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Settimana Mondiale delle Malattie Mitocondriali: iniziative Mitocon

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Stefano, Maria Anna e Raffaele


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Dal 19 al 25 settembre torna la Settimana Mondiale delle Malattie Mitocondriali

Riceviamo e pubblichiamo.

Rare, ma non troppo. Le malattie mitocondriali sono tra le patologie genetiche più diffuse nell’uomo: si stima che in Europa ne sia affetta 1 persona su 5.000, eppure solo la metà dei pazienti ha una diagnosi genetica e non esiste ancora una cura risolutiva.

Ha dichiarato Marco Marmotta Presidente di Mitocon – Insieme per lo studio e la cura delle malattie mitocondriali OdV:

In questi anni è stato fatto molto: il progresso medico ha accorciato sensibilmente il processo diagnostico, ma rimangono ancora molte criticità, tra cui l’essere lontani dalla scoperta di una cura.

Vivere con una malattia mitocondriale è devastante, non solo per l’impatto che ha sull’organismo, ma anche per le difficoltà che spesso si incontrano per far capire la propria condizione al resto della società, a partire a volte dai parenti e dagli amici più cari.

Ecco perché Mitocon lavora ogni giorno affinché si possa creare consapevolezza nell’opinione pubblica e progredire nella ricerca.

Per questo, dal 19 al 25 settembre 2021, torna la Settimana Mondiale delle Malattie Mitocondriali. Diverse le iniziative in cantiere tra cui, il 19 settembre, la LHON Awareness Day, la giornata Internazionale della Neuropatia Ottica Ereditaria di Leber – LHON, e la Mitochondrial Diseases Conference 2021, il convegno annuale sulle malattie mitocondriali previsto, in modalità online, il 15 e 16 ottobre.

Giunto alla sua undicesima edizione, rappresenta un’occasione unica di confronto tra medici, ricercatori e associazioni di pazienti nel mondo, per discutere sullo stato di avanzamento della ricerca sulle malattie mitocondriali e sui nuovi scenari nel campo della diagnostica e delle cure.

Il programma, redatto in collaborazione con il Comitato Scientifico di Mitocon, è stato disegnato con l’intento di ispirare l’integrazione della tecnologia e dell’innovazione nella pratica medica.

Programma e iscrizioni

Non solo. La sensibilizzazione attraverserà tutto il mondo al motto di ‘Light Up for Mito’: una scia luminosa di colore verde illuminerà la sera del 25 settembre i monumenti e i siti delle città aderenti per dare visibilità a queste patologie e voce alle famiglie che ne sono colpite. Anche la Marina Militare aderisce a tale iniziativa, illuminando di verde i propri edifici e unità navali quale segno di supporto alla ricerca per lo studio e la cura delle malattie mitocondriali.

Mitocon è dal 2007 l’organizzazione di riferimento in Italia per le persone affette da malattie mitocondriali e per i loro familiari, facendo da raccordo tra loro, la comunità scientifica e le istituzioni. La missione è quella di migliorare la qualità della vita delle persone affette da malattie mitocondriali, bambini e adulti, e delle famiglie e rendere concreta la speranza di poter trovare un giorno delle cure definitive.

Nel 2009 Mitocon, con il supporto di Telethon, ha creato il primo Registro dei Pazienti Mitocondriali, al fine di raccogliere informazioni e dati indispensabili per il progredire nello studio di queste malattie. Mitocon si avvale di un Comitato Scientifico composto da 16 dei massimi esperti mondiali di queste malattie. Finanzia la ricerca scientifica e, dal 2017, ha istituito un bando per selezionare progetti di ricerca mirati allo studio di queste patologie. È membro fondatore di International Mito Patients, IMP, network internazionale nato nel 2012 e che oggi riunisce 16 associazioni in 11 paesi e 3 continenti. Un network di oltre 8.000 pazienti e familiari in Italia e nel mondo. Info: www.mitocon.it

La storia di Raffaele

Il sorriso di un angelo di nome Raffaele ci scioglie il cuore come neve al sole. A prima vista non è facile leggere questa frase, ma se si scorge bene allora la si nota. È scritta all’interno di un quadro: a leggerla sono Maria Anna e Stefano, i genitori di Raffaele. Li incontriamo nella loro casa a Firenze. Si sono conosciuti a Napoli, città di origine di Maria Anna, durante uno spettacolo teatrale: oggi vivono nella città toscana in una casa a misura di Raffaele. Lui ha dodici anni ed è affetto da una malattia mitocondriale.

Ci dice Maria Anna:

Raffaele è nato il 22 febbraio 2009, dopo una gravidanza desiderata e normale. Alla nascita pesava più di tre chili e noi eravamo felicissimi.

Una crescita regolare, almeno nei primi mesi. I problemi arrivano con lo svezzamento quando, mangiando poco, cresce poco. Da lì le visite all’ospedale Meyer di Firenze e la rassicurazione, da parte dei medici, che si trattava di una fase passeggera e che tutto sarebbe andato bene.

Continua Maria Anna:

A due anni parlava perfettamente, ma non camminava: al nido stava sempre seduto o in braccio alle maestre. Ci accorgemmo che aveva problemi alla vista e gli mettemmo gli occhiali.

È in quel periodo che un’amica, che aveva lavorato al Meyer, consiglia a Maria Anna e Stefano di andare al Reparto Malattie Rare dell’ospedale.

Presi un appuntamento: Raffaele aveva due anni e tre mesi. Dalle analisi e dalla biopsia muscolare, la dottoressa capì subito che si trattava di una malattia mitocondriale.

La diagnosi

Maria Anna e Stefano tornano a casa e, dopo molte settimane, arriva la diagnosi.

Erano le otto di sera quando mi telefonò la dottoressa del Meyer. Con voce diretta mi disse: ‘La situazione è complicata: abbiamo scoperto che suo figlio ha la sindrome di Leigh. Non sappiamo come e cosa svilupperà, dobbiamo fare altre analisi’.

Quella sera stessa andai su internet per capire cosa fosse e la prima cosa che lessi fu che la prospettiva di vita era di cinque anni. Raffaele aveva due anni e mezzo: in quel momento ci è crollato il mondo addosso.

Le analisi, un primo ricovero dovuto a una bassa saturazione; da lì a poco la rianimazione, l’intubazione, il sondino naso gastrico e la scelta di fare la tracheotomia.

Era pieno di tubi, non potevo abbracciarlo né stringerlo, per cui poggiavo la mia testa alla sua dicendogli che eravamo gemelli siamesi e lui si tranquillizzava.

Dalla rianimazione il trasferimento in reparto dove il piccolo resta un mese: è in quel periodo che Maria Anna e Stefano vengono formati sulla cura di Raffaele che nel mentre, grazie alla fonatoria, ricomincia a parlare.

Il lungo percorso 

La solidarietà di familiari, amici e colleghi rende il ritorno a casa piacevole, ma tutto questo dura poco.

Il 13 agosto 2011 Raffaele ebbe una crisi e andò in coma. Fu ricoverato all’hospice e ci dissero che non ci sarebbe stato nulla da fare.

Restammo lì per due mesi. Raffaele dormiva sempre. Sembrerà assurdo da dire, ma l’hospice del Meyer è stato un posto stupendo: in una situazione dove non esisteva la cura essere accuditi con dolcezza e avere uno spazio nostro ha fatto la differenza.

Dal coma però Raffaele si sveglia:

Non sappiamo nemmeno noi come sia successo. Non aveva alcuna competenza: non vedeva, non parlava, non si muoveva, ma sorrideva. Nel 2012 tornammo a casa con la consapevolezza di essere pronti a tutto. Una casa a misura di Raffale, dove installammo un ascensore per far sì che potesse spostarsi.

Il tempo passa: la situazione di Raffaele comincia a normalizzarsi, ma le difficoltà per Maria Anna e Stefano non finiscono. I genitori di lei, valido supporto, si ammalano e vengono a mancare nell’arco di poco tempo. È proprio pensando a loro, in particolare modo alla mamma, che nel 2015 Maria Anna e Stefano decidono di sposarsi ed è proprio in quell’anno che conoscono Mitocon.

L’incontro con Mitocon

Ci dice Maria Anna:

Abbiamo scoperto Mitocon su internet e fin da subito abbiamo trovato persone con le quali condividevamo una cosa profonda, drammatica, ma naturale.

Abbiamo iniziato un rapporto interlocutorio che ci ha fatto crescere nella relazione con nostro figlio, con la malattia e con la vita.

In quel momento per noi era necessario. Ci hanno supportato nell’assistenza sanitaria e domiciliare, il che mi ha permesso di tornare a lavorare, in modalità smart working.

Sia lei che Stefano lavorano da casa: lui è commercialista, lei si occupa della programmazione teatrale nel circuito regionale toscano. Un lavoro che non nega le piacerebbe fare dal vivo, ma che le condizioni di salute di Raffaele non le permettono. Lavorare, però, ha conferito a entrambi una parvenza di normalità.

La quotidianità di Raffaele 

Raffaele ha bisogno di assistenza 24 ore su 24. La mattina si sveglia alle 9:00 quando arriva l’assistente che lo lava e che insieme a uno dei due genitori lo medica. Poi attraverso la PEG, Gastrostomia Endoscopica Percutanea, gli viene data la colazione. Raffaele mangia tre volte al giorno, pasti altamente proteici che vengono forniti mensilmente dall’Azienda Sanitaria regionale.

Alle 13:00, mentre l’assistente va fuori per pranzo, lui viene messo nel passeggino e scende, grazie all’ascensore installato a casa, con i genitori al piano inferiore. Quando l’assistente torna Maria Anna e Stefano riprendono a lavorare fino alle 18:00.

Quando va via o io o Stefano stiamo con nostro figlio. Poi ceniamo, vediamo la TV e infine torniamo nel piano superiore a dormire. Durante la notte ci alterniamo perché Raffaele come è di giorno è di notte: ha bisogno di essere aspirato e monitorato.

L’assistente è con loro dal lunedì al venerdì, mentre una cooperativa li sostiene con altri operatori per dodici ore a settimana, ma solo per determinate mansioni.

Vivere il Covid-19 

Il Covid-19 non ha modificato nulla della nostra esistenza: noi una situazione di claustrofobia la vivevamo già, così come eravamo attenti alle interazioni di Raffaele con le persone.

Certo le difficoltà sono aumentate: per più di un mese non abbiamo avuto l’assistente o i collaboratori, ma avere Mitocon al nostro fianco è stato importante. È con l’Associazione che abbiamo condiviso anche questa esperienza, le varie paure, ansie e soluzioni. È stata come sempre un punto di riferimento.

La ricerca

Ci dice Maria Anna:

Io e Stefano non abbiamo una prospettiva e una speranza, ma nonostante questo abbiamo fiducia nella ricerca. A volte penso: ma se scoprono una cura e Raffaele guarisce, come faccio a insegnarli a scrivere, a leggere, ad andare in bicicletta ora che ha dodici anni?

E questo pensiero ce l’ho perché so che esiste una ricerca. La conoscenza rispetto a dieci anni fa è cambiata e questo anche grazie al lavoro di sensibilizzazione, di informazione e formazione fatto da Mitocon.

Gli Spazi Rari 

Mitocon ha ideato una piazza virtuale dove pazienti, familiari e caregiver possono incontrarsi tra loro, trovare sostegno a distanza e conoscere medici ed esperti di malattie mitocondriali.

Anche Maria Anna e Stefano vi hanno preso parte, è lei stessa a raccontarcelo:

Alcuni aspetti della malattia li conosci già perché li hai vissuti, ma le cose dette dagli esperti modificano la prospettiva quotidiana. Un genitore che si approccia alla malattia supportato con le giuste parole ha dei validi strumenti.

In questo Mitocon dà speranza a persone come noi che la speranza potrebbero perderla, fa da filtro tra le sofferenze e le possibilità. I genitori da soli creerebbero muri, anziché porte. Mitocon dà la possibilità di non guardare al disastro, ma alla prospettiva di un futuro.

Il futuro

Io per Raffaele non ho nessuna cura. Le sue medicine sono la serenità e l’allegria. A volte penso che molti genitori non hanno avuto modo di conoscere i propri figli perché la malattia è intervenuta prima.

Noi, invece, lo abbiamo conosciuto, lo abbiamo incontrato. È doloroso vedere quello che poteva essere e non è stato, ma facciamo quello che pensiamo lui avrebbe voluto: in questo penso che sia lui a insegnare a noi.

La sindrome di Leigh

È una malattia neurologica progressiva che interessa il sistema nervoso centrale, in particolare il tronco cerebrale e il cervelletto. In genere, si manifesta in bambini di età compresa tra tre mesi e due anni, ma può insorgere anche più tardi. Tra i sintomi vi è un progressivo ritardo dello sviluppo psicomotorio, ipotonia, perdita di appetito, vomito ricorrente, irritabilità, epilessia ed episodi di acidosi lattica. Nella maggior parte dei casi, l’aspettativa di vita è ridotta a pochi anni.

La malattia è causata da difetti nel meccanismo di produzione di energia da parte dei mitocondri. La diagnosi si basa su risonanza magnetica o analisi biochimiche. La diagnosi genetica individua il gene e la mutazione causativa. Al momento non sono disponibili cure risolutive. Nel tentativo di far avanzare rapidamente la ricerca verso la scoperta di trattamenti e potenziali terapie, cinque delle principali associazioni di pazienti affetti da malattie mitocondriali nel mondo si sono unite per formare e finanziare una rete internazionale di ricerca sulla Sindrome di Leigh.

Il Leigh Syndrome Consortium è composto da Mitocon insieme a due organizzazioni statunitensi, la United Mitochondrial Disease Foundation, UMDF, e People Against Leigh Syndrome, PALS, l’australiana Mito Foundation e l’inglese The Lily Foundation.

La storia di Vincenzo

La storia della nostra famiglia inizia tanti anni fa.

L’incipit del racconto di Saverio a Napoli è questo. Da trentanove anni è sposato con Antonella, un colpo di fulmine il loro, una complicità unica dalla quale sono nati due figli: Vincenzo e Angela.

Antonella aveva notato che qualcosa in Vincenzo non andava: aveva un piccolo ritardo psicomotorio. Quando aveva sette anni ci accorgemmo che di notte non vedeva e aveva un andamento atassico.

Facemmo delle visite mediche: dalla risonanza magnetica venne fuori una leggerissima ipoplasia della porzione inferiore del cervelletto e dal fondo oculare la scoperta che aveva la retinite pigmentosa. Per quest’ultima non vi era cura: sarebbe diventato cieco.

La diagnosi

Saverio però non ci sta e vuole una diagnosi migliore.

Nel 1992, un giovane amico medico neurologo mi consigliò di far vedere Vincenzo alla Mayo Clinic a Rochester, in Minnesota, dove studiavano le malattie rare. Mi attivai e a fine novembre di quell’anno andammo negli Stati Uniti dove Vincenzo fu sottoposto a visite specialistiche. I

n quello stesso periodo anche Antonella aveva problemi di vista. I medici in Italia le avevano detto che era dipeso dalla gestosi fulminante avuta durante la gravidanza: nel mentre infatti era nata la nostra seconda figlia, Angela. Le consigliai, visto che eravamo lì, di farsi visitare e scoprimmo che anche Antonella aveva la retinite pigmentosa.

Tornati in Italia dopo un mese ricevono la diagnosi: Sindrome di NARP ovvero Neuropatia Atassia Retinite Pigmentosa dovuta a una mutazione del DNA mitocondriale.

Era la terza negli Stati Uniti, la prima in Italia. Ci spiegarono che la patologia si trasmetteva attraverso il patrimonio mitocondriale, presente nel DNA della mamma, e quindi ci consigliarono di non avere più figli in quanto sarebbero nati tutti malati.

Dalla diagnosi si evidenziava che la mutazione di Vincenzo era elevatissima per cui non avrebbe raggiunto la seconda decade di vita. Vincenzo ora ha trentasette anni e sta benino.

L’origine della malattia

Ci dice Antonella:

Nelle settimane successive alla diagnosi tutta la famiglia di Antonella si sottopone al prelievo di sangue per capire se anche gli altri membri della famiglia potessero essere affetti dalla malattia. A farlo un’équipe di ricercatori di Milano con il risultato che tutto aveva avuto inizio con lei.

All’inizio non è stato facile, pensavo alla vita che avevo dato ai miei figli e mi sentivo in colpa. Poi pian piano mi sono detta che non era colpa mia, che non potevo saperlo e che se cadevo sarebbe stato inutile perché non avrei dato loro il supporto di mamma.

In questo devo ringraziare Saverio per essermi stato vicino: sarebbe potuto andare via e dire sono problemi tuoi. Invece insieme siamo riusciti a formare la famiglia che siamo.

Nessuna delle nostre famiglie mi ha mai abbandonata o lasciata sola, ci sono sempre vicini e adorano Vincenzo. È come se lui desse forza a noi di andare avanti e di superare qualsiasi ostacolo.

Fino a venti anni la vita di Vincenzo trascorre abbastanza tranquillamente, come ci racconta Saverio:

Vedeva un po’, deambulava abbastanza. A scuola aveva ottimi insegnanti di sostegno e lui era la mascotte. Poi i problemi sono peggiorati: ora non vede, fa fatica a parlare e non si muove. Eppure ha un bel carattere: ama stare in compagnia, il pomeriggio deve uscire, fare la passeggiata, mangiare il gelato; il sabato e la domenica vuole andare in barca.

Fino a qualche anno fa in estate, prima della pandemia, facevamo una navigazione da Napoli alla Sardegna. I problemi aumentano e noi aumentiamo il supporto: siamo noi che ci adattiamo alla malattia purché la nostra vita continui e lui sia felice. Vero Vincenzo che sei felice?

Dall’altro lato Vincenzo risponde “Sì”.

Ha detto sì

replica Saverio con gli occhi commossi.

L’incontro con Mitocon

Dopo il ritorno dagli Stati Uniti Saverio conosce Mitocon:

Ci è sempre stata di supporto, ha mappato le malattie mitocondriali e in Europa è diventata un punto di riferimento. Mitocon c’è quando abbiamo bisogno di un consiglio, di un parere di un esperto, di un sollecito lì dove la burocrazia pone ostacoli.

Mitocon c’è stata anche quando la famiglia ha contratto il Covid-19. Saverio e Angela, i primi ad ammalarsi, non hanno avuto sintomi. Diverso per Vincenzo e Antonella entrambi con la polmonite bilaterale interstiziale.

Vincenzo fortunatamente saturava bene, Antonella ha avuto bisogno dell’ossigeno. Grazie a Mitocon sono entrato in contatto con medici ed esperti con i quali abbiamo deciso che li avremmo curati a casa e alla fine ce l’hanno fatta. Eravamo tutti insieme, scherzavamo, abbiamo mangiato di più. Vincenzo era quello più felice di tutti perché ci aveva a casa.

La quotidianità di Vincenzo 

Le giornate di Vincenzo si ripetono tra loro in modo simile. Si sveglia alle 8 per la terapia farmacologica per poi restare a letto fino alle 9:00 quando arriva Niki, il collaboratore indiano, che lo lava e gli fa la barba, a cui tiene molto a detta di Saverio. Poi colazione e alle 10:00 con Titti, la fisioterapista, fa terapia. Alle 11:30 scende nell’ufficio del padre, aiutato da un ascensore presente nel condominio, si siede sulla sua sedia basculante e resta lì per un paio di ore, chiacchierando con i dipendenti.

Alle 13:30 pranza e poi riposa.

Alle 17:00 dopo il caffè vuole uscire con la macchina per andare a Mergellina a prendere il gelato. Una volta a casa aspetta che torni sua cugina Salvatrice per la cena. Infine, va a dormire.

Salvatrice vive con gli zii da sedici anni ed è diventata per Vincenzo, che chiama amorevolmente Billy, un punto di riferimento. È lui stesso a dircelo. Quando gli chiedo come è Sasi, il nomignolo che le hanno dato, mi risponde: “Bella”. Così come mi dice che il suo piatto preferito sono gli spaghetti con i polipetti. Gli piace il caffè e il cono gelato, sempre al caffè. Ama andare in barca e tra mamma e papà vuole più bene alla mamma. È a lei che ogni notte da la mano prima di addormentarsi. Lo guardo e ho la sensazione che ricambi il mio sguardo.

Gli chiedo

Qual è la tua pizza preferita?

Mi risponde

La margherita. E la tua?

Anche io la margherita.

Vincenzo è forte, come dice Sasi:

È attaccato alla vita.

La vita di Angela

A pensare la stessa cosa è Angela, sua sorella. Lei ha ventotto anni. A differenza di Vincenzo la malattia si è manifestata solo nella retinite pigmentosa:

Le difficoltà le incontro se devo scendere uno scalino o leggere qualcosa e le luci sono molto basse, ma vado avanti lo stesso: ho studiato, laureandomi in psicologia, lavoro e cerco di fare tutto quello che farebbe una ragazza della mia età.

Ho fatto danza classica per quindici anni, amo leggere e viaggiare: sono stata anche a New York. Negli anni mi sono fatta forza, non mi sono mai fermata.

Nella quotidianità Angela ha incontrato il supporto di molti:

All’inizio quando ho scoperto della mia malattia non sapevo come avrebbero reagito le persone nel saperlo, per questo lo tenevo nascosto. Ora lo dico e trovo intorno a me molta solidarietà.

Le persone si offrono di aiutarmi: ricordo a danza quando durante i saggi le bambine, anche le più piccole, mi davano la mano e mi guidavano o all’università quando negli esami scritti i professori mi stampavano gli esami con caratteri più grandi.

Avere una malattia mi ha reso maggiormente sensibile rispetto ai bambini con spettro dell’autismo con i quali lavoro.

La vita ha scelto per me anche la facoltà universitaria: l’aver fatto psicologia mi aiuta a mettermi nei panni di chi ho di fronte per aiutarli.

Tra gli obiettivi futuri di Angela l’iscrizione all’albo degli psicologi. Vincenzo, dal canto suo, pensa a quando pomeriggio andrà in barca. Chi della famiglia vuole vivere minuto per minuto il presente e non pensare al futuro è Saverio:

È inutile pensare che sarà. Vincenzo ora è felice, si sveglia e va a dormire sorridendo. Io dico sempre che fin quando fa i capricci sta bene, un domani che non li farà vorrà dire che non starà più tanto bene.

La NARP

La sindrome Neuropatia, Atassia e Retinite Pigmentosa è clinicamente eterogenea, ma spesso è caratterizzata dalla combinazione tra neuropatia sensoriale-motoria, atassia cerebellare e cecità notturna. La sua prevalenza è stimata in circa 1/12.000. La NARP di solito colpisce i giovani adulti ed è una malattia a eredità materna.

La storia di Pietro

Puntini bianchi dentro il campo visivo. Sono questi i primi sintomi che Pietro nota nel 2015.

All’epoca avevo venticinque anni. Ero arrivato a Roma per amore, lavoravo nel settore delle vendite e pensai subito di chiamare la mia famiglia e i medici di fiducia.

Mi dissero che forse avevo preso un colpo di fresco, ma più passavano i giorni più i puntini aumentavano di dimensione e luminescenza. Per questo andai al Pronto Soccorso Oftalmico e si accorsero che avevo il nervo ottico gonfio.

Nessuna diagnosi precisa, fino a quando Pietro decide di recarsi di nuovo in ospedale.

Una doccia gelata quando i medici mi comunicarono il ricovero. Ancora di più doverlo dire ai miei genitori che erano a 700 km di distanza, a Reggio Calabria.

La Leber 

Il ricovero, l’inizio di diversi esami e di infinite diagnosi, i mesi trascorsi nella difficoltà di riuscire a dare un nome a questa malattia, il test genetico e infine la conferma. Pietro scopre di essere affetto da una malattia mitocondriale: la LHON ovvero la Neuropatia Ottica Ereditaria di Leber o Atrofia Ottica di Leber.

L’impatto è stato il più duro della mia vita, mai mi sarei aspettato tutto ciò. Ricordo che un giorno mentre ero in ospedale incontrai nel corridoio il medico e gli chiesi: ‘Dottore, mi dica è grave?’
Lui mi rispose: ‘Sì, la situazione è molto seria’.

Fu in quel momento che iniziai a essere consapevole della gravità della malattia. Mi chiedevo cosa avrei fatto o come sarebbe stata la mia vita a livello lavorativo o di autonomia.

Ero consapevole che le cose che fino a quel momento facevo non sarei stato più in grado di farle. Mi affacciavo al mondo della disabilità, della cecità: un mondo a me sconosciuto.

Pietro trova la forza di reagire nelle cose importanti della vita: la famiglia, gli amici, la fede.

Sono state le mie ancore. Da allora ogni cosa è cambiata, ma come amo dire: ‘La malattia ti chiude gli occhi, ma ti apre quelli del cuore e ti fa vedere le cose con una sensibilità diversa’.

La quotidianità

Scotoma: è questo il nome scientifico del pallore che giorno e notte Pietro ha davanti a sé.

Quello che mi rimane è un residuo periferico. Per il resto sfrutto al massimo gli altri sensi: l’udito, il tatto, l’olfatto. Impiego tanta forza d’animo e ho il supporto della tecnologia che negli ultimi anni ha fatto passi da gigante: per me utilizzare smartphone, pc e tablet è all’ordine del giorno. Ci sono poi App che ci aiutano nella lettura dei testi.

Pietro vive solo, cucina, pulisce casa con l’aiuto di un robot che comanda a voce, così come a voce decide l’intensità delle lampade.

Il problema c’è, ma vado avanti con quello che mi è rimasto. Il mio è un mondo diverso, ma bello che mi permette di fare cose che persone non vedenti prima di me non potevano fare.

Eppure le difficoltà non mancano. Sono quelle che incontra nella ricerca di un lavoro o nel muoversi in una città grande come Roma, dove le barriere architettoniche e la poca sensibilità di alcuni rendono le giornate difficili.

L’incontro con Mitocon

Sentirsi soli è bruttissimo, specie nel caso di malattie rare come quelle mitocondriali. Essendo una malattia particolare e variabile è difficile anche per noi che la viviamo spiegarla. La cosa importante è circondarsi di persone che ti vogliono bene.

Avere una malattia è stato per me un banco di prova: persone che prima della malattia c’erano, a distanza di tempo sono scomparse. Altre invece sono state sempre presenti, sono quei pilastri sentimentali che mi hanno spronato a lottare sempre di più.

Nella ricerca di associazioni invece ho conosciuto Mitocon: per noi pazienti è un pilastro di speranza. L’associazione non ci fa sentire soli, organizza tantissimi eventi e congressi con scienziati che infondono fiducia con la ricerca.

Non a caso durante gli Spazi Rari, gli incontri virtuali organizzati da Mitocon, Pietro si è sentito capito perché ha condiviso i suoi sintomi, difficoltà e aspetti di vita quotidiana con persone che come lui sono malati mitocondriali. Gli Spazi Rari sono stati uno strumento importante anche durante la pandemia da Covid-19.

È stato un anno particolare per tutti, tra i più brutti della storia. Siamo esseri umani, portati alla socializzazione e il lockdown non ha aiutato. Per questo gli incontri virtuali sono stati di supporto e di incoraggiamento.

Di cuor mio dico grazie a Mitocon per quello che ha fatto e che fa per noi. Grazie a questa rete, sono entrato in contatto con i medici del centro di riferimento del San Camillo di Roma e dell’ospedale Bellaria di Bologna, che hanno preso in cura il mio caso e mi hanno fatto sentire protetto.

Il futuro 

Pietro vive il suo presente dedicandosi a diverse passioni come il calcio per non vedenti, il ballo e la tecnologia. Del passato gli manca vedere il volto di suo nipote, nato quando gli fu diagnosticata la malattia, così come quello dei suoi genitori e di sua nonna:

Mi manca vedere un loro sorriso, quello capace di rincuorare, di cambiarti la giornata e di farti vivere a pieno tutto.

Se pensa al futuro:

Mi auguro che la ricerca vada avanti e che le malattie mitocondriali siano sempre più conosciute. A livello lavorativo che ci sia un cambio di rotta. Nel 2021 le cose che un non vedente può fare sono tante. Noi non siamo un peso, ma una risorsa.

La Neuropatia Ottica Ereditaria di Leber – LHON – L’acronimo LHON sta per Leber’s Hereditary Optic Neuropathy, Neuropatia Ottica Ereditaria di Leber o Atrofia Ottica di Leber. Nella LHON il nervo ottico è particolarmente vulnerabile ai difetti del metabolismo mitocondriale per l’alta richiesta energetica e la necessità di mantenere la trasparenza della retina alla luce.

L’insorgenza del disturbo visivo avviene in modo acuto prevalentemente nella tarda adolescenza o nella prima età adulta con andamento peggiorativo nel tempo. Poiché la LHON è dovuta a mutazioni del DNA mitocondriale viene ereditata solo in linea materna. La madre può trasmettere la malattia inconsapevolmente, perché può essere portatrice asintomatica del difetto genetico.

Negli anni sono state scoperte oltre alle tre mutazioni classiche, responsabili della maggior parte dei casi di LHON, circa il 90%, anche mutazioni più rare del DNA mitocondriale che hanno per effetto la perdita della vista centrale tipica della LHON. La LHON ha una prevalenza variabile di 1/25.000 a 1/50.000 ed in generale è più frequente nel genere maschile.

Mitocondri e malattie mitocondriali

Cosa sono i mitocondri

Sono organelli microscopici presenti in grandi quantità all’interno delle cellule. Sono considerati le centrali energetiche degli organismi. Al loro interno infatti avvengono quei processi biochimici, respirazione mitocondriale, che forniscono alle cellule l’energia di cui hanno bisogno per tutte le loro funzioni vitali. Il più importante tra questi processi è la fosforilazione ossidativa.

Cosa sono le malattie mitocondriali 

Sono un gruppo molto eterogeneo di patologie ereditarie causate da alterazioni nel funzionamento dei mitocondri. Sono malattie gravi, spesso a prognosi infausta, soprattutto nelle forme a esordio in età infantile. Presentano notevole variabilità clinica per quanto riguarda l’età d’insorgenza, il tipo di evoluzione e i tessuti coinvolti.

La caratteristica comune è l’intolleranza agli sforzi, il facile affaticamento e l’accumulo di acido lattico nei tessuti muscolari quando la respirazione mitocondriale è insufficiente.

Come si manifestano

Le malattie mitocondriali sono un gruppo di disturbi dovuti a disfunzione della catena respiratoria. Gli effetti delle mutazioni che colpiscono i complessi della catena tendono a essere multisistemici, cioè a interessare diversi organi e tessuti dell’organismo, in maniera non sempre prevedibile e quantificabile.

Una peculiarità di questo gruppo di malattie, che ne ha reso difficoltoso lo studio nel corso degli anni, è la variabilità delle manifestazioni cliniche. Nonostante queste dipendano da un’inadeguata produzione di energia cellulare, la ripercussione a carico degli organi, la velocità di progressione e l’età di insorgenza della malattia variano notevolmente sia da malattia a malattia sia da paziente a paziente, anche all’interno di una stessa famiglia.

I sistemi più frequentemente interessati sono l’apparato muscolare e il sistema nervoso centrale e periferico, ma possono essere coinvolti, con variabile gravità di interessamento e in diverse combinazioni, anche le vie visive e uditive, il sistema gastroenterico, i reni, il fegato, il sistema endocrino, il sistema cardiocircolatorio e il sistema ematopoietico.

Come si trasmettono

Una parte delle malattie mitocondriali segue le regole dell’eredità mendeliana. Per le altre si parla di eredità mitocondriale, il che significa che possono essere trasmesse ai figli solo dalla madre. Gli spermatozoi non forniscono infatti alcun mitocondrio all’atto della fecondazione. I mitocondri provengono esclusivamente dalla cellula uovo e sono, quindi, di origine materna. I mitocondri contengono al loro interno del DNA che serve alla fabbricazione di molti dei loro componenti.

In condizioni normali tutto il DNA mitocondriale di un individuo è omogeneo. L’insorgenza di una mutazione può portare alla presenza contemporanea di due DNA mitocondriali diversi. Quando il genotipo mutato prende il sopravvento su quello “selvatico” si può avere la comparsa della malattia. Per questo, la maggior parte delle malattie mitocondriali si manifestano in età adulta e presentano un’ampia variabilità clinica anche all’interno di una stessa famiglia.

I diversi tipi

Dal punto di vista medico-scientifico la classificazione più utilizzata delle malattie mitocondriali è quella genetica. Il limite principale di tale classificazione riguarda il fatto che non in tutti i pazienti con malattia mitocondriale si riesce a giungere a una diagnosi genetica precisa.

Si distinguono due grandi gruppi nosologici, a seconda che il difetto genetico sia localizzato nel DNA mitocondriale “mtDNA”, quadri clinici sporadici o a ereditarietà matrilineare, o nel DNA nucleare “nDNA”, quadri a ereditarietà autosomica, cioè secondo le regole mendeliane.

Il sostegno alla ricerca

Una cura alle malattie mitocondriali non esiste. Per questo Mitocon a partire dal 2011 ha stanziato oltre un milione di euro al sostegno di progetti di ricerca di base, al fine di migliorare la comprensione dei meccanismi di funzionamento dei mitocondri, e di ricerca applicata, per sviluppare nuove terapie.

Una delle finalità principali dell’organizzazione è infatti quella di promuovere attività di ricerca scientifica e di studio finalizzate allo sviluppo delle conoscenze scientifiche e mediche per la cura delle malattie di origine mitocondriale, identificando e finanziando progetti di ricerca sia a livello nazionale che internazionale e promuovendo una collaborazione nazionale e internazionale per le patologie.