La filosofia come strada per la felicità, ma soprattutto per la sopravvivenza del genere umano
Carisma, guizzo, ironia e grande capacità oratoria sono solo alcune delle doti del Prof. Claudio Bonvecchio, intellettuale di rara cultura, che ci conquistò, nelle vesti di relatore, durante la presentazione di un libro nel napoletano, pochissimi giorni prima che la pandemia sconvolgesse l’umanità.
L’impulso di intervistarlo non si è mai affievolito e, complice una sua recente discesa nel capoluogo partenopeo, riusciamo a raggiungerlo.
Laureato in Filosofia Teoretica presso l’Università degli Studi di Pavia, dove vive, brillante carriera accademica a Palermo, Trieste, Pavia e Varese-Como, autore di molteplici saggi, articoli e pubblicazioni scientifiche sul tema della tradizione esoterica, della simbologia, della mitologia e della mitologia politica, Vice Presidente della Fondazione Umanitaria di Milano, Napoli, Cagliari. Insomma, vale veramente la pena agganciarlo.
Sguardo fiero e consapevole, presenza scenica degna di un mattatore, uso sapiente dell’arte della comunicazione, è in grado di argomentare, con innata profondità condita da sana leggerezza, tenendo sempre viva l’attenzione della platea. Del resto è noto che le sue lezioni universitarie siano sempre state pienissime di studenti che pendevano dalle sue labbra, così come l’allegra e rumorosa tavolata che ci vedeva coinvolti lo incoronava protagonista indiscusso della serata. Decisi a goderci la compagnia, concordiamo di rimandare la nostra chiacchierata ad una più tranquilla telefonata qualche giorno dopo.
Claudio, in un frangente storico, politico, sociale ed economico così particolare come quello che stiamo vivendo che ruolo occupa la filosofia come educazione ai sentimenti ed etica dei legami?
In quest’epoca così difficile anche a causa dell’emergenza sanitaria, la filosofia è un punto di riferimento, se con essa si intende non uno studio astratto ma un ragionamento su se stessi e sulla società.
In questo momento, quindi, occorre riflettere sul proprio ruolo in nome anche di un’esistenza diversa da quella che forse abbiamo condotto prima della pandemia e di un’organizzazione differente rispetto a quella a cui eravamo abituati.
In sintesi, credo che la filosofia possa dare un contributo notevole ad una vita personale e pubblica improntata non solo al consumismo, al narcisismo, ad un io sfrenato, ma a qualcosa di più autentico.
La felicità come luogo senza differenze è da sempre una delle tematiche più indagate dalla filosofia. Nell’attuale riflessione sulle categorie di identità, sul genere fluido, sui temi della disparità sessuale e sulla soggettività femminile qual è il ruolo sociale del libero pensatore che fa della tolleranza una delle sue bandiere?
Credo che oggi un libero pensatore debba schierarsi al fianco di tutti coloro che difendono i diritti della libertà, non quella assoluta del proprio io, ma ovviamente di una libertà che tenga conto anche dei diritti degli altri.
Un libero pensatore deve considerare che la vera Felicità passa nella libertà, libertà di esprimersi e di dare il meglio di sé nei vari aspetti della realtà, nella vita sentimentale, nella vita politica, nella vita del proprio genere, nella vita che si intende fare, consapevolmente, in una società migliore e diversa.
Il tuo intervento alla ‘Festa della Filosofia’ il 1° luglio 2021 a Lainate (MI) ha avuto come focus ‘Tra sostenibilità e utopia: il futuro del pianeta’, perché il compito del filosofo, prima di tutto, è dare all’individuo gli strumenti corretti per interagire con i suoi simili e analizzare scientificamente l’universo, oltre a teorizzare poeticamente sull’estetica della bellezza. Come si fa a far capire tutto questo a chi guarda ancora alla filosofia con ignoranza e pregiudizio, minimizzando il ruolo del filosofo?
Credo basti far riferimento alle condizioni del mondo per capirlo. La Terra può sopportare solo 4 miliardi di individui, siamo già a 7, con una tendenza ad aumentare; quando arriveremo a 10 imploderà. Basta pensare al grave problema dell’acqua, che, soprattutto nei Paesi del Terzo Mondo, scarseggia, basta meditare sui problemi ecologici, sulla Foresta Amazzonica, che viene incessantemente disboscata, ai ghiacci che si stanno sciogliendo, ad una condizione che, mai prima d’ora, il nostro pianeta aveva sopportato.
Ormai è chiaro che la filosofia, come riflessione, deve aiutarci a bloccare l’ingranaggio che sta portandoci all’estinzione globale. Credo che l’analisi maggiore da fare sia questa e che la disciplina abbia un senso partendo da qui, altrimenti ragioniamo su concetti astratti e il mondo va alla deriva, dando così anche ragione a chi considera i teoreti inutili e li etichetta con luoghi comuni come coloro che “filosofeggiano e basta”, senza andare all’essenza, mentre la filosofia è una scienza tangibile e spendibile.
Il diritto alla felicità teorizzato da Filangieri, formalizzato, grazie a Franklin, nella Dichiarazione d’indipendenza americana, mutuato con la Rivoluzione francese nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino e celebrato, infine, dall’ONU, nel 2012, con l’istituzione della Giornata internazionale della felicità, è espressione concreta dell’universalità di quei valori, che, almeno allo stato attuale, in Italia non sembrano essere affermati a livello formale. C’è speranza? Quale il compito dell’intellettuale in questo senso?
Giustamente sono stati citati Filangieri, Franklin, le Dichiarazioni dei diritti, l’ONU… assiomi… poi, però, bisogna trasformarli in realtà. Cominciamo proprio dall’Organizzazione delle Nazioni Unite, grandioso carrozzone burocratico che non è in grado di portare a compimento i suoi scopi, che, soprattutto nei Paesi a difficile gestione, dovrebbe realizzare veramente e non limitarsi ad astratte posizioni di principio.
La stessa cosa vale per i Paesi come l’Italia; è inutile istituire giornate a tema, organizzare convegni sull’argomento ed appellarsi agli ideali se poi non si cambia atteggiamento. La felicità nasce dalla quotidianità, penso alle condizioni di vita, alla sanità, alla vivibilità, all’efficienza dei trasporti, all’assistenza e alla garanzia sociale. Vedo vecchi, giovani, famiglie che non sono affatto tutelati e subiscono torti ed ingiustizie immani, donne che vengono violentate in tutte le situazioni, fisiche e psicologiche, e alcune di loro, sempre troppe, addirittura uccise.
Assicurare all’essere umano condizioni di vita dignitose, decorose, giuste, ogni giorno, questa è la felicità, altrimenti sono solo parole gettate al vento, altrimenti ci riempiamo la bocca di propositi, che non servono a niente, se non a raccogliere consensi elettorali e poi, come si dice, “passata la festa gabbato lo santo”. La felicità è qualcosa di effettivo; se non la si vuole attuare, allora, è meglio non parlarne proprio.
Il 25 luglio del 2015 hai ricevuto il Premio Internazionale alla Carriera “Juan Montalvo” dell’Ecuador per il tuo “lodevole lavoro e gli sforzi per contribuire al processo d’integrazione culturale nel mondo”. Di fronte all’ignoranza dilagante, a cui assistiamo anche a livello istituzionale e politico, dove si trova lo sprone per continuare a credere che la Luce rischiarante della Cultura possa servire davvero a lavorare per il bene e il progresso dell’umanità?
Io credo nell’impegno di ciascuno, di tutti coloro che hanno a cuore il contesto in cui vivono, la collettività e il prossimo che troviamo nelle strade, nelle case dove abitiamo, negli ospedali… Chi veramente tiene a questo si deve impegnare su tutti i fronti, ovviamente anche costringendo i politici, che notoriamente fanno solo i loro interessi, ad intervenire, a darsi da fare per migliorare davvero la situazione.
Ciò, però, non avviene, perché ognuno pensa esclusivamente a sé, al piccolo cantuccio della propria abitazione e non a ciò che accade fuori dal proprio ambito, mentre occorrerebbe impegnarsi a tutti i livelli, su tutti i fronti, in famiglia, nella scuola, nei circoli, nei comitati di quartiere, laddove ci sono, nelle proprie città, a livello nazionale, internazionale e mondiale, perché oggi la rete consente di raggiungere chiunque, ovunque, in ogni momento. Però, bisogna volerlo, solo così si farà la differenza, solo così potremo lavorare per il bene e il progresso dell’umanità.
Che senso ha la cultura oggi?
Quale cultura oggi? Nel passato c’era la cultura borghese, che aveva, al suo interno, pregi e difetti, che riusciva, in qualche modo ad equilibrare le spinte negative, e che oggi è completamente scomparsa o, almeno, è residuale. Si tratta di domandarsi quale cultura dobbiamo produrre ora.
Personalmente ritengo che dovremmo cercare di ricostituire una cultura umanistica, un nuovo Umanesimo insomma, in cui l’uomo, la donna, l’individuo, siano centrali, per poter effettivamente cambiare un trend che rischia di portarci non solo all’estinzione fisica, ma anche all’estinzione mentale, in un mondo in cui, spesso, le persone sono imbottigliate all’interno dei messaggi coinvolgenti televisivi che si susseguono, per invitarci al consumo e distrarci dalla realtà, dal pensiero e dall’azione.
La Cultura è qualcosa che si deve creare, ma una cultura, oggi, non può che ispirarsi alla grande tradizione umanistica, di cui, tra parentesi, proprio la Campania, Napoli, i suoi figli più grandi, da Vico a Filangieri passando per Croce, hanno avuto un ruolo straordinario.
Simbologia e mitologia politica sono argomenti cardine del tuo pensiero filosofico secondo il quale l’Uomo ha dei doveri imprescindibili, da cui non può esimersi, che – “rubo” da alcuni titoli delle tue opere – determinano il suo “coraggio di essere”, tra “inquietudine e verità”, nei suoi “itinerari di ribellione” attraverso “un percorso nella post-modernità”. Che significato ha per te il simbolo e, soprattutto, tra desiderio e nostalgia del suo avvenire, di cosa è simbolo l’Uomo?
Diceva il grande umanista Gerolamo Cardano che la vita umana è simbolo, chi non lo capisce non è un Uomo. Noi viviamo questa dimensione, anche nella quotidianità; noi stessi, in qualche modo, siamo simboli di un contesto che dovrebbe essere completo, in cui si equilibrano gli opposti, in cui il maschile e il femminile devono diventare non un’antitesi a tutti i livelli, ma un modo diverso di essere nel mondo. Credo che questo sia il valore del simbolo.
Una cultura simbolica è quella che si ispira ad un punto fondamentale, la congiunzione degli opposti appunto, perché il simbolo li unisce e contiene in sé una parte materiale e una parte che materiale non è, come un fiore, che, se vogliamo, indica qualcosa di più del suo essere composto da un gambo, da uno stelo, da pistilli, e così avviene anche per la vita che viviamo.
Dobbiamo unificare gli opposti, prima di tutto dentro noi stessi; gli uomini devono scoprire la parte femminile che è in loro e le donne quella maschile, non per cambiare la vita, ma per organizzarla meglio, per affrontare in maniera più completa ciò che accade. Se si facesse così, tutto avrebbe un senso nuovo. Basterebbe che ciascuno di noi pensasse a ciò che è la propria esistenza. Mentre noi viviamo di opposti, gli opposti non coincidenti ci portano continuamente a guerre interiori e guerre esteriori.
Io credo che il futuro della cultura dovrebbe andare in questa direzione, ma anche questa non è una novità. Gli scritti antichi, passando per Platone, Protagora e Pitagora, fino ad arrivare allo stesso Cardano e ad altri ancora, hanno sempre portato a queste dimensioni, a queste unioni degli opposti in cui l’individuo deve riconoscere il vero sé, la propria interiorità.
Immagino ti stia dedicando ad un nuovo libro…
Insieme ad un collega, un grande intellettuale argentino, Bernardo Nante, stiamo lavorando alle parole dell’esoterismo, una ricerca della propria interiorità, una sorta di dizionario in cui cercheremo di ogni parola la sua origine etimologica, il suo sviluppo storico e il senso che ha per la vita dell’uomo. Lo stiamo completando; grossomodo, uscirà l’anno prossimo. Ne parleremo poi a fondo, se ti andrà.
Autore Lorenza Iuliano
Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.