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L’albero delle religioni messicane: La Santa Muerte

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La Santa Muerte


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In certi luoghi l’uomo venera la morte quando è obbligato ad adorare un solo dio

La Domenica i messicani vanno in chiesa, pregano Dio, ma soprattutto lo ringraziano per ciò che Egli ha dato loro: tutto. Il sole riscalda cactus, foreste e deserto; montagne, pianure e paludi; i due oceani sagomano questa sottile lingua di terra della quale ogni chilometro è l’incarnazione di un continente.

Le piramidi maya si ergono dalle foreste confrontandosi in altezza con i templi cristiani. Tutti questi titani in pietra danno la sensazione che una memoria ancestrale si nasconda nelle fitte trame della vita quotidiana. Ognuna di quelle liturgie emette un intenso bagliore cristiano, proiettando, contemporaneamente, un’ombra pagana lungo i marciapiedi.

Quando i conquistadores esportarono il seme del monoteismo, subito le fertili terre azteche lo resero un robusto albero che però, a sua insaputa, affondava le radici in un humus politeista. Ben presto questo albero assunse un’imbarazzante forma dicotomica: un ramo era di Dio, del bene, delle virtù e terminava con un ramoscello di ulivo. L’altro ramo, invece, era nefasto, apparteneva al demonio e terminava con il frutto del peccato.
Fu probabilmente negli altopiani del Michoacan che alcuni fedeli si chiesero a quale dei due rami della cristianità appartenesse la morte. Essa infatti è nefasta, orribile, ma fa pur sempre parte del ciclo vitale. Insomma: la morte non è mica un peccato.

Fu così che per ordinare un po’ le cose, i messicani, abili coltivatori, innestarono al centro fra i due grossi rami una terza fronda che terminava con un fiore arancione e la dedicarono alla Santa Muerte. Questa figura si colloca, per l’appunto, alla metà di ogni cosa, non soltanto della cristianità. Essa è una rappresentazione del tramite, al contempo un personaggio ed un passaggio; Una divinità e un appuntamento.

I messicani sanno bene quanto sia importante rendere merito alla Santa Muerte tanto che alcuni ne fanno l’indiscussa madrina della festa dei morti. I devoti ritengono che nel dia de los muertos, tutti i defunti tornino dall’oltretomba per far visita ai parenti in vita.
Corone di fiori arancioni, offerte di cibo e due chiacchiere attorno alla lapide saranno gradite allo spirito del defunto, ma ancor più una bottiglia di tequila posta in cima al tumulo! È difficile spiegare il perché di tanta affluenza e tanto accanimento per queste auto-rappresentazioni che solamente in parte si aggrappano alla religione ufficiale.

Forse i tempi in cui la mitologia e la religiosità erano fuse in un’unica credenza non sono abbastanza lontani. In una nazione che sembra voler fare da raccordo geografico tra il regno delle foreste pluviali e quello dei grattacieli, nella quale la diffusione culturale viaggia a velocità diverse a seconda della regione o della città, dobbiamo aspettarci una ingombrante influenza delle tradizioni più remote sulle moderne attività quotidiane. Probabilmente, in questo modo, sia l’elaborazione del lutto che l’esorcismo dell’umano timore della morte trovano un cuscinetto che, anno dopo anno, trasferisce questi pensieri, incompatibili con la serena quotidianità, dalle profonde intercapedini dell’inconscio all’espiazione religiosa.

Il Messico vanta una età media di 22 anni e può ovviamente sembrare strano che un popolo così giovane si faccia carico di un profondo e radicato culto dei morti. Il punto è che ognuno ha il culto dei morti che si merita.

Quanto siamo strani noi altri a venerare le necro-icone europee e made in USA, dalla festa di Halloween ai vampiri di Twilight, ai divi dell’hard rock, a Marilyn Manson, ai capolavori di Tim Burton alla moda Emo, Dark o Gothic? Forse anche nelle nostre anime si annidano i geni di un DNA politeista, o forse abbiamo una irrefrenabile attitudine a fornire volti e moventi ad ogni aspetto della natura al quale non riusciamo a sfuggire?

Tutti desidereremmo più spiegazioni dalla morte, qualcuno di noi vorrebbe addirittura interrogarla; tutti vorremmo controllare l’ignoto o, per lo meno, potergli dare un logo.
I messicani, abili coltivatori, hanno innestato un rametto di politeismo nel culto cristiano, mentre noi occidentali del Vecchio continente, con le nostre mode, ci limitiamo, di tanto in tanto, a ridipingere la corteccia.

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Autore Dario David

Dario David, naturalista e antropologo, classe '79. Ha lavorato nel settore elettromedicale diagnostico, contribuendo a farlo andare in crisi. Si occupa di e-commerce e dark-marketing.