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Intervista a Silvio Orlando, Premio alla Carriera al SWFF 2021

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Silvio Orlando


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‘Eternamente grato a Paolo Sorrentino per il Cardinale Voiello’

Quando pensi a Silvio Orlando ti vengono in mente dai quindici ai venti film che hanno caratterizzato la storia del Cinema italiano degli ultimi 35 anni.

Attore feticcio per Nanni Moretti, Daniele Luchetti, alter ego meridionale del compianto Mazzacurati, e poi l’amico Salvatores con cui ha esordito in ‘Kamikazen’, Virzì, Pupi Avati, Sergio Citti, Antonietta De Lillo, Antonio Capuano, Piccioni, Calopresti, Gaudioso, Paolo Sorrentino: basterebbe elencare i titoli della sua filmografia e i registi con cui ha lavorato per sintetizzare la qualità del lavoro fin qui svolto da Silvio Orlando.

Quest’anno il Social World Film Festival di Vico Equense, giunto all’undicesima edizione, nella persona del suo direttore Giuseppe Alessio Nuzzo ha deciso di tributare l’attore napoletano con il Golden Spike Award, il Premio alla Carriera. Per l’occasione Orlando ha trascorso qualche giorno in costiera sorrentina ed incontrarlo è stata una rivelazione più che una conferma.

Appena arrivato a Vico mi sono reso conto di una cosa che non ricordavo: da qui si ha tutta un’altra prospettiva del Vesuvio.

Gli abitanti della costiera, le persone di passaggio, non vedono il vulcano come è conosciuto in tutto il mondo, con la facciata riportata nelle cartoline, nelle immagini televisive, quella celebre che si gode dal Golfo di Napoli.

Da qui è come si vedesse il lato sconosciuto del Vesuvio, quello che non ti aspetti, che neanche pensi esista.

E questa immagine mi ha fatto capire che il Cinema deve avere come obiettivo esattamente questo: riuscire a raccontare le cose da un’altra prospettiva, da più punti di vista.

L’umanità è come se fosse una piramide e alla ribalta viene sempre la punta, mentre è fondamentale narrare, mostrare ciò che avviene più in basso, bisogna partire sempre dalla base delle cose.

Coppa Volpi per ‘Il papà di Giovanna‘ di Pupi Avati; David di Donatello e Ciak d’oro per ‘Aprile‘ di Nanni Moretti; David di Donatello, Nastro d’Argento e Ciak d’Oro per ‘Il caimano‘ di Nanni Moretti; Nastro d’Argento per ‘Preferisco il rumore del mare‘ di Mimmo Calopresti; Globo d’Oro per ‘Sud‘ di Salvatores. Tanti riconoscimenti ma per la prima volta arriva un Premio alla Carriera. Cosa ha pensato quando ha ricevuto questo invito?

Dovevo venire già lo scorso anno, ad ottobre, ma il Covid-19 mi ha bloccato, perché giravo ‘Il bambino nascosto’ di Roberto Andò qui a Napoli e la produzione non mi fece muovere per paura del virus.

Prima di tutto avevo avvisato il Direttore Nuzzo che se mi avessero dato il Premio sarebbe venuto a piovere e, infatti, così è stato. Sono contento, grato di questo primo riconoscimento alla mia carriera.

Manco a farlo apposta dall’anno scorso sono in pensione dopo decenni di contributi versati allo Stato, per la prima volta prendo uno stipendio fisso mensilmente. Io sono prevalentemente un attore di Teatro prestato ogni tanto al Cinema, ma posso dirmi soddisfatto del lavoro fatto finora.

Siamo alla Mostra Internazionale del Cinema Sociale. Cinema Sociale: che cosa significa per lei e quanto ha influito nel suo lavoro?

Uno dei miei primi lavori è stato ‘Il portaborse’ di Daniele Luchetti e credo quel tipo di storia faccia parte del Cinema Sociale.

La maggior parte dei film che ho fatto partivano da problematiche sociali, i ruoli che ho interpretato li ho scelti prevalentemente perché mi interessava poter raccontare delle persone che si potessero ritrovare nella vita reale, oppure che potessero evidenziare questioni irrisolte, spinose della società in cui viviamo.

Gli ultimi film che ho girato, ‘Il bambino nascosto’, di Roberto Andò, ‘Siccità’, di Paolo Virzì, e ‘Ariaferma’, di Leonardo Di Costanzo, rappresentano emblematicamente questo tipo di scelta lavorativa, che non significa non fare altro ma cercare il più possibile di dedicarsi ad un certo tipo di Cinema.

A proposito di ‘Ariaferma‘, c’è molta curiosità riguardo quest’opera: due tra i più grandi attori italiani come Silvio Orlando e Toni Servillo insieme per un film su un argomento scottante come quello della detenzione, ancor più discusso dopo i pestaggi avvenuti nel penitenziario di Santa Maria Capua a Vetere (CE).

Non avevo mai lavorato con Toni Servillo. Prima o poi doveva capitare questo derby Napoli – Caserta. Sono molto contento di aver lavorato in questo film: rientra senza dubbio nel cosiddetto Cinema di impegno civile… e ce n’è sempre bisogno di Cinema di questo tipo.

Leonardo Di Costanzo è un regista rigoroso, è un documentarista che riesce a fondere nei film di finzione le due metodologie narrative anche lì dove pare impossibile farlo.

‘Ariaferma’ è un film sul carcere, su un universo umano che ingiustamente si considera condannato alla punizione eterna; mentre lo scopo della prigione dovrebbe essere riabilitativo non vendicativo.

Si ha un’idea distorta nella società contemporanea del senso di condanna: persino il nascere, il crescere in un determinato posto del mondo, in un quartiere specifico di una città viene considerata una condanna che ti segna e la società, l’opinione pubblica, ti bolla e quindi preferisce non fare i conti con le problematiche sociali e dare per scontato il percorso di vita di alcuni esseri umani.

E se ci riflettete avviene così anche con i carcerati, condannati dalla giustizia a scontare una pena per un reato, dalla società sono condannati ad un fine pena mai… esseri umani che è inutile provare a recuperare. E una società che pensa questo non può dirsi civile e ne paga le conseguenze.

Nella sua carriera ha lavorato con molti registi, con alcuni più volte tanto da vederli crescere non solo anagraficamente ma anche professionalmente. Prima ha definito Leonardo Di Costanzo “rigoroso” e quindi mi viene spontaneo chiederle: qual è stato il regista più esigente con cui ha lavorato? Non per forza in senso negativo, esigente inteso magari come stimolante.

Alcuni registi li ho visti cambiare in peggio! Scherzo, con l’età si diventa tutti più burberi. Allora io ho esordito con ‘Palombella rossa’ – ‘Kamikazen’ è stato un esperimento tra amici – e dopo quell’esperienza, dopo tutto ciò che ho visto durante quelle riprese ho pensato per anni che non fosse possibile vedere altro.

Poi invece è arrivato Paolo Sorrentino… e ho detto tutto! Il non plus ultra! È stata come la chiusura di un cerchio: ‘The young Pope’ e ‘The new Pope’ sono state di una fatica inaudita, come girare due film di sei mesi ciascuno.

Il Cardinale Voiello che lei ha interpretato nelle due stagioni della serie diretta da Paolo Sorrentino è diventato un personaggio iconico, addirittura quello che nell’immaginario collettivo ha soppiantato per apprezzamento e popolarità i protagonisti, i due Papi interpretati da Jude Law e John Malkovich.

Io penso che sarò eternamente grato a Paolo Sorrentino per il dono che mi ha fatto scegliendomi per interpretare il Cardinale Voiello, per come lo ha inquadrato e per ciò che ha scritto per lui.

Credo di aver recitato in questo ruolo le scene più emozionanti della mia carriera, ho pronunziato le parole che ogni attore vorrebbe dire nel suo lavoro… e le ho dette in inglese e un po’ in napoletano.

Era la prima volta che recitavo totalmente in inglese e avevo al mio fianco alcuni tra i più grandi attori europei e due fenomeni come Jude Law e John Malkovich… è stato straordinario, stimolante, commovente in alcuni casi.

In uno dei suoi ultimi film, ‘Lacci’ di Daniele Luchetti, il suo personaggio dice che per far durare molto una relazione d’amore bisogna parlare poco. Lo pensa anche lei?

Diciamo che questa frase fa parte del lato cinico di Domenico Starnone, l’autore del romanzo da cui è tratto il film e che avevo già portato in teatro come altre opere di Starnone.

Ad ogni modo, questa è una domanda che andrebbe fatta a mia moglie – l’attrice napoletana Maria Laura Rondanini – che non è esattamente una persona taciturna… ma in realtà ne sono contento… non so come riuscirei a fare a meno dei nostri litigi. Oltretutto, quando discutiamo animatamente lo facciamo in napoletano.

Ritorno a Napoli, ritorno a casa?

Con le tournée teatrali faccio sempre tappa a Napoli, mentre raramente ho girato film in città. Infatti mi ha fatto piacere lavorare alla Sanità nel 2020 per le riprese di ‘Il bambino nascosto’ di Roberto Andò.

Il ritorno a Napoli mi fa sempre piacere mi dà emozione… e mi provoca puntualmente una strana sensazione: rientrare nel ventre materno con la consapevolezza e l’esigenza di doverne comunque uscire prima o poi.

Autore Paco De Renzis

Nato tra le braccia di Partenope e cresciuto alle falde del Vesuvio, inguaribile cinefilo dalla tenera età… per "colpa" delle visioni premature de 'Il Padrino' e della 'Trilogia del Dollaro' di Sergio Leone. Indole e animo partenopeo lo rendono fiero conterraneo di Totò e Troisi come di Francesco Rosi e Paolo Sorrentino. L’unico film che ancora detiene il record per averlo fatto addormentare al cinema è 'Il Signore degli Anelli', ma Tolkien comparendogli in sogno lo ha già perdonato dicendogli che per sua fortuna lui è morto molto tempo prima di vederlo. Da quando scrive della Settima Arte ha come missione la diffusione dei film del passato e "spingere" la gente ad andare al Cinema stimolandone la curiosità attraverso i suoi articoli… ma visto i dati sconfortanti degli incassi negli ultimi anni pare il suo impegno stia avendo esattamente l’effetto contrario. Incurante della povertà dei botteghini, vagamente preoccupato per le sue tasche vuote, imperterrito continua la missione da giornalista pubblicista.