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Prima e dopo, il silenzio

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Arpocrate, dio del silenzio


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Dopo i botti, il silenzio. Avviene successivamente ai brindisi e agli abbracci di rito, di avvertire quel sentore di malinconia di inizio nuovo anno.

Molto dipende da quello che abbiamo rivisto, come in un lungo flashback, dell’anno precedente. Cala un silenzio che ti estranea e che ti fa riflettere.

Proprio sul silenzio, allora, provo a riordinare il groviglio di emozioni, ricordi, odori e parole ascoltate e temute, rispettate e studiate.

Può sembrare un paradosso scrivere sul silenzio, per qualcuno un ossimoro: la parola cosa può offrire al silenzio che esso già non abbia?

Nel silenzio viviamo fin dentro al grembo materno e ad esso affidiamo i nostri liberi pensieri, dai più sinceri ai più violenti; decifriamo in un linguaggio muto l’essenzialità del nostro mondo e sopravviviamo al profano divenire, rifugiando nella riflessione, nella meditazione e nella preghiera spesso senza bisbigliare una parola.

Ad esso doniamo l’amore, lo sforzo congiunto del cuore, le lacrime del dolore. Sul suo altare sacrifichiamo il tempo, che sia perduto o semplice frutto dello sgambetto divino. Il silenzio è anche cura. Per noi e per il mondo intorno. Rimedio alla voce interrotta dello spergiuro, dell’infamia e del vuoto parlato.

Lo stato attuale del mondo – e in effetti tutto ciò che è vivente – è ammalato. Se fossi un medico e mi venisse chiesto un consiglio, direi: Create il silenzio! Conducete gli uomini al silenzio!
Søren Kierkegaard

Il silenzio è ascolto e meditazione, riflessione e conoscenza. È un privilegio che ci accosta alla verità, che fruga negli antri del nostro abisso, smaschera le incomprensioni e le negatività feroci. È un modello a cui ispirarsi, la cui tradizione si perde nella notte dei tempi.

A volte è definito una “non punizione”, ma viene visto come un valore a cui aggrapparsi per tenere da parte l’illusione di essere sempre pronto, di appartenere nell’immediato allo stesso albero, non riconoscendo l’acerbo e aspro sapore che ci limita.

Bisogna credere fortemente in esso: solo così l’inganno sarà rigettato via con estrema forza e durezza. Non va affrontato con sulfuree ambizioni e non basterà un pentimento ordinario a perdonarci.

È in quel silenzio che portiamo a compimento un nostro compito: riflettere. Ti poni domande significative: è un testamento di natura etica-filosofica che ti segna per il resto che viene.

Secondo Robert Ambelain si tratta di

operare una sorta di analisi di se stessi, cioè di riflettersi, sinonimo di rispecchiarsi, così come ci si riflette in uno specchio.

Sarebbe utile ritrovarsi nell’illusione di una stanza personale e impegnarsi, una volta all’anno, nel rinchiudersi in se stessi e fare bilanci, seppure temporanei, del proprio viaggio.

Il silenzio come athanor che sublima ogni abisso e che comprende il vuoto e l’estasi, la legge cosmica e l’ordine di ogni opposto, il sapere del tempo e l’anima mundi.

Il silenzio è una fonte di grande forza.
Lao Tzu 

Il Silenzio è ricerca, è accoglienza, è disciplina, è prerogativa, è equilibrio. Noi tutti siamo chiamati alla raccolta, all’ascolto meditato, ad assorbire l’energia operativa dell’altro, a concepire un sé diverso, a tollerare la parola che ci addolora e che ci separa o che, semplicemente, ci trasforma.

La trasformazione si svolge esclusivamente nella parte interna dell’anima, che sfugge allo sguardo esteriore.
Rudolf Steiner – L’iniziazione

Rigido il nostro silenzio non deve gravare l’anima ma fecondarla della parola, immersi in quel magnifico privilegio che è l’imparare ad intendere.

Nessuno è chiamato a vendere la verità, nessuno deve convincere attribuendo al silenzio l’inganno; ognuno di noi deve vivere l’elemento della parola, lavorando la pietra grezza con sudore e solidarietà, fratellanza e libertà, perché il silenzio è soprattutto materia iniziatica.

Per Pitagora era un’imposizione essenziale a cui i suoi discepoli dovevano scrupolosamente attenersi. Agli Acusmatici non era concesso esprimersi fintanto che la loro condizione fosse stata quella di apprendista.

In quello che deve essere dominio di se stesso, ubbidienza e umiltà, è un vero e proprio linguaggio dell’anima, che straripa nel soprannaturale e nella musica; è nelle sue pause e nell’attesa che verranno bello e le note di stupore.

Torniamo a Pitagora e alla sua Schola Italica. L’istituzione del silenzio iniziatico si rifaceva alla riservatezza misterico-iniziatica del rito orfico-eleusino. La caratteristica principale dei misteri eleusini era la possibilità degli adepti di impadronirsi della rinascita oltre la morte e, di conseguenza, della salvezza; in ciò consisteva la dimensione soteriologica di tale religione.

Nei misteri eleusini il mondo degli Inferi era rappresentato come una realtà dolorosa dove l’individuo sopportava una tormentosa peregrinazione, in attesa di rinascere e di ritornare sulla terra dopo la morte, la possibilità che apparteneva solo agli iniziati. Di conseguenza, in essi esisteva un rapporto di complementarità tra il mondo degli Inferi e la terra.

Gli adepti dopo l’iniziazione venivano messi a conoscenza dei misteri e dei riti fondamentali per assicurarsi la rinascita post mortem. Ecco, quindi, che il silenzio è varcare la soglia, è l’inizio del Verbo, è salvezza dopo l’inutile vagare camuffato dal caos o dal volgo sterile, è il ritorno a sé, divenire incessante di un processo iniziatico che non avrà mai fine, manifesto libero del cogitans che tende alla contemplazione.

Il silenzio serviva al neofita pitagorico ad una duplice finalità: si costringeva ad ascoltare ciò che dicevano gli altri, quelli che, secondo le regole, avevano lo jus loquendi, il diritto di parlare; si esercitava all’autocontrollo, indispensabile per progredire sulla via della conoscenza.

Per superare la prova alla quale era sottoposto, di qualsiasi natura fossero gli stimoli esterni da cui venisse colpito, doveva, in ogni caso, rimanere impassibile e in silenzio, dando a se stesso e ai condiscepoli il segno tangibile del raggiunto autocontrollo.

Ritroviamo ciò anche l’insegnamento primario del Buddha:

fai silenzio in te stesso e ascolta.

Possiamo convenire che il silenzio è il primo linguaggio che, progredendo, diventerà stato meditativo puro.

Per me è un confine di contatto, la particella della scelta: è la possibilità di avere qualcosa da esprimere, ma scegliere di non farlo, per attribuire un giusto ed autentico valore alle parole, a volte logore e superficiali, inflazionate da un loro utilizzo inautentico.

Lavelle affermava che vi è un silenzio

che contiene tutte le parole ed un altro che non ne contiene nessuna

un silenzio che indaga e un silenzio che condanna.

Quello che loda e che fa rumore in noi stessi. Come un cantico elevato al cielo, uno stato interiore, un luogo d’incontro.

Del resto, già i padri del deserto nel IV secolo cercavano di vivere secondo il detto di abba Arsenio:

Fuge, tace, quiesce!

ovvero

Ritirati in disparte, fai silenzio, ricerca la pace!

Il silenzio diviene a noi come un fustigatore del tempo malsano, del Caso aggressivo e castigatore, del peccato mai sopito. Per me è un rituale che impera categorico: vuole che io conosca me stesso, esaltando il passaggio metamorfico, strappando l’abito sanzionatorio dell’obbligo all’ascolto.

C’è un silenzio che impara, un silenzio che segna, un silenzio che edifica. Come in alchimia: una delle prime regole è di fare il nulla dentro di sé per far maturare qualcosa in seguito, quella nigredo o putrefazione che elimina le scorie per far sorgere la materia pura.

Accettando il termine di paragone, si conviene al silenzio prima di operare, cioè alla 4 condizione del caos originario da cui ha avuto origine tutta la creazione.

In Egitto si diceva che Toth si rivelasse solo ai silenziosi. E Gesù, che pur parlava in parabole alla gente, svelava comunque in privato ai discepoli i misteri del Regno di Dio, per non far cadere sublimi segreti in mani indegne.

È mistero, è segreto. È il raggiungimento di una quiete mentale: i mistici definivano questo stato “quies contemplationis”, il corrispondente del “ku”, il vuoto mentale cercato dagli iniziati Zen.

È un ritirarsi in sé, nella propria mente annullata, nel proprio nero abisso, ove è possibile che emerga qualsiasi contenuto. Prima che vi sia distrutto l’ambiguo ossesso che alberga nella nostra caverna interiore.

Nella Bhagavad Gita il silenzio è predestinazione: il prescelto riconosce, senza ombra di dubbi, la Voce del Silenzio nel suo cuore, mentre promana dai sutra del Vangelo Hindù.

Come una manifestazione dell’Assoluto, un pensiero puro:

E ora il tuo sé è perduto nel Sé, te stesso in Te stesso, immerso in quel Sé dal quale in principio fosti iridiato.
Voce del Silenzio – Raja Yoga 

Il silenzio è dunque rivelazione? Anche se appare come un’imposizione o una forzatura?

Prima della creazione vi fu silenzio, pertanto, prima della consacrazione all’uomo nuovo è giusto dimorare nell’ascolto e nella riflessione, affinché il perfezionamento abbia inizio e si riveli la luce del dualismo con la parola e il suo segreto, perché, per dare sacralità alla parola, bisogna che essa prima passi nel cerchio infuocato del silenzio.

E allora cerchiamo il nostro primo vero silenzio: che esso si compia, echeggi in questo mondo, ponendo in discussione il sensibile reale, sia dunque levato il velo del possibile. E che sia un anno di intensa riflessione.

… io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovviene l’eterno…
Giacomo Leopardi – L’Infinito

Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.