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L’idea di nazione, come per la maggiore oggi viene compresa, quale coscienza dell’appartenenza ad una comunità umana unita e fornita di doveri e di diritti vicendevolmente riconosciuti, si genera nel corso del secolo diciottesimo, tra illuminismo e romanticismo.

Chiaramente vi sono derive e nel mondo attuale essa vive anche di una fase di esasperazione, magari legata ad un altro concetto come quello del patriottismo.

Quindi ad entusiasta partecipazione alla comunità di appartenenza, sussiste anche una rivendicazione della identità etnico culturale ed anche talvolta razziale-biologica, ben definita nei suoi limiti, quasi privilegiata e violenta verso l’esterno. Se sorge un sentimento simile va indagato ogni aspetto e ogni fattore utile, come quello storico, politico ed ideologico.

Sappiamo bene che il nazionalismo è diventato all’inizio dell’Ottocento un fenomeno comune a molti Paesi europei e diffuso anche a livello popolare, come reazione all’espansionismo politico-militare della Francia napoleonica, che, nell’arco di pochi anni, finisce con il conquistare e controllare l’intero continente.

La reazione degli intellettuali, anche di quelli che si erano originariamente allineati a favore della Francia e degli ideali della Rivoluzione, è il sintomo di un profondo cambiamento nell’opinione pubblica che pronuncia sentimenti sempre più diffusi di ostilità e di rifiuto verso l’aggressività dello straniero.

Da lì in poi, quel sentimento è divenuto sempre più attento alla difesa delle dinamiche interne e avverso alla bellicosità anche strumentale e idealistica dell’altro.

Ma ci sono differenze tra patriottismo e nazionalismo: il primo esprime un atteggiamento sociopolitico in cui l’azione non è identificata da interessi individuali, ma dal bene comune, dal bene di tutti i membri di una comunità istituita politicamente in quanto personificazione delle condizioni del poter vivere e svilupparsi.

Il patriottismo, che oltre alla componente razionale ne assorbe sempre anche una emotiva, il tanto decantato sentimento nazionale, è inquadrato sull’insieme di una comunità politica e storicamente nasce come impegno personale per il comune, per la patria, per il Paese.

Lo stato – nazione, che si è compiuto nell’epoca moderna, infine, si forma in ‘patria’ come riferimento per un patriottismo illuministico ed emancipatore. Per questo va distintamente differenziato dal nazionalismo.

Quest’ultimo si definisce in un atteggiamento politico che non è voluto dalla superbia dell’equivalenza di tutte le persone e di tutte le nazioni, ma che disprezza i popoli stranieri, ritenendoli inferiori e affrontandoli come tali.

La lealtà nei confronti dei valori nazionalistici richiede un’omogeneità che ha una sua trama sociale, oltre che l’ubbidienza cieca e una sopravvalutazione idealizzata della propria nazione.

Alle origini del nazionalismo vi è l’idea di Herder di un popolo che si individua in comuni radici e spartisce una comune visione del futuro. Per Rousseau e i “patrioti” che verranno dopo di lui, come il nostro Mazzini, a fondare la comunità nazionale è invece la condivisione di una collettiva aspirazione alla libertà, che si traspone nello sviluppo delle virtù civili racchiuse nel concetto di cittadinanza e che troviamo anche nella Costituzione italiana.

Da un lato, il nazionalismo può condurre all’imperialismo, al razzismo, al lager. Dall’altro, una corretta idea di patriottismo può incoraggiare la realizzazione di una società fondatamente libera e democratica. Appoggiare un sano patriottismo riproduce, in questo senso, anche un antidoto significativo proprio al nazionalismo e alle sue derive.

Il filosofo e storico tedesco Reinhart Koselleck, in un’intervista dell’Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche del 1992, parlò del concetto di nazionalismo.

Come condizione di possibilità di un nazionalismo mitigato, o neutralizzato, pose l’affermazione di un’organizzazione minimale della comunità europea che consentisse l’identificazione in un’istanza superiore da cui ci si senta tutti egualmente rappresentati.

L’ipotesi di un nazionalismo europeo, se da un lato è oggi, dopo la pluralizzazione dell’unità nazionale statale, l’unica praticabile, dall’altro non è esente da pericoli.
Reinhart Koselleck

Il pericolo è che se l’estensione spaziale eccede un certo limite, l’agglomerazione di troppi interessi dissimili possa rinnovare situazioni di tipo pre-statale o feudale. Nella contemporaneità gli Stati nazione hanno visto i loro poteri decisamente ridimensionati in ambito economico e finanziario dalla globalizzazione.

L’effetto di questo indebolimento è stata la sfiducia di un’enorme fetta di elettori, che ha comportato una seria frattura con la “tradizione politica” precedente, quella che contrappone sinistra e destra, definendo una necessaria revisione dello spettro politico.

Questa porzione di elettorato si è aggrappata a movimenti politici capacissimi a montare l’onda, collocandosi come spartiacque rispetto al passato, riportando unicamente in discussione temi comuni e condivisi nel contenuto da più parti o traguardi ottenuti nel dopoguerra e significativi in confronto ad esso.

Ciò ha concepito una rischiosa messa in discussione per esempio dei diritti civili, dell’antirazzismo, del riscaldamento globale a vantaggio di politiche misogine e discriminatorie in genere, populiste e producendo il mix perfetto unendo insieme anche sovranismo e protezionismo, rievocati come antidoto alla delocalizzazione figlia della globalizzazione.

Il risultato sono state le elezione di Donald Trump e Jair Bolsonaro e l’ascesa in Europa di partiti come quelli di Marine Le Pen, Viktor Orbán e di Alternative für Deutschland, nonché la volontà di attestazione dell’identità nazionale qual è la Brexit, scagliandoci per certi versi su ideologie a tratti similari a quelle degli anni venti e trenta.

Questo scontro avanza imperturbabile nella frenesia e ferocia dell’oggi che ha distrutto i muri della democrazia, che richiede i tempi del confronto. Ci pare evidente che diventa forviante ridurre la democrazia al voto a maggioranza. Ecco perché pensiamo che il nazionalpopulismo sia una rozza degenerazione del patriottismo, ed è egoistico fanatismo.

L’amore per la Patria e ciò che essa rappresenta, così come delineato da Mazzini è tutt’altro: il patriottismo mazziniano si pone, infatti, indiscutibilmente in contrasto con il nazionalpopulismo.

La Patria si identifica tra tutti coloro che credono nella libertà, nell’uguaglianza, in una parola, nella democrazia.

Dove non è Patria, non è Patto comune al quale possiate richiamarvi: regna solo l’egoismo degli interessi. La Patria non è un aggregato, è un’associazione. Non v’è dunque veramente la Patria senza un Diritto uniforme. Non v’è Patria dove l’uniformità di quel Diritto è violata dall’esistenza di caste, di privilegi, d’ineguaglianze dove l’attività d’una porzione delle forze e facoltà individuale è cancellata o assopita.
Giuseppe Mazzini

Quello che vediamo oggi in Russia è frutto di una certa postura nazionalista e antioccidentale e il perseguimento di un fine escatologico. Ricordiamoci che l’idea Russia nacque come reazione tradizionalista alla forzata europeizzazione di Pietro il Grande. La rivoluzione culturale che egli promosse generò uno scisma profondo nel Paese, anzitutto tra Stato e popolo, ma anche tra classi ben istruite e contadini.

L’Idea Russa nacque “in opposizione” a qualcosa di esterno, senza accettare di fare sintesi tra valori diversi, perché espressione di una visione di modernità ispirata ad una irredimibile unicità.

Per altri, l’Idea Russa aveva una radice spirituale, per cui

il popolo russo, secondo la sua Idea eterna, non ama l’organizzazione di questa città terrena ed è teso alla Città del Futuro, alla Nuova Gerusalemme.

Per il filosofo Berdjaev la coscienza della Russia, la sua unicità, era anche messianica. Era fede nella definitiva trasfigurazione del mondo intesa come salvezza universale.

Oggi quello che viviamo è frutto di un mondo capovolto, dove il fantasma del nazionalismo invade con orrore la ragione dell’uomo indefinitamente e si cela di un patriottismo terrorista.

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Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.