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Il brigante e la sua donna del sud: Michelina De Cesare

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Michelina De Cesare


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Il brigantaggio non si è affermato nell’Ottocento, ma è sempre esistito; le sue tracce, infatti, risalgono all’epoca di Ottaviano Augusto. In effetti, quando parliamo del fenomeno manifestatosi nel Risorgimento, viene aggiunto l’aggettivo postunitario.

Il Regno delle due Sicilie nel 1861 fu annesso a quello di Casa Savoia, il popolo non si capacitava di questa nuova realtà così diversa da un passato che aveva in ogni caso reso unica Napoli e, con essa, tutto il Mezzogiorno d’Italia.

Molti erano coloro che per far rivivere quegli antichi splendori erano disposti a sacrificare tutto, anche la propria vita. Uomini e donne fedeli alle loro origini, aggrappati a quella identità e libertà, non riuscivano in nessun modo a rinnegare le proprie radici. Il Regio Esercito ebbe non pochi grattacapi nel cercare di sedare le azioni di guerriglia.

Non mancavano scorribande continue che cercavano in tutti i modi di portare la popolazione locale alla ribellione, riuscendo ad ingrossare le fila della Resistenza, tanto da spingere Vittorio Emanuele II a proclamare lo stato d’assedio prima, e un anno dopo, il 15 agosto del 1863, a promulgare la legge Pica.

Giuseppe Pica era un aquilano trasferitosi nella città partenopea, avvocato con un passato nel Parlamento Napoletano, arrestato e condannato da Ferdinando II, che, insieme a Luigi Settembrini, eluse l’esilio.

Ritornò a Napoli, dopo il passaggio di Garibaldi, e si fece eleggere deputato del Regno d’Italia, diventando parte diligente nella lotta al brigantaggio, che aveva ormai assunto proporzioni notevoli.

La legge 1409, che si distinse per la sua eccessiva durezza, permetteva la condanna alla fucilazione per direttissima di tutti coloro che erano indicati o sospettati di opporsi al regime, il diritto di rappresaglia contro i villaggi, in deroga agli articoli 24 e 71 dello Statuto Albertino. In pochissimo tempo questa legge consentì di eliminare, con esecuzioni e arresti, circa 14.000 lazzaroni o presunti tali.

La durezza di tali provvedimenti, però, non ottenne i risultati voluti, anzi, con eroica ostinazione questi uomini affiancati da donne impavide, per quasi 10 anni, fecero sentire la loro presenza con un’indignata ribellione.

Le brigantesse erano le donne del Capo, divenute tali per forza e per amore, rivestivano un ruolo importante nella comunità, godevano di grande rispetto, dovevano però essere spregiudicate e saper maneggiare le armi, cominciando dal pugnale, che avevano nascosto tra i vestiti.

Il loro abbigliamento non si concedeva trini, anzi, indossavano pantaloni e camicia, celando la chioma con cappellacci di foggia maschile.

La vicenda di una di queste donne la ritroviamo in musica, con dei versi che solo la sensibilità di un artista del calibro di Eugenio Bennato poteva riuscire a riabilitare.

Il cantautore, infatti, ne ‘Il sorriso di Michela’, esalta la figura di una combattente in difesa della propria identità e non una miserabile dedita solo al crimine come, invece, viene descritta dalla storia.

Tu che stai lì, prigioniera, perché sei donna del Sud
Sul tuo cuore una bandiera che non hai tradito mai
Sul tuo viso un sorriso che per sempre porterai, porterai
Tu che stai lì, prigioniera nella tua fotografia
Che il nemico ti ha scattato per la sua vigliaccheria
Lui, confuso nei trofei, non si accorge di chi sei, di chi sei
Tu sei il sorriso di Michela e così ti metti in posa
E il vestito che tu indossi non è un abito da sposa
E il fucile che tu porti è un fucile vero e non una rosa
E sei tu che combatti la tua guerra di frontiera
Sei il sorriso di Michela e sei tu donna del Sud
E sei tu che difendi la tua terra di frontiera
Donna bianca, donna nera e sei tu donna del Sud
Bella ‘sta storia
E chi la sente
Bella la gente
Ca la racconta
Bella la terra
Ca nun sâ scorda
Bella Michela
Ca nun s’arrènne…
Tu che stai lì, prigioniera, perché sei donna del Sud
Così bella, così fiera, nella consapevolezza
Che più forte del brigante non può esserci che la sua brigantessa
Tu che stai lì, prigioniera, tu sei la fotografia
Che ci parla di una donna, che ha il sorriso di una dea
Che se vive, che se muore, non tradisce mai il suo amore, la sua idea
Tu sei il sorriso di Michela e colpisci il tuo nemico
Col tuo sguardo di pantera ed il tuo sorriso antico
E la sfida che tu lanci come un fiore dal balcone del tuo Sud
Eugenio Bennato – Il sorriso di Michela

Michelina De Cesare nasce in una famiglia poverissima il 28 ottobre 1841 a Caspoli, frazione di Mignano, in provincia di Caserta, che oggi identifichiamo in Terra di Lavoro, si sposa giovanissima con Rocco Tanga, ma rimane presto vedova. Nel 1862, come testimoniato dai più, convola in seconde nozze con Francesco Guerra, un commilitone borbonico.

Sono gli anni in cui tutti i soldati devono prestare giuramento al nuovo re d’Italia, ma questo uomo si rifiuta, sostenendo che nella vita si offre lealtà incondizionata una sola volta e lui l’ha già fatto.

Si dà alla macchia, seguito da altri che ne condividono l’idea, assumendo un ruolo da leader insieme alla sua compagna, che conosce bene quelle terre.

La latitanza nei boschi non dura molto. Si sa, il denaro conduce al tradimento, e gli ufficiali del Regio Esercito non disdegnano di utilizzare questo metodo pur di scovare gli oppositori.

A condurli al nascondiglio sembra sia stato suo fratello, Giovanni De Cesare, che, nottetempo, fece sì che i gendarmi li sorprendessero nel sonno, freddandoli all’istante, quindi denudandoli, per poi fotografarli ed esporli nella piazza principale.

In un rapporto del Comando generale viene riportata la cronaca della cattura:

Il compagno che con lui (Guerra) si intratteneva, appena visto l’attacco, tentò di fuggire; una fucilata sparatagli dietro dal medico di Battaglione Pitzorno lo feriva, ma non al punto di farlo cadere, che continuando invece la sua fuga, s’imbatteva poi in altri soldati per opera dei quali venne freddato: esaminatone il corpo, fu riconosciuto per donna e quindi per Michelina De Cesare druda del Guerra.

Il termine usato per indicarla è tratto dal gaelico e denota l’amante disonesta, di malaffare.

Questa descrizione, che risulta dai documenti ufficiali redatti dal drappello del maggiore Lombardi, contrasta con quanto si può riscontrare dalle stesse immagini. Il corpo di Michelina mostra evidenti tumefazioni, il volto risulta sfigurato, tanto da lasciar presupporre che la morte sia successiva alle torture subite.

Da alcune note non ufficiali ritrovate si evince chiaramente che il Guerra fu ucciso anche se poteva essere sicuramente immobilizzato, vista la superiorità numerica dei soldati.

A Michelina, invece, inizialmente scambiata per uomo, fu sparato alle spalle mentre tentava di fuggire, per poi essere bloccata da altri militi che la straziarono, come si evince dai segni sul ritratto archiviato.

Questa triste storia ha il suo epilogo il 30 agosto del 1863.

Michelina De Cesare

Qualche anno dopo lo stesso Papa Pio IX si esprime con queste parole:

Vengono chiamati assassini e briganti quegli infelici che difendono in una lotta diseguale l’indipendenza della loro patria…

La storia delle donne che lottano per un proprio ideale, per semplicemente affermare il loro stato, inesorabilmente si ripete come il refrain di una canzone.

Era così nel XIX secolo, è così oggi che si muore cercando di ribellarsi alle regole imposte al proprio sesso, per il semplice desiderio di poter vivere accanto ad un uomo che si ama, per il diritto alla conoscenza o poter camminare per strada senza velo.

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Autore Rosy Guastafierro

Rosy Guastafierro, giornalista pubblicista, esperta di economia e comunicazione, imprenditrice nel campo discografico e immobiliare, entra giovanissima nell'Ordine della Stella d'Oriente, nel Capitolo Mediterranean One di Napoli. Ha ricoperto le massime cariche a livello nazionale, compreso quello di Worthy Grand Matron del Gran Capitolo Italiano.