anche se Roberto d’Angiò fece in modo da accorpare Forcella a Montagna, diminuendone il numero, quello del Popolo continuò a svolgere il suo compito esclusivamente di uditore.

Nel passaggio all’epoca Aragonese, Alfonso I, immediatamente dopo il suo ingresso in città, fece visita ai vari sedili, incontrandone i rappresentanti. Si racconta che la voce del popolo fu zittita per amore. Il Seggio perse la sua sede perché sembra fosse di intralcio al panorama di casa d’Alagno; la bella Lucrezia, infatti, desiderava poter guardare il mare dalla sua finestra! La gente, naturalmente, insorse per cui fu presto ripristinato.

L’imperatore Carlo V fu immediatamente riconosciuto come monarca, gli stessi rappresentanti gli porsero le chiavi, ma, con grande garbo, il re declinò l’offerta, addicendo che fossero già in ottime mani!

Qualche anno dopo, però, nel 1547, attraverso il viceré Don Pedro da Toledo, tentò di imporre nella città partenopea la Santa Inquisizione; gli Eletti, appoggiati da tutti i cittadini, si ribellarono in maniera determinata tanto da far immediatamente desistere dal tentativo.

Questo tipo di amministrazione resistette anche durante il periodo borbonico con una breve pausa durante la Repubblica giacobina del 1799, per reinsediarsi immediatamente con il ritorno della monarchia ad opera del cardinale Ruffo e delle truppe Sanfediste.

Ferdinando I, memore del tradimento dei nobili, nel 1806 decise la definitiva soppressione dei Sedili. Gli Eletti abbandonarono per sempre il loro “parlamento” nell’antica sede della Basilica di San Lorenzo dove, ancora oggi, sulla facciata, troviamo esposte, insieme agli stemmi della città, le effigi di quella sorta di circoscrizioni che, per secoli, ne hanno diretto le funzioni giuridiche e giudiziarie oltre a quelle amministrative.

Sono facilmente riconoscibili: un cavallo rampante per il Nilo o Nido, un uomo, che tutti indicano come il famoso Colapesce, per il Porto, una porta tutta d’oro per quello di Porta, una P stampata per Populus, la Y per Forcella, una cima per Montagna e un cavallo al passo per quello di Capuano.

L’evoluzione inarrestabile continua con passo spedito a cercare di seppellire un passato che in ogni vicolo, palazzo, addirittura da ogni pietra calpestata ritorna, con forza dirompente, a ricordarci quel passato che rende questa città uno scrigno inesauribile…

Autore Rosy Guastafierro

Rosy Guastafierro, giornalista pubblicista, esperta di economia e comunicazione, imprenditrice nel campo discografico e immobiliare, entra giovanissima nell'Ordine della Stella d'Oriente, nel Capitolo Mediterranean One di Napoli. Ha ricoperto le massime cariche a livello nazionale, compreso quello di Worthy Grand Matron del Gran Capitolo Italiano.