Una lunga storia d’amore, una favola dai risvolti intriganti, ma con un epilogo triste nella Napoli del ‘400 alla corte Angioina.
Un re solo e sconsolato, abbandonato in Italia da una moglie blasonata e sterile, che si innamora di una cortigiana di 30 anni più giovane, complice un antico rito praticato il giorno di San Giovanni e le piantine di orzo.
La famiglia d’Alagno, originaria di Amalfi, sembra si fosse trasferita nella capitale del Regno ai tempi di Carlo I d’Angiò, XIII secolo, stabilendo la propria dimora nella piazza di Nido e appartenendo, di conseguenza, allo stesso sedile.
Cola d’Alagno e sua moglie Covella Toraldo furono coloro che diedero maggior lustro alla casata. Dignitario del vigoroso re Ladislao I, fu nominato governatore di Anagni dalla regina Giovanna II, ricevendo, libera da servitù, Torre Annunciata, dove fece costruire un castello non grandissimo, ma in una fantastica posizione, che con lo sguardo abbracciava tutto il golfo, comprese le splendide isole, con relativo fossato, ponte levatoio e torri merlate. Dal loro matrimonio nacquero sette figli, quattro femmine e tre maschi, l’ultima era Lucrezia.
La fanciulla, in età da marito, viveva in un antichissimo palazzo nella strada di Nido e successivamente in piazza Selleria, attuale piazza Nicola Amore a Napoli, dove c’era una fontana dallo stesso nome, che oggi ritroviamo in piazzetta del Grande Archivio.
Il 23 giugno, come abbiamo descritto nell’articolo San Giovanni a mare: Napoli tra antichi riti e auspici, vi era l’uso di effettuare un corteo nelle vie della città che giungeva poi al tempio.
Alfonso V d’Aragona, re di Napoli, Sicilia, Sardegna, Corsica, Valencia, Maiorca, Conte di Barcellona e varie contee catalane, a capo della sfilata, incrociò lo sguardo di una magnifica donzella che, seguendo la tradizione, gli offrì la sua pianticella d’orzo.
Il Magnanimo, folgorato da cotanta bellezza, volle ricambiare con una borsa colma di monete riproducenti la sua effige, gli alfonsini. Secondo leggenda, la bella napoletana, mostrandosi reticente, ne tenne per sé solo uno, sussurrando che le bastava un solo Alfonso.
Fu il primo di tanti incontri che si susseguirono in maniera cadenzata, inizialmente nell’orto fruttato della famiglia d’Alagno in Torre del Greco, dove il sovrano, perdutamente innamorato, fece costruire una stanza, sebbene la sera si ritirasse a Torre Ottava per maggior sicurezza.
La loro storia d’amore diede adito a pareri contrastanti. Alcuni parlavano di un idillio del tutto platonico fatto di lunghe chiacchierate tra due menti affini, capace di colmare quel vuoto che la principessa Maria di Castiglia, sposata nella cattedrale di Valencia, aveva lasciato, decidendo, a causa della sua salute cagionevole, aggravata dalla sterilità, di non seguire lo sposo in Italia.
Altri, invece, complice l’avvenenza di Lucrezia, la magnificenza con la quale veniva trattata, i possedimenti ottenuti non solo per se stessa, ma per tutti i componenti della famiglia, la ritenevano l’amante ufficiale del monarca.
Non vi era occasione in cui lei non fosse al suo fianco durante feste e banchetti organizzati sia a Castel dell’Ovo che al Maschio Angioino, presenziava ovunque acclamata e rispettata.
Le cronache del tempo così scrivevano:
Vi ebbe il primo posto l’imperatrice, il secondo la duchessa di Calabria e, benché molte altre vi fossero illustrissime e dame e damigelle, il terzo posto fu dato alla Lucrezia d’Alagno…
Tutto ciò non le bastava, non riusciva a godere del suo stato, tra i suoi progetti vi era il desiderio spasmodico di giungere a sposare il suo adorato nella speranza divenisse vedovo poiché, non volendosi allontanare dalla legge divina, non osava ripudiare la moglie.
Con il trascorrere degli anni, l’indomita madama decise di tentare la sua ultima carta, in accordo con il grande magnate. Nell’ottobre del 1457 organizzò un viaggio a Roma al cospetto di papa Callisto III affinché concedesse lo scioglimento del matrimonio.
Riponeva fiducia nel risvolto positivo della sua missione anche grazie alla parentela che la legava al pontefice Alfonso Borgia, ignara delle forti pressioni effettuate dalla stessa Maria a cui interessava soltanto rimanere regina di Spagna.
L’imponente corteo di dame e gentiluomini con oltre 500 cavalli partito dalla capitale del regno con gran clamore, rientrò mesto fruitore del diniego.
Alfonso tentò con ogni mezzo di colmare la delusione della sua amata, ma il destino avverso riservò solo ancora pochi mesi al loro idillio. Il 27 giugno del 1458 il re morì senza lasciare testamento.
Salito al trono il figlio illegittimo Ferdinando I, meglio conosciuto come Ferrante, la bella Lucrezia, ormai vicina ai 40, fu bandita dalla corte per la sete di vendetta di molti nobili tra cui i Sanseverino e lo stesso cognato Giovanni Torella.
Trascorse alcuni anni tra la Dalmazia e Ravenna per poi stabilirsi a Roma, dove morì il 19 febbraio 1479, lasciando il suo considerevole patrimonio tra la famiglia e la Chiesa di San Domenico Maggiore di Napoli.
Colei che con la sua avvenenza e audacia aveva goduto dei favori del primo re aragonese non riuscì mai a cingere la corona anche se, ancora oggi, la sua figura, unica donna, risalta nella tessitura di marmo bianco dell’arco di trionfo incastonato nelle due torri del Maschio Angioino.
Autore Rosy Guastafierro
Rosy Guastafierro, giornalista pubblicista, esperta di economia e comunicazione, imprenditrice nel campo discografico e immobiliare, entra giovanissima nell'Ordine della Stella d'Oriente, nel Capitolo Mediterranean One di Napoli. Ha ricoperto le massime cariche a livello nazionale, compreso quello di Worthy Grand Matron del Gran Capitolo Italiano.