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La Piedigrotta napoletana e l’Equinozio d’autunno

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Piedigrotta


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Si sono spente le ultime luci. Dopo l’applaudita sfilata dei carri allegorici e lo splendido spettacolo pirotecnico dei fuochi a mare, il popolo napoletano rientra nei propri alloggi e si riprepara al quotidiano, agli affanni di tutti i giorni.
È terminata quella che per Napoli ed i napoletani era ed è, con minore enfasi, la Festa delle Feste: la Festa di Piedigrotta.
Chi è della mia generazione, o prossima ad essa, non può non ricordare questa grande festa alla quale tutto il popolo, e non solo quello cittadino, ha sempre partecipato compatto.

Era considerata la festa per eccellenza. La festa del popolo. Non costava niente. Bastavano pochi ninnoli. Ci si travestiva in modo semplice ed economico, con vestiti di carta, maschere nere sagomate dalle copertine dei quaderni, asce di indiani costruite con pellicole delle radiografie, e con “putipù”, “trombettelle” e “coppolelle” di carta si ridava vita a quel teatro simbolico divino che è insito della città di Napoli.

Ci si battagliava, nei vicoli cittadini e durante tutta la festa, con palle di stoffa ripiene di segatura e legate al dito con elastico, che, colpendo gli occhi, potevano anche far male.
E che dire della processione nella Villa Comunale prospiciente Via Caracciolo, ove ti potevi aspettare, oltre a scherzi di vario genere, anche di venire coperto da un sacco o, come ai miei tempi, da un cilindro cavo legato ad una lunga canna, e cioè avere il classico “Cuppulone”!

Era ed è la Festa con cui ogni regnante o politico ha cavalcato l’onda per meglio valorizzare la propria immagine e rafforzare il proprio potere.
Quest’onda è stata maggiormente cavalcata ed esaltata dai Borbone che erano Maestri nel proporre al popolo un contentino libertino in modo che dimenticasse, per il momento, la miseria in cui viveva; le classiche festa, farina e forca.

È stata la festa in cui è nata la melodia, poi divenuta famosa nel mondo, della canzone napoletana e la successiva gara canora; dalla Piedigrotta, probabilmente nel 1890, è nata ’O sole mio.
Era la festa in cui esperti ed ingegnosi artigiani si superavano nel costruire carri allegorici e satirici. Uno spettacolo unico vederli sfilare per il lungomare fino alla premiazione del carro più bello.
Era l’antesignana di tante feste e, credo io per motivi merceologici, è stata ultimamente bistrattata e buttata nel dimenticatoio, sostituita, nel consumismo collettivo, dalla festa del Carnevale che, nell’espressione originale, cioè di quello Brasiliano, nell’emisfero Australe, rispecchia la Piedigrotta Napoletana.

È la festa che viene alla fine dell’estate, dopo aver assaporato i frutti della terra, per ringraziarla oltre per il raccolto precedente, per il secondo raccolto, quello di mele, orzo ed uva da cui si ricavano sidro, birra e vino.
È il momento in cui gli acini, pigiati, vengono messi al chiuso nelle botti e nelle cantine, caverne, per maturare.

Il popolo, in processione, fra scherzi, frizzi e lazzi, rispettando un antico cerimoniale, si reca al santuario posto alla base della Grotta per ringraziare la Madonna di Piedigrotta per il raccolto avuto; le mogli per chiedere la grazia di un figlio, le zite per trovare un marito, i pescatori per abbondanza di pesca, ringraziamenti per il ritorno dal mare sani e salvi.
Si è parlato della Grotta fino ad ora senza specificarne quale e perché.

Tutti noi napoletani sappiamo che il Santuario della Madonna di Piedigrotta, costruito, come dice la leggenda, in base al sogno di tre persone l’08 settembre 1353, la cui somma è 12, ed è situato in piazza Piedigrotta in prossimità del tunnel che congiunge Mergellina con Fuorigrotta ed i Campi Flegrei. Ma non è questa la Grotta di riferimento.

La grotta della Festa è quella in alto, è la Cripta Neapolitana, quella di Virgilio Mago, grande esoterico ed alchimista, delle cui opere sono piene le leggende napoletane, non ultima quella in cui proprio l’Antro, poi suo sepolcro, fu da lui stesso eretto in una sola notte con l’aiuto di 2000 demoni.
È stata, invece, costruita dall’arch. Romano Cocceio nel I sec a.C. per permettere un più agevole passaggio delle truppe romane da Napoli verso Pozzuoli.

Grotta di Virgilio

Quindi chi cerca di bistrattare la festa o di abolirla, dimentica o tenta di far obliare il valore storico e simbolico che essa rappresenta.
Al popolo si dona, come gioco da perpetrare nel tempo, un simbolismo da trasmettere ai posteri ed a chi ha occhi per vedere.

La festa di Piedigrotta si perde nel tempo e ci riporta ad altri riti e simboli.
Fin dall’antichità, il popolo si è sempre recato, festante, in processione continua, presso la Caverna con lampade ardenti, per ringraziare dell’abbondanza dei raccolti le divinità:
Era, oltre a Demetra, osannando al culto Dionisiaco-Priapico, dei dell’abbondanza, della fecondità e della fertilità, ai quali le donne chiedevano grazie per un figlio o un marito.

Le Baccanti si esibivano in orge mistiche e trascendenti, celebrando i riti in onore di Dioniso, in un tripudio di luci e di feste.
Inebriati dai balli turbinanti, ‘tarantella’, oltre che dal succo dell’uva e dal sidro, ci si lasciava andare a licenziosità non altrimenti permesse.

Era usanza che due  carri, quelle delle lavandaie (Pallonetto S. Lucia) sul quale salivano solo donne che cantavano accompagnandosi al ritmo delle loro pianelle di legno […] e quello dei ficaiuoli (solo uomini, da Antignano), dove i cantanti si accompagnavano con tamburi e conchiglie, si incontrassero davanti alla grotta dove, in un primo tempo, i cantatori intonavano a gara con le donne il canto a figliola, presso la tomba di Virgilio per poi entrarvi, nel turbinio dei canti e delle tarantelle, ed omaggiare sia Priapo che Dioniso.

La Grotta, inoltre, fu ideata e realizzata con caratteristiche ben specifiche; il sole la illumina per metà, lato città, lato orientale, dall’alba a mezzodì e l’altra metà, occidente, è rischiarata da mezzodì al tramonto; in prossimità degli equinozi, un raggio di sole, al tramonto, la illumina per intero.

È, quindi, un omaggio al Sole, è il simbolo della luce che illumina le tenebre.
In essa si tenevano i festeggiamenti, i ringraziamenti per il raccolto, precedente e futuro ed i riti misterici in onore del Dio Mithra. Era un inno alla Tauromachia.

Non si dimentichi, infatti, che si è in prossimità dell’equinozio autunnale.
Tutto rispecchia il momento particolare, dai riti misterici ai festeggiamenti sfrenati, tutto è in finire; le tenebre avanzano e ben presto prenderanno il sopravvento.
La terra dovrà morire; il sole che si sta osannando e che tanto ha dato, lascia, zodiacalmente parlando, il segno della Vergine, per quello della Bilancia, di parità, di uguaglianza, segno di Aria; è tempo di bilanci, di equilibrio.

È il periodo del perfetto equilibrio luce-tenebre, prima del punto in cui queste ultime si avvantaggeranno; è il momento del riposo, della melagrana.

Nelle culture religiose, non solo in quella cattolica, si festeggiano divinità equivalenti al nostro San Michele, il simile a Dio, che, guarda caso, viene festeggiato il 29 Settembre, in fine equinozio; egli combatte contro il drago e/o Lucifero, suo alter ego per la luce.
Il periodo equinoziale d’autunno viene visto come il momento della riflessione, della meditazione e del silenzio, dal quale viene fuori una nuova idea.

È il momento della morte iniziatica; la morte annuale della natura ed il risveglio della forza di volontà si bilanciano nell’equinozio d’autunno.
Fra gli antichi era questo il periodo in cui, a pochi iniziati, si dava corso ai Grandi Misteri Eleusini ed in cui nelle grotte sacre a Mithra si svolgevano i riti iniziatici con l’uccisione simbolica del Toro Cosmico che rappresentava l’oro filosofale o potenza generativa.
È il continuo mito di morte, trasformazione, rinascita: la spiga di grano nasce dalla coda e dal sangue del toro sacrificato.

Questo periodo veniva celebrato in Grecia con le Lampadaforie, a Napoli in onore di Parthenope, ed a Roma con i Vulcanali, in onore di Vulcano. Queste feste consistevano nel portare in giro di corsa e passare di mano in mano fiaccole che non dovevano mai spegnersi, simboleggianti il sole che sarebbe rinato a primavera ma che avrebbe scaldato, seppure nascosto, i lunghi mesi freddi.
Da ciò mi sovviene:
Qui quasi cursores vitae lampada tradunt.

È importante, quali moderni Lampadafori, portare alta la fiaccola delle tradizioni contro l’oscurantismo e l’oblìo, portare alta la fiaccola delle tradizioni.
Procedere seguendo le orme del cigno, che, con la sua purezza, candore e splendore, è l’animale sacro, simbolo dell’immortalità dell’anima e guida dei morti nell’aldilà; discendere nelle tenebre e risalire “Uomini Nuovi” alla superficie; procedere come l’eremita, l’arcano IX dei Tarocchi, colui che avanza lentamente lungo la via rischiarata dalla luce tenue di una lanterna, colui che rappresenta la saggezza, la stabilità, la prudenza, il tempo, il meditare a lungo prima di agire, colui che cammina a piedi scalzi, come i partecipanti alla Piedigrotta, non calpesta la serpe, la conoscenza, ma fa in modo che essa, dopo aver sondato i meandri della terra, si avvolga attorno al bastone e salga, lentamente, sempre più su.

La Trasformazione dell’Uomo è, a mio parere, il messaggio alchemico della Grotta di Virgilio, il Messaggio della Piedigrotta.

È il momento di entrare, come il vino nella botte, come Persefone nell’Ade, come il seme nella terra, nel buio della grotta e macerarsi affinché si completi l’Opera che, sempre nella Grotta, fa prima nascere il Bambino e poi fa risorgere l’Uomo, lo fa risplendere e, irradiando ciò che lo circonda, godere dei frutti della sua trasformazione.

Per ulteriori approfondimenti:

La festa di Piedigrotta è una delle cerimonie orgiastiche di rito pagano più famose della città. Chi non è di Napoli non può comprendere quanto fosse importante questo evento, che rappresentava un momento di aggregazione popolare fondamentale e indimenticabile.
Si tratta di una cerimonia antichissima, molto simile ai famosi” Baccanali” Romani… ma con la festa di Piedigrotta forse si va ancora più avanti nel tempo.
Era un vero e proprio rito di fecondazione, in onore probabilmente alla Dea Cerere e poi sostituito, per volere della Chiesa, dall’immagine della Madonna.

In tempi ancora più antichi la festa santificava il Dio Priapo, divinità pre-romana continuamente… eccitata, tanto che la si raffigurava con un enorme pene in erezione costante. Nella realtà era incarnato da un baldo sacerdote il quale, rintanato in una grotta (in seguito indicata come La Grotta di Pozzuoli)” accoglieva “le donne che non riuscivano ad avere figli e che venivano accompagnate da una bolgia infernale di sacerdoti, volgo, ballerine e musici che le portavano in processione a piedi al cospetto del Dio.
Esse entravano nella grotta e, insieme al sacerdote, “pregavano Priapo” per ben tre giorni e tre notti, mentre fuori l’orgia promiscua infuriava.

In definitiva erano tre giorni interi di accoppiamenti selvaggi conditi da vino e danze senza distinzione tra vergini, donne adulte e sacerdoti, in cui evidentemente il Dio Priapo si manifestava, eccome!, visto l’ingente numero di nascituri nella primavera dell’anno dopo.

Autore Giuseppe Strino

Giuseppe Strino, docente in pensione, esperto di cultura, esoterismo e tradizioni partenopee.