Tra vanità ascritte e capacità acquisite
Tra i concetti centrali della sociologia troviamo quelli di Status e Ruolo, che spesso, nel linguaggio comune, vengono confusi, quasi usati come sinonimi; per cui, innanzitutto, cominciamo a definirli.
Per Status si intende la posizione che un individuo occupa in un sistema sociale, soprattutto in rapporto alla collocazione degli altri attori. Lo status può essere relativo sia al singolo individuo che ad un gruppo.
Rispetto alla classe, ha un carattere più spiccatamente comunitario, come precisa anche lo stesso Weber.
In contrast to classes, status groups are normally communities. They are, however, often of an amorphous kind. In contrast to the purely economically determined “class situation” we wish to designate as “status situation” every typical component of the life fate of men that is determined by a specific, positive, or negative, social estimation of honor…. But status honor need not necessarily be linked with a “class situation.” On the contrary, it normally stands in sharp opposition to the pretensions of sheer property…
Max Weber – Economy and society
Per Ruolo, invece, si intendono tutti quei comportamenti socialmente attesi relativi alla stessa posizione occupata, l’antropologo Ralph Linton ne parla come la parte dinamica di questa.
Ad esempio, da un medico ci si aspetta che curi le persone, o almeno ci provi.
Naturalmente, la rigidità dei Ruoli è altamente variabile, in base agli Status ai quali sono collegati.
Più lo Status è specifico, più il Ruolo è definito.
Un’altra distinzione è quella tra Status ascritti ed acquisiti.
I primi sono presenti già dalla nascita; possiamo far riferimento al sesso o all’ereditare un titolo nobiliare.
I secondi sono quelli che ci si costruisce durante la propria esistenza.
Nasco principe, divento ingegnere.
La differenza è soprattutto nelle capacità.
Le ‘rendite’ ereditate non presuppongono nessuna particolare qualità.
Lo Status è uno degli elementi della stratificazione sociale, può comportare una serie di privilegi o di risvolti negativi, ed è indubbiamente legato ad un diverso prestigio, quello che, come abbiamo visto, Weber definisce social estimation of honor.
Da questa dicotomia, a discesa, ne derivano altre.
La prima è quella tra sistemi totalitari, in particolare aristocratici, e quelli democratici.
Gli Status ascritti sono propri della nobiltà, dei re, tali per diritto di nascita e divino.
Quelli acquisiti, invece, basandosi su sistemi che sulla carta dovrebbero essere meritocratici, sembrano più un connotato dello stato moderno.
All’onore, proprio dell’Ancien régime si contrappone il concetto di dignità.
Abbiamo, dunque, due sequenze.
Status Ascritti – Ancien régime – Onore.
Status acquisiti – Stato moderno – Dignità.
Si tratta, in entrambi i casi di una dimensione relazionale.
Il prestigio di cui parlavamo, le modalità positive o negative attraverso le quali è socialmente percepito un individuo o un gruppo, della legittimazione di questo prestigio, di questa percezione.
Perché un nome, un volto, una categoria sono visti con deferenza o in modo ostile?
Amati o odiati.
Adorati o vituperati.
Per quanto riguarda l’onore, come dicevamo, non vi è nessun merito.
Questo bene eminente che chiamiamo onore consiste, per ciascuno di noi, nella persuasione più o meno forte e condivisa da noi e da un numero più o meno grande e più o meno prossimo di persone che ci circondano, che noi valiamo molto, non solo per i servizi che possiamo rendere come mezzo di lavoro o di piacere, ad esempio come funzionario o come artista, come industriale o come uomo di mondo, bensì in virtù della nostra stessa esistenza, giudicata degna di essere e di durare.
Gabriel Tarde – Le Duel
C’è, dunque, un aspetto di sacralità. Il precedente riferimento a chi si proclamava re per diritto divino non era, ovviamente, casuale.
L’onore, molto spesso, porta con sé una certa dose di violenza. Quella dei regimi totalitari. Se non controllato con la paura il popolo potrebbe pensare addirittura di non avere nulla in meno rispetto al sovrano.
Specialmente se questo popolo ha il volto della borghesia illuminata che ha partorito i valori della Rivoluzione francese.
Si tratta, in qualche modo, di una visione secolarizzata, desacralizzata del prestigio.
Ad un concetto dell’onore legato al lignaggio o al patrimonio, intesi come fattori ascritti, familiari, si contrappone una più individuale dignità, non ereditata, ma costruita; non per i natali, ma di merito.
L’uomo ‘d’onore‘, non a caso, come terminologia, porta oggi immediatamente alla mente gli affiliati ad organizzazioni mafiose, ha un nome da difendere, una faccia da sottrarre agli oltraggi, attraverso un duello o un delitto riparatore.
L’uomo ‘di dignità’, invece, spesso cammina sulle gambe delle idee, ha quelle da difendere, con la forza delle sue argomentazioni e del suo talento.
Sebbene non possiamo considerare l’onore estinto, tantomeno lo possiamo archiviare come mera ‘sopravvivenza’.
Una società fondata sulla dignità dovrebbe essere meritocratica e caratterizzata da una buona mobilità sociale.
Dovrebbe essere il talento o l’assenza dello stesso ad avere come conseguenza Status più o meno ambiti e ricompensati.
Ma il mondo occidentale ha una mobilità sociale sempre più ridotta.
Specialmente l’Italia, come abbiamo più volte scritto, si caratterizza per una cultura antimeritocratica, dove la dignità è definitivamente smarrita.
Dove imperano caste e signorotti.
Una sorta di sistema feudale mascherato, dove ricchezze e diritti di casata consentono l’egemonia su feudi non dichiarati.
Un nuovo medioevo dove imperano nepotismi e clientelismi.
Dove la legittimazione non si fonda sempre, o forse non si basa quasi mai, sull’onore, ma sull’arroganza e la violenza spogliate di ogni forma sacrale, morale ed etica.
In un mondo sempre più secolarizzato non ci sono dei da cui far discendere la propria posizione.
Non ci sono facce da salvare, in un duello all’ultimo sangue, piuttosto ‘bravi’ per intimidire.
La società è controllata
fra la miseria vera e la falsa nobiltà
Eduardo Scarpetta – Miseria e nobiltà
con metodologie sempre più prevaricatorie e vigliacche.
Non è un caso nemmeno che dalla fondazione di ExPartibus nel piè di pagina ci sia il video di una canzone di Guccini.
In parecchi di quei versi c’è la reazione del ‘povero cadetto di Guascogna’, che per conservare la propria dignità non ha altro modo di ricorrere, metaforicamente, alla spada.
E, concretamente, alla penna.
Venite pure avanti, voi con il naso corto
Signori imbellettati, io più non vi sopporto
Infilerò la penna ben dentro al vostro orgoglio
Perché con questa spada vi uccido quando voglio.
Francesco Guccini – Cirano
Autore Pietro Riccio
Pietro Riccio, esperto e docente di comunicazione, marketing ed informatica, giornalista pubblicista, scrittore. Direttore Responsabile del quotidiano online Ex Partibus, ha pubblicato l'opera di narrativa "Eternità diverse", editore Vittorio Pironti, e il saggio "L'infinita metafisica corrispondenza degli opposti", Prospero editore.