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Genio familiare e genio dei luoghi

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Genio


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Nel mondo romano e greco si credeva vi fossero geni legati ai luoghi, “spiriti dei luoghi”, altri geni legati alla stirpe e alla casa e un daimon, uno “spirito guida”, assegnato a ogni essere umano. Di quest’ultimo parla ad esempio Platone nel mito di Er, nella Repubblica.

Nell’antica Roma geni legati alla famiglia, agli antenati e alla casa erano ad esempio Lari e Penati e il Genius della famiglia, a cui era dedicato un culto particolare. Per ciò che riguarda il daimon individuale, oggi parleremmo di “destino psicologico” in senso junghiano, della “ghianda” di Hillman o dell’entelechia dello psicanalista Ernst Bernhard.

In ogni caso, il termine genius, da gignere, è legato alla vis generandi che caratterizza una famiglia o un individuo, a forze di natura sovra individuale che ne orientano il destino grazie a un rapporto fecondo con la morte, gli spiriti degli antenati ed altre entità sovrasensibili legate alla storia e al carattere di quella stirpe.

Cercare un contatto con il Genius familiare attraverso preghiere, offerte e riti dava ai vivi l’impressione di attingere linfa alle radici del proprio ghenos, stabilendo un contatto fecondo con l’esperienza secolare degli antenati. Quella linfa, si credeva, avrebbe conferito senso e continuità alle generazioni dei discendenti.

Fino a tutto il Rinascimento una delle forme assunte dalla spiritualità è stata il culto degli antenati, la consapevolezza di una missione o di un carattere che si era chiamati ad incarnare in quanto appartenenti ad una data famiglia. Lo stemma e il motto che appaiono in araldica dovevano avere tale funzione, ma queste antiche concezioni hanno oggi più l’aspetto di reperti archeologici.

Il culto degli antenati è piuttosto vissuto in senso devozionale. La ricerca di un senso per la propria vita, di un destino psicologico, è per lo più una ricerca individuale, delegata a volte all’analisi, a volte al rapporto con una istituzione religiosa, a volte ad una faticosa ricerca personale. Ogni individuo concepisce se stesso come una monade, scollegata dalla storia e dal destino di chi lo ha preceduto.

Il Genio dei luoghi era invece concepito come il loro aspetto invisibile, che faceva da contraltare all’apparenza fisica.

Si trattava di una essenza sottile che caratterizzava “quel” luogo e solo quello, spesso “personificata” da un’entità non umana; nel mondo romano si trattava di satiri, panische o ninfe dei luoghi, nelle mitologie nordiche di elfi, coboldi, fate, o gnomi.

L’immaginazione umana ha da sempre popolato montagne, boschi, campagne, laghi, fiumi, vallate, alberi, burroni, di creature invisibili dotate di poteri magici, che vegliano da secoli su quei luoghi.

Ninfe, Satiri, Coboldi, Elfi, Fate e Gnomi sono protagonisti di innumerevoli fiabe e leggende, tramandate di generazione in generazione e narrate accanto al fuoco durante l’inverno o, nelle stagioni più miti, sotto il cielo stellato.

I Romani disponevano di una vera e propria tassonomia di queste creature invisibili.

In particolare per ciò che riguarda le Ninfe: oltre a quelle note dai miti, Eco, Calypso, Egeria, Circe, Arethusa, etc., potremmo ricordare Oceanine e Nereidi, mare, Potameidi, Creneidi, fiumi, fonti, Naiadi, fiumi, laghi, sorgenti, Oreadi, monti, Alseadi, boschi, Driadi e Amadriadi, alberi, Auloniadi e Napee, burroni e valli, Agrostine, campi, Avernali, mondo dei morti, Epigee, ninfe terrestri, Aurae, dell’aria, Nefele e Asteriae, figlie di Atlante, nuvole, Esperidi, figlie di Vespero, la stella della sera, custodiscono il giardino che da loro prende il nome, in cui crescono le mele d’oro che rendono immortali, Lampadi, ninfe infernali, Tiadi, menadi, baccanti, Curae, nutrici di neonati.

Per ciò che riguarda le città, ognuna aveva una sua divinità tutelare che vegliava sulle sue sorti e ne proteggeva le mura.

Ci racconta ad esempio Macrobio:

È noto che tutte le città si trovano sotto la protezione di un dio. Fu usanza dei Romani, segreta e sconosciuta a molti, che quando assediavano una città nemica e confidavano ormai di poterla conquistare, ne chiamassero fuori gli dèi protettori con una determinata formula di evocazione; e ciò perché ritenevano di non potere altrimenti conquistare la città o, anche se fosse possibile, giudicavano sacrilegio prendere prigionieri gli dèi.
Saturnalia, III, 9, 1-15

Questo è anche il motivo per cui i Romani vollero che rimanesse ignoto il dio sotto la cui protezione è posta la città di Roma e il nome segreto della città stessa.

Possiamo far rifermento, ad esempio a M. De Martino, L’identità segreta della divinità tutelare di Roma; N. Iannelli, Misteri e culti segreti dell’antica Roma e G. Ferri, Il significato e la concezione della divinità tutelare cittadina nella religione romana.

Plinio, Naturalis Historia, III 6), Solino, De mirabilibus mundi, I, 4-6, Giovanni Lido, De mensibus, IV, 50, e Plutarco, Quaestiones romanae, 61, narrano della condanna a morte di Valerio Sorano per aver tradito l’arcanum e pronunciato il nome segreto del Genius loci della città di Roma. C’era addirittura una dea, Angerona, forse un equivalente romano di Arpocrate, preposta al mantenimento del silenzio.

Per ciò che riguarda il nome segreto di Roma, secondo il poeta Giovanni Laurentio Lido, studioso bizantino neoplatonico del sesto secolo, De mensibus, IV, 50, fu Romolo a conferire il nome segreto alla città e Roma, nome politico e noto a tutti, avrebbe avuto altri due nomi: uno iniziatico, Amor e uno sacro, Flora, questa tesi fu ripresa da Giovanni Pascoli nella poesia che compose in occasione del Natale di Roma del 1911.

Prudenzio ridicolizza l’uso romano di assegnare un Genius loci ad ogni angolo di Roma, ma Servio Mario Onorato, nel suo Commento all’Eneide ribadisce che non esiste luogo che ne sia privo.

La mentalità moderna ha “laicizzato” l’idea di Genius loci; a esempio, Christian Norberg – Schulz lo considera una proiezione dell’identità umana, che si manifesta come appartenenza ai luoghi che ci danno benessere. Come lo stesso Schulz afferma in Genius Loci: Towards a Phenomenology of Architecture.

In architettura è stato definito come una forma di salute dell’anima, che consiste nel riconoscere e rispettare il carattere ambientale, l’essenza di un luogo, nel progettare e innalzare nuovi edifici. Ad esempio, per Frank Lloyd Wright una casa non deve mai essere “su” una collina, ma “di” una collina.

Dal punto di vista filosofico, per Pierre Hadot, Le Voile d’Isis, Essai sur l’histoire de l’idée de nature, la sopravvivenza degli antichi dei, anche se solo in senso poetico, ha consentito fino ad oggi una sopravvivenza dell’anima, del Genius loci dei luoghi.

Invece, per James Hillman gli dei, una volta sprofondati nell’inconscio, divengono una fonte infinita di guai, paranoie e disturbi gravi della personalità, perché l’averli rimossi dalla coscienza collettiva corrisponde ad aver negato aspetti e istanze fondamentali dell’anima. Come fa rilevare in La vana fuga dagli dei; L’anima del mondo e il pensiero del cuore; L’anima dei luoghi, conversazione con Carlo Truppi

Per ciò che riguarda specificamente l’entità Genius Loci, Georg Wissowa la associa alla forza generativa, Rudolf Otto la vede come uno spirito guardiano e secondo Theodor Birt e Georges Dumezil, il Genius sarebbe la forma animata e sottile dell’insieme fisico e morale di ciò che è appena nato e che viene all’esistenza assieme a ciò che nasce.

Gli aspetti della modernità che hanno profondamente modificato il rapporto dell’uomo con la spiritualità sono legati alla desacralizzazione del mondo e alle conquiste tecnologiche, che hanno annullato le distanze spaziali e le differenze tra cultura e cultura, luogo e luogo. Ogni evento, ogni produzione culturale, l’immagine di ogni luogo, sono potenzialmente ubiqui ed esportabili ovunque.

Questa indefinita riproducibilità, oltre a distruggere i diritti di autore degli artisti, come osservava Walter Benjamin In L’Opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica:

distrugge l'”aura”, l’unicità, l’hic et nunc degli eventi e delle produzioni culturali

e persino dei luoghi.

Il valore di un luogo per chi lo visita deriva anche dal percorso che ha condotto fin lì il viaggiatore, dalla storia con cui quel luogo “gli viene incontro”, dal modo in cui “parla” alla sua anima.

Ridurre i luoghi a cliché, a status symbol, a trofei da esibire attraverso un selfie, per dimostrare al mondo che si è stati anche ““, significa invertire completamente il rapporto che lega il viaggiatore al luogo visitato e uccidere l’anima dei luoghi, il loro Genius: è il luogo ad essere divenuto memorabile perché ci siamo passati noi, anziché essere noi a trarre linfa vitale dall’aver visitato quel luogo.

Inevitabilmente, quel luogo non avrà più nulla da dirci.

Per approfondimenti vi invito a leggere il mio libro Genius familiaris, Genius loci, Eggregori e Forme pensiero.

Autore Alessandro Orlandi

Alessandro Orlandi (1953) matematico, museologo, curatore per 20 anni dell'ex museo kircheriano, musicista, saggista ed editore della Lepre edizioni, è autore di numerosi articoli e libri riguardanti la matematica, la museologia scientifica, la storia delle religioni, la tradizione ermetica, l’alchimia, le origini del Cristianesimo e i Misteri del mondo antico.